Ad esempio questo cielo: un minuto per “sentire”

Al Zō Centro Culture Contemporanee è andato in scena lo spettacolo della Compagnia Dimitri/Canessa firmato dalla regia di Elisa Canessa

Sofia Bordieri

Che ci faccio io qui, solo e pieno di rimorsi? 

Continuo a mangiare come niente dalla ciotola di lamponi.

se fossi morto, non li mangerei.

non è così semplice...

anzi no, è semplicissimo.

Raymond Carver

​È da questi versi e da tutte le poesie dello scrittore statunitense Raymond Carver che origina Ad esempio questo cielo. Andato in scena nei giorni scorsi, all’interno della rassegna Altre Scene di Zō Centro Culture Contemporanee, lo spettacolo della Compagnia Dimitri/Canessa è firmato dalla regia di Elisa Canessa ed è animato dall’agire ‘turbinante’ di Federico Dimitri e Andrea Noce Noseda.

Vediamo, in penombra, una pedana circolare e due microfoni montati su asta, uno in proscenio sulla destra e uno in fondo sulla sinistra. C’è anche una bottiglia di vetro tipo bordolese a lato. In questo set piuttosto minimal si inserisce la figura, voltata di spalle, di Noce Noseda in completo amaranto/vermiglio che esordisce: «Immagina di avere un minuto». Con in sottofondo il ritmo di una batteria acustica, l’attore si riferisce proprio a un ultimo minuto da vivere.

Inizia la corsa. Iniziano le corse, anzi, che travolgono gli sguardi degli spettatori in un turbinio quasi inesauribile di immagini e parole. Si innesca da subito un meccanismo alternato di monologhi, dal sapore biografico, e dialoghi tra i personaggi che sembrano stratificarsi. Noce Noseda viene raggiunto da Dimitri che, in completo chiaro, corre sulla piattaforma rotante. Il flusso rotatorio sembra quasi un inceppo, paradossale vista la continuità, un incantamento interrotto da gags.

Ad esempio questo cielo (foto di Gabriella Davolio)

Ad esempio questo cielo (foto di Gabriella Davolio)

L’annuncio per l’arrivo del The very best poet of the world è un esempio che dà avvio a un siparietto. L’uno al di sopra della pedana, l’altro al di fuori in proscenico, la corsa continua stavolta con l’ausilio del filo del microfono che, avvolto sul corpo del corridore, diventa un cavo alimentatore della rotazione, come un laccio da carillon. Nell’indecisione su cosa raccontare sentiamo frammenti di storie, «quella sul cane» e «quella d’amore, tra lei e lui». Due narrazioni che finiscono per intersecarsi giocosamente fin quando la temperatura scenica si abbassa, i toni diventano drammatici.

Tutto quello che è stato costruito – narrazioni, versi poetici, situazioni – trac!, finisce per essere infranto dall’irruzione del razionale sempre tinto di comicità. La denuncia all’esagerazione del pathos tra pantomima e declamazione è un gioco di disvelamenti continui, un fil rouge parallelo alle corse che ritornano per tutta la durata dello spettacolo. A proposito di durata, il tempo come lo spazio sono resi elastici. 

Il tempo sembra diventare una molla che si allunga e si riduce generando un andamento che va di pari passo con la temperatura drammaturgica, dal tragico al comico, dal drammatico all’ilare, dal tenero al cruento. Lo spazio scenico invece è reso malleabile dagli attraversamenti vivaci e ampliato dall’uso delle porte di uscita-ingresso della sala. Si torna spesso nella formula dello spettacolo nello spettacolo, con incipit tipo «Ladies and gentleman», per poi uscirne. E si parla di scrittori, delle loro paghe, di leva militare, di paure.

Ad esempio questo cielo (foto di Gabriella Davolio)

Ad esempio questo cielo (foto di Gabriella Davolio)

Come fosse una lista, Dimitri elenca ogni sua paura e la sua ‘gemella’ opposta come, ad esempio, il binomio paura della morte e paura di vivere troppo. La paura della morte è ripetuta due volte ma, in fin dei conti, non importa perché si continua a correre. Stavolta è Somewhere over the rainbow di Judy Garland ad accompagnare la corsa bizzarra di Dimitri che ha sostituito il suo completo con un abito da donna svolazzante e salta, inciampa, si schianta. In una delle ultime scene la pedana diventa uno spazio altro, come un parco giochi o una porzione di mondo in miniatura.

I due attori posizionano tre alberi di Natale, assemblano una casetta di legno, prendono fogli e una pistola da una botola della struttura rotante. Tutto, presto, viene però decostruito e lanciato in aria. Anche gli oggetti prendono parte della corsa, animati dal fare convulso degli attori che, alla fine, giacciono in mezzo a quel che rimane immersi in un caos, come in una scena del crimine.

Circolarmente, in chiusura ritorna la frase «Facciamo che abbiamo ancora un minuto» e la domanda «che fai tu?». Inizia il countdown, ma la verità è che non viene da fare niente, e così non resta che abbracciarsi e sia nella realtà che in un viaggio immaginario dettato da un what if? la risposta rimane la stessa.

Ad esempio questo cielo (foto di Luca Del Pia)

Ad esempio questo cielo (foto di Luca Del Pia)

Ad esempio questo cielo è uno spettacolo che affonda le radici su un momento specifico della vita di Raymond Carver, quello in cui viene a conoscenza del fatto che gli resta poco tempo da vivere. Lo scrittore a quel punto sapeva esattamente cosa fare; aveva deciso di dedicare il suo tempo ultimo alla raccolta di tutte le poesie scritte nell’arco degli anni con il fine di realizzarne un’edizione, pubblicata poi post mortem con il titolo All of us: The Collected Poems (Orientarsi con le stelle nell’edizione italiana).

Un lavoro, fino alla fine, che è stato all’insegna della ricerca; una parola quest’ultima che contiene al suo interno almeno due concetti: fatica e luce. Sono ingredienti, questi, restituiti dalla regia di Canessa con una mistura di poeticità, ironia e dramma attraverso la costruzione drammaturgica, il dosaggio dei toni, la cura nella gestione dei corpi in scena e soprattutto nei dettagli.

Il rossetto, il fuori peso nel roteare centrifugo, il ping-pong della sigaretta di mano in mano, di bocca in bocca, sono solo alcuni degli elementi che dalla scena arrivano come immagini dirette. Immagini che ci ricordano la ridondanza della vita che però ci garantisce, nel suo essere percorso insensato, la luce o le luci che per ognuno possono avere connotazioni distinte, a differenza comunque di un abbraccio. 

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