Mirò - La gioia del colore, una mostra da non perdere

Importanti e numerose le opere esposte, fino al 7 luglio, provenienti da collezioni private e gallerie, al Palazzo della Cultura 

Mary Bua
Mirò - La gioia del colore
Visitatori presenti alla mostra
La sezione Ceramica
Uno spazio della mostra
Visitatori presenti alla mostra
Un dipinto in mostra
Una delle numerose frasi dell'artista
Una parte della mostra
Una delle frasi dell'artista in mostra
La sezione Manifesti
Due dipinti in esposizione
Un'immagine di Joan Mirò

Mirò - La gioia del colore. È la denominazione del progetto, un suggestivo allestimento gestito dal curatore nonché critico d’arte Achille Bonito Oliva, in collaborazione con Maïthé Vallès-Bled e Vincenzo Sanfo, promosso da Navigare, con il patrocinio della Regione Siciliana, del Comune di Catania e dell’Ambasciata di Spagna, e grazie a Art Book Web e Diffusione Cultura.

Un affascinante percorso espositivo organizzato, nelle sale del Palazzo della Cultura (visitabile fino al 7 luglio), secondo un criterio cronologico, con un arco temporale che va dagli anni Trenta fino al 1981, e al contempo è suddiviso in sette settori che valorizzano le oltre cento opere dell’artista catalano legate a tematiche specifiche.

L’esposizione si apre con la sezione della Poesia, dove si possono ammirare capolavori dell’artista che illustrano il componimento di poesie e di liriche Parler Seul di Tristan Tzara, per conto del grande editore Aimé Maeght, gallerista nonché mercante d’arte dello spagnolo.

Quindi prosegue con la Ceramica, dove, spiega Vincenzo Sanfo, «sono presentati lavori in porcellana non a caso esposti e scelti per questa mostra, perché vi sono riprodotte parti delle illustrazioni di Parler Seul fatti da Mirò per Tristan Tzara. Abbiamo quindi creato questo collegamento tra la Poesia e la Ceramica mantenendo questo fil rouge».

Segue la sezione dedicata alla Litografia. Mirò, continua ancora Sanfo, «è stato uno dei più grandi litografi e un frequentatore di grafica. Insieme a Dalì, e Chagall hanno nobilitato la grafica e l’hanno resa popolare; i colori da lui usati sono il giallo, il rosso, il verde e il blu spesso contornati dal nero. È riuscito a creare dei veri e propri capolavori, alcuni dei quali sono qui in mostra».

Nelle opere di Mirò «la concezione dello spazio, pittorico o grafico, è sempre bidimensionale, sbarrata a ogni tentazione di rappresentazione naturalistica», aggiunge Achille Bonito Oliva, e questo perché «lo spazio è introspettivo e come tale non ha bisogno di altra profondità che non sia quella bidimensionale della tela o del foglio».

La sezione dedicata alle Litografie

La sezione dedicata alle Litografie

A seguire troviamo la Pittura, dove è esposta, tra le tante, un’opera particolarmente importante perché realizzata dall’artista nel 1934, quando fu costretto a fuggire dalla Spagna perché era in atto la Guerra Civile.

«Non a caso – spiega Sanfo - abbiamo messo questo quadro a parte, all’interno di una piccola cripta con una panca, perché la gente vi si possa raccogliere ed entrare nel senso di questo capolavoro che è un po’ diverso dal Mirò che tutti noi conosciamo: il fondo verde scuro con due figure, una delle figure ha la mano nell’atto di lanciare una pietra verso un’altra figura con le braccia aperte, spalancate in segno di resa. Nella sua leggerezza, perché Mirò sa essere leggero anche in situazioni drammatiche, c’è il suo terrore nell’aver abbandonato la sua terra in una guerra che metteva uno contro l’altro fratelli e famiglie».

Perché nelle opere di Mirò, come scrive Achille Bonito Oliva, «la memoria soggettiva diventa il carattere sanguigno che attraversa il sistema circolatorio dell’opera che pulsa di vita propria. La sua arte afferma il diritto alla differenza e promuove la circolazione della memoria individuale».

Il curatore evidenzia come Mirò operi «sulla pratica sistematica dell’enfasi, di un’esasperazione tesa a garantire l’espressività di un io che altrimenti non riuscirebbe ad esprimersi, in quanto il rumore della realtà è così assordante da soffocare l’urlo della lacerazione interiore. Uno stato di ipersensibilità arma la mano di Miro che si inabissa prima dentro di sé all'interno delle proprie pulsioni, e poi riemerge nella zona solare della forma dove tutto diventa rappresentazione e nulla resta taciuto».

Il percorso prosegue con i lavori che Mirò realizzò per Derriere le Mirror, celebre rivista gestita da Aimé Maeght, e composta da fogli stampati in litografia.

Sanfo rivela che «queste riviste venivano donate ai collezionisti vip come invito alle mostre, e oggi sono ricercatissime perché difficili da trovare sul mercato, e qui ne abbiamo un esempio».

Seguono i Manifesti realizzati dall’artista, «sui quali il segno di Mirò è molto comunicativo, e questo dimostra la sua capacità di essere un grande grafico pubblicitario oltre che un artista», spiega Sanfo.

Uno spazio della mostra

Uno spazio della mostra

La mostra quasi si conclude con la sezione Musica, dove sono esposti disegni e progetti per costumi e scenografie realizzati da Mirò per l’opera L’uccello Luce, presentata in anteprima mondiale alla Biennale di Venezia nel 1981.

A chiudere il percorso sono tre copertine di dischi in vinile, realizzate negli anni Sessanta da Mirò per due cantanti antifranchisti, Raimon e Bonet.

Queste copertine sono particolarmente importanti perché all’epoca fecero molto scalpore: «erano una dichiarazione illustrata antifranchista di Mirò», conclude Sanfo.

«Un’occasione per far parlare Catania di sé in senso buono – ha detto il sindaco di Catania Enrico Trantino – e quindi esporla come sede della bellezza, dell’armonia e della cultura. Questa mostra è un ulteriore tassello verso quel progetto di rinascita culturale e sociale che intendiamo imprimere alla nostra comunità».

Joan Mirò fu un grande artista nato a Barcellona nel 1893 e morto nel 1983. Visse una vita travagliata, sconvolta dalla guerra, che lo portò a lasciare la propria terra natia per spostarsi prima in Francia e poi negli Stati Uniti.

Giunto in Francia si rifugiò in un primo momento in un villaggio non lontano dai Pirenei, per poi trasferirsi a Parigi, dove entrò in contatto con altri grandi artisti, e dove avviò una fase di sperimentazione.

Mirò diede vita all’Assassinio della pittura, andando contro le tradizionali tecniche pittoriche e cimentandosi con litografie, acquaforte, scultura, e pittura su carta e vetro. Cercò di creare un linguaggio tutto suo, fatto di simboli e astrazione, intriso di spiritualismo ma comprensibile; come afferma Bonito Oliva «la lingua dell'arte è l'unica in grado di formulare parole visive capaci di attraversare ogni differenza etnica, sociale e religiosa».

Nelle sue opere dietro ogni segno si nasconde un significato, ne deriva che segno e parola sono indissolubilmente legati, rispecchiando così l’antico detto «ut pictura poësis», secondo cui «la pittura è poesia muta».

Forme semplici e colori primari caratterizzano le opere dell’artista, il cui stile non può semplicemente essere “ingabbiato” nel termine «surrealista» perché Mirò si dedicò sempre alla continua sperimentazione tecnica e stilistica: «prevale nella sua opera un principio di diaspora che lo sottrae ad ogni appartenenza culturale», scrive Bonito Oliva.

Oltre cento sono le opere in mostra, e vi aspettano per farvi compiere un viaggio nella vita del celebre artista.