Una nuova “Lupa”

La sala Verga del Teatro Stabile ha ospitato la rilettura del dramma verghiano. La recensione di Rita Re

Rita Re
Donatella Finocchiaro (foto Dino Stornello)
Luana Rondinelli (foto Dino Stornello)
Chiara Stassi (foto Dino Stornello)
Un momento dell'incontro al Cut (foto Dino Stornello)

La rilettura del dramma verghiano appena andata in scena al Teatro Stabile di Catania ci viene raccontata dalla regista Donatella Finocchiaro e dall’autrice del progetto drammaturgico Luana Rondinelli, che insieme al cast dello spettacolo hanno incontrato spettatori e studenti dell’Università di Catania al Centro Universitario Teatrale nell’ambito di RetroScena. Ideato da Orazio Torrisi con il Teatro della Città e promosso dall’Università di Catania, RetroScena è un ciclo di incontri volto ad approfondire gli spettacoli messi in scena al Teatro Vitaliano Brancati e al Piccolo Teatro della Città.

La trama

Nella sua novella del 1880, successivamente adattata in un dramma in due atti, Verga racconta di una donna «sazia, giammai, di nulla», Gnà Pina detta ‘la Lupa’, da cui il titolo dell’opera. Madre ma soprattutto donna, la Lupa perde la testa per il giovane Nanni che, seppure attratto dalla sua esplosiva sensualità, data la sua reputazione ritiene impensabile un qualsiasi rapporto onorabile con lei, ma chiede di sposarne la figlia per mettere le mani sulla sua ‘roba’. Gnà Pina accetta pur di compiacerlo, ma l’uomo vinto dalla passione non smetterà di cedere alla sensualità mai paga della Lupa, consegnando al pubblico un finale tragico.

Donatella Finocchiaro in "La Lupa" (foto Antonio Parrinello)

Donatella Finocchiaro in "La Lupa" (foto Antonio Parrinello)

I luoghi de La lupa, tra realtà e sogno

L’atmosfera dell’allestimento alla sala Verga è intensamente avvolgente, grazie alle scenografie affidate a Vincenzo La Mendola e al disegno luci di Gaetano La Mela, che diventa a tutti gli effetti linguaggio quando svela o nasconde volti, o crea ombre e penombre. In questo microcosmo dai colori caldi e accoglienti, ma talvolta freddi e premonitori, prende vita la storia della Lupa. 

Il tutto è scandito da una musica diegetica che insieme agli abiti di scena ci trasporta negli anni Cinquanta del ’900, forse Sessanta. Anni, insomma, in cui le donne nelle grandi città iniziavano a esplorare il lungo e complicato cammino dell’emancipazione. Nelle campagne verghiane, però, si era ancora molto lontani da longuette e seni scoperti, da spregiudicatezza e libertà sessuale. È così che, sulla scena dello spettacolo, la Sicilia raggiante del dopoguerra raggiunge le campagne solo con la musica proveniente da una radio, che accompagna i momenti di pausa dal lavoro e fa muovere corpi e menti e svolazzare gli abiti. Poi i suoni extradiegetici, affidati alle musiche di Francesco Gangi, scandiscono i giorni e le notti infuocate, come un ritmo che accompagna i gesti di vite che scorrono tra lavoro e pettegolezzi, tra riti sacri e profani.

La rilettura scenica di Donatella Finocchiaro, regista e al tempo stesso protagonista dello spettacolo, insieme al lavoro drammaturgico compiuto da Luana Rondinelli, raccontano una storia sostanzialmente diversa dall’originale: la storia di una donna pervasa dall’amore per un uomo, una donna che non si nasconde, che non mortifica la propria femminilità, che seduce e affronta i (pre)giudizi altrui. 

Nell’incontro che si è svolto al CUT, moderato dalla docente Simona Scattina, Rondinelli ha raccontato: «Donatella mi ha lasciato libera nella scrittura. Noi abbiamo lavorato tanto insieme, ci ritroviamo spesso sulla stessa strada e questa è stata un’altra grande occasione di crescita professionale, emotiva e di amicizia. Ero intimorita da Verga, ma quando mi sono immersa nel suo testo ho ‘proiettato’ i personaggi in maniera tridimensionale perché potessero dire delle cose vere, vive, passionali, che attraversassero il tempo. Io con la parola, Sabino Civilleri – che ha curato i movimenti di scena – dando potenza fisica ai personaggi, e Donatella con le sue visioni, abbiamo creato un susseguirsi di incastri belli, di grande impatto emotivo tra noi, di cui abbiamo avuto riscontro sulla scena».

Il coro di donne che accompagna la narrazione scenica, segno distintivo della penna di Rondinelli giacché elemento totalmente nuovo rispetto all’opera verghiana, assolve efficacemente il compito di raccontare una femminilità occultata, frustata, mortificata, che negli anni dell’emancipazione femminile sgomita per affermarsi, in bilico tra l’essere giudicante e giudicata, tra la sete di livore e quella d’amore. Un’ambiguità che affonda le sue radici nella notte dei tempi e di cui le vigne, le masserie, le notti trascorse sulle balle di paglia, l’acqua delle brocche che rinfresca corpi caldi e sudati, ne sono lampante espressione, un ‘diaframma onirico’ attraverso cui uomini e donne immaginano come potrebbero essere, per poi ridestarsi dal sogno e continuare a vivere così come sono.

Un momento dell'incontro al Cut

Un momento dell'incontro al Cut (foto Dino Stornello)

Vittime o carnefici? Chi sono i nuovi personaggi de La lupa

Nell’ottica attualizzante di questa rilettura il personaggio di Mara è quello che paga il prezzo più alto. La giovane figlia della Gnà Pina è vinta, ingabbiata, oppressa, obbligata dalla madre e dalla società a sottacere: il velo della vergogna e del giudizio tolto dai seni turgidi e rosei della Lupa viene gettato sopra il volto pulito e affranto della figlia, a soffocarne qualsiasi tentativo di emancipazione. «È proprio la scena del baccanale – sottolinea Chiara Stassi, interprete di Mara – che seppur non coerente filologicamente con la storia del mio personaggio ne fa vedere, in potenza, il riscatto. Una scena in cui noi donne, come baccanti appunto, nella notte non viste da nessuno ci lasciamo andare a una libertà di pensieri e sensualità, e confessiamo di voler essere come la Lupa e ridiamo».

L’interpretazione di Stassi è incerta, stranita, così come richiede il suo personaggio, a cui non viene concessa possibilità di salvezza. Anche nel finale, davanti a un pubblico che aspetta (e spera) una rivalsa, Mara ancora una volta sarà fagocitata dalla madre, che si imprimerà, imperitura, in un’immagine sacra e idolatrata. Un finale a sorpresa di cui la regista ha raccontato la genesi: «Non ci sono vittime né carnefici, sono tutte vittime della stessa ossessione, ma la Gnà Pina, la Lupa, la ‘diversa’, è l’unica la cui ossessione la porterà all’annientamento, alla morte. Lei sulla vara, alla fine, idolatrata da un corteo di donne, morta per mano di un uomo, rappresenta tutte le donne e tutti i diversi che pagano lo scotto di una società bigotta che li addita, li giudica e troppo spesso li uccide».

In questa nuova lettura dell’opera la recitazione di Finocchiaro e del palermitano Bruno Di Chiara, che interpreta Nanni Lasca, è poco torbida e tempestosa ma presenta un andamento più lascivo, seducente e sentimentale, in pieno contrasto con l’aspetto dissugato e scarno della Lupa e di Nanni di verghiana memoria. 

Il personaggio di Malerba, interpretato da Ivan Giambirtone, rimane in penombra, anche se l’attore si impone per temperamento e potenza vocale, mentre Liborio Natali nella doppia parte di Janu e del prete, ci ricorda, in entrambi i ruoli che riveste, quanto l’uomo brami l’emancipazione della donna e quanto al contempo ne sia spaventato. Alice Ferlito (Filomena) e Laura Giordani (la prefica) spiccano per presenza scenica e veracità, rumoreggianti e onomatopeiche nel tracciare i ritratti di donne/femmine/non-donne con lingue sottili, come i tagli di luce che le ritraggono affacciate alle finestre. Insieme a Raniela Ragonese (Nela), Roberta Amato (Grazia), Gianmarco Arcadipane (Cardillo), Giorgia D’Acquisto (Rosa), Federica D’Amore (Lia) e Giuseppe Innocente (Bruno) sono il coro di una tragedia che vuole sbiadire il ‘rosso’ del dramma in un ‘rosa-sentimento’, pur lasciando le tracce purpuree e sanguigne di una storia da cui nessuno dovrebbe uscire vincente. 

La lupa di Finocchiaro e Rondinelli: inno ai diversi e alle donne vittime di femminicidio

A questa rilettura de La Lupa si è affidato il compito di attraversare il tempo per consegnare agli spettatori di oggi un messaggio nuovo, o meglio aggiornato: quello di una donna che vuole affermare la propria libertà. Una libertà che forse noi spettatori avremmo voluto veder realizzata in tutte le donne di questo ‘Verga restaurato’, prima tra tutte proprio la figlia Mara. 

Nessuna ‘Santa’ portata in corteo, dunque, ma due donne nuove, tra loro alleate. Questa forse sarebbe stata davvero una nuova Lupa: né vittima né carnefice, né di sé né di nessun altro. «Era quello che volevo fare – chiosa Rondinelli al termine dell’incontro – Donatella mi ha lasciato libera, Verga no. Ma nei confronti di Mara ho un debito. Lo racconteremo ne La Lupa2».

Il cast e gli studenti al Cut

Il cast e gli studenti al Cut (foto Dino Stornello)