Un teatro civile, un teatro di fimmine: Taddrarite

La pièce di Luana Rondinelli è andata in scena al Piccolo Teatro della Città di Catania

Thea Faro e Elisabetta Santonocito (foto di Dino Stornello)

Premiata al Roma Fringe Festival nel 2014 per la miglior drammaturgia, la pièce di Luana Rondinelli è andata in scena nei giorni scorsi al Piccolo Teatro della Città di Catania, dove è stata accolta con lunghi applausi e grande entusiasmo.

Taddrarite nasce dalla penna di Rondinelli nel 2011 durante un laboratorio di scrittura e, in parte, è stato scritto sui tovaglioli del bar romano in cui l’attrice lavorava all’epoca, come lei stessa ha raccontato in occasione dell’incontro di RetroScena tenutosi al Centro Universitario Teatrale il 21 aprile scorso. 

Sin dal suo debutto a giugno dello stesso anno lo spettacolo ha costantemente colpito il pubblico per la sua straordinaria forza drammaturgica e la spiccata ironia, affrontando un tema caro a Rondinelli e una ‘piaga’ ancora dilagante.

Sulla scena solo tre sedie, tre donne e una bara socchiusa: elementi essenziali ma sufficienti per trasmettere con vigore un messaggio importante. Le tre donne sono tre sorelle, Rosa (Luana Rondinelli), Franca (Donatella Finocchiaro) e Maria (Giovanna Mangiù), riunitesi per la veglia funebre del marito di quest’ultima. 

La veglia diventa l’opportunità per elaborare la violenza domestica subita e gli anni di silenzio seguiti per paura del giudizio sociale, per spezzare le catene di una ‘tradizione’ che spesso imprigiona le figlie femmine non permettendo loro di prendere in mano le redini del proprio destino. 

Taddrarite (foto di Dino Stornello)

Taddrarite (foto di Dino Stornello)

Le tre donne arrivano sul palco direttamente dalle quinte: prima prefiche, simulando davanti ai compaesani (e al pubblico) il dolore della perdita, poi semplicemente se stesse, senza veli né maschere, confidando l’una all’altra le umiliazioni e le violenze fisiche e psicologiche che hanno ricevuto, e i modi, più o meno ortodossi, in cui sono riuscite a liberarsi dei loro mariti. 

Mantenendo rigorosamente la porta aperta e le luci accese, affinché l’anima del defunto Carmelo possa trovare la via d’uscita, le tre taddrarite che, come i pipistrelli da cui prendono il nome fino a quel momento hanno vissuto nel buio, nell’oscurità dell’esistenza, adesso finalmente escono allo scoperto e si raccontano. 

Rosari in mano, tra un Ave Maria e un altro mai recitato convintamente e fino alla fine, dai loro racconti emerge una quarta protagonista dell’opera, la Sicilia che, come ha sottolineato Rondinelli riferendosi soprattutto alla sua Marsala, è il luogo dove da bambina ha osservato e ascoltato ciò che, molti anni più tardi, ha sentito la necessità di scrivere e portare in scena.  

La Sicilia dell’autrice è soprattutto linguistica: l’ambientazione geografica del testo non è mai esplicitata, cosicché il dialetto diventa lingua ‘dell’elezione’ per esprimere un dolore in fondo universale. 

Luana Rondinelli al Cut

Luana Rondinelli al Centro Universitario Teatrale nel corso dell'incontro di Retroscena (foto di Dino Stornello)

La sofferenza delle taddrarite, però, non è causata dal lutto, anzi l’evento funebre risulta essere del tutto felice, come suggeriscono immediatamente gli abiti di Franca, imbellettata con pelliccia, rubini e un vestito scollato per nulla adeguato a un funerale. A morire è stato un uomo violento e il suo decesso segna dunque l’inizio di una vita nuova per la vedova, liberatasi dal peso silenzioso delle umiliazioni, pronta alla rinascita e al riscatto.   

Le sorelle alternano racconti, confessioni e Ave Maria, accompagnate dal gioco ritmico delle luci che ora illuminano una delle tre donne, ora tutte e tre, scandendo una sorta di rito apotropaico per tenere lontani gli influssi maligni, che non ha nulla del rito cristiano per la resurrezione dell’anima, anche perché, come afferma Maria, «se Carmelo gli si presentasse davanti in Paradiso, anche il Signore gli chiuderebbe la porta». 

Momento di intensa condivisione, contrapposta alla solitudine esperita sino a quel momento, durante il rito del racconto significativamente solo colei che parla è illuminata, mentre sul resto della scena scende il buio e le altre due donne si voltano, forse per nascondere la sofferenza, o per rispecchiare una società che troppo spesso fa finta di niente. 

Oggetto della denuncia di Rondinelli è quindi il mondo patriarcale con la sua brutalità, le sue menzogne, i suoi ossimori: «Alla moglie le legnate e all’amante le carezze», osserva ancora Rosa. E se le storie di queste donne non ci colpiscono abbastanza, subentra il pensiero che la pièce è stata messa in scena per la prima volta nel 2011 e noi, pubblico del 2023, la troviamo ancora tristemente attuale, richiamando alla mente le statistiche lette sui giornali e le vicende di violenze e femminicidi che ogni giorno sono argomento degli articoli di cronaca. 

Taddrarite (foto di Dino Stornello)

Taddrarite (foto di Dino Stornello)

Un tema così impegnativo viene alleggerito – ma non banalizzato – dalla penna ironica e sferzante di Rondinelli, che sa alternare sapientemente momenti di intensa drammaticità a battute umoristiche, degne dell’accezione pirandelliana (e bergsoniana) di questo termine, che associa alla risata una riflessione vettrice di compassione.

Una risata catartica dunque – come quella suscitata dall’aneddoto di Maria che si è liberata del marito diabetico offrendogli un cannolo –, ma che invita anche a ragionare sulla sorellanza (o ‘sororità’), cioè sulla necessità di un supporto reciproco nei rapporti tra donne, di una comunione d’intenti per costituire ‘genealogie orizzontali’, amicali, ma anche verticali tra madri e figlie. 

Una sorellanza più morale che di sangue, infatti, è quella che lega le tre protagoniste le quali, unite, diventano capaci di affrontare gli sguardi giudicanti dei compaesani, le chiacchiere delle malelingue e, in generale, il ‘cosa dirà la gente’, andando avanti a testa alta per la propria strada. 

Rosa, Franca e Maria, figlie di donne che hanno subito violenza e vittime loro stesse, incarnano una presa di posizione forte che mira a ‘spezzare la catena’, ossia a cambiare le sorti delle loro figlie (che idealmente potremmo anche essere noi spettatrici) insegnando a discernere gli uomini buoni da quelli aggressivi, a riconoscere la fallacia delle apparenze, a ribellarsi e a denunciare, ad aprirsi a scelte anche non convenzionali (come il divorzio chiesto da Franca) ma ritenute giuste per la propria felicità. 

Taddrarite (foto di Dino Stornello)

Taddrarite (foto di Dino Stornello)

Chi subisce violenza spesso crede – come Franca nello spettacolo – che sia da preferire il silenzio, o il nascondersi dietro giustificazioni di ogni tipo, perché pensa che nessuno possa comprendere la propria esperienza. Basterebbe invece seguire il suggerimento sarcastico della stessa donna, cioè andare a bussare alla porta della propria vicina e raccontarle tutto, per scoprire di non essere sola.

Alla fine, comunque, sulla scena di Taddrarite si fa giorno. L’anima del morto è uscita di casa e non tornerà più (ma per sicurezza Maria chiude la porta): adesso, da pipistrelli a fenici, le donne possono rinascere e dedicarsi a sé stesse, cominciando da qualcosa di semplice come andare dal parrucchiere, e soprattutto ignorando le dicerie del paese, che non comprende che questa morte è di fatto una liberazione. 

I temi affrontati da Rondinelli e i segnali forti che inserisce nella sua drammaturgia ci riportano ancora al nostro presente. Come già osservato in Didone Pop, il teatro si conferma specchio della vita, e, portando sulla scena la quotidianità in ogni suo aspetto, non solo si avvicina agli spettatori ma soprattutto dimostra di essere un potente strumento di cambiamento e di catarsi all’interno della società.

Per coloro che sono vittime di violenza e stalking esiste il numero 1522 a cui rivolgersi, un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri