Ali di seta, cuore di sangue

Il Teatro Massimo Bellini ha offerto al suo pubblico una strabiliante “Madama Butterfly” che si dispiega come una farfalla di seta intrisa di sangue

Giada Apa

Un tempio di pàthos e armonie si è rivelato il Teatro Massimo Bellini di Catania trasfigurato dalla messa in scena di Madama Butterfly di Giacomo Puccini. Una rappresentazione che ha registrato, ad ogni spettacolo, il tutto esaurito entusiasmando gli spettatori.

Un allestimento di rara finezza, semplice, ma evocativo, guidato dalla bacchetta del maestro Alessandro D’Agostini, che ha saputo restituire ogni fremito dell’anima pucciniana, sul libro cesellato da Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.

A suggellare l’incanto, la regia e le coreografie di Lino Privitera, che ritorna nuovamente a occuparsi di opera, intrecciando gesto, spazio e sentimento in una visione teatrale che coniuga tradizione e modernità.

Il compositore trasfigura in musica lo scontro lacerante tra due mondi inconciliabili – l’Oriente del silenzio e l’Occidente dell’arroganza e dell’effimero – donando al pubblico un tema tragicamente universale, di una donna, moglie e madre che non riesce ad abituarsi all’idea dell’abbandono e della perdita.

L’elegante abito di Cio Cio-San

L’elegante abito di Cio Cio-San esposto nel foyer del Teatro Massimo Bellini di Catania

Cio Cio-San, incarnata con straordinaria intensità da Valeria Sepe e Myrtò Papatanasiu, soprani di grande raffinatezza, si offre al pubblico come l’effige vivente di una fanciulla appena adolescente, quindici anni appena, già capace di amare con la totalità assoluta di chi ignora il compromesso.

È un amore che la travolge completamente, corpo anima e fede, tanto da spingerla a recidere i legami con la religione dei padri, in nome di un matrimonio illusorio con l’arrogante tenente Benjamin Franklin Pinkerton, impersonato dal tenore Leonardo Caimi.

La sua scelta estrema, colma di innocente devozione, scatena l’ira ancestrale dello zio Bonzo, a cui Gianfranco Montresor presta voce e presenza scenica, una prima scena di straordinario impatto emotivo, in cui si consuma il primo strappo tra Madama Butterfly e il suo mondo.

Dopo le infauste nozze Pinkerton abbandona Nagasaki e Cio Cio-San, lasciando dietro di sé solo promesse svanite e il vuoto di un’assenza che si protrarrà per tre lunghi anni.

I protagonisti sulla scena

I protagonisti sulla scena

È in questo tempo sospeso che si consuma la vera tragedia di Madama Butterfly, l’attesa che si fa preghiera, vittima inconsapevole di un destino già scritto. «Dicono che oltre mare, se cade in man dell’uom, ogni farfalla da uno spillo è trafitta ed in tavola infitta», ed è proprio in questa immagine poetica e crudele che si racchiude la sua sorte.

La regia, in questa lettura, concentra lo sguardo sulla solitudine come condizione esistenziale e assoluta e la coniuga all’attesa lancinante della novella sposa. La coreografia, elemento innovativo nel dramma, si fa struttura portante del racconto, trasfigurandosi in una potente allegoria visiva dell’intera vicenda.

Lino Privitera, con un raro senso dell’equilibrio tra innovazione e fedeltà culturale, rende omaggio attingendo all’essenza della danza butoh: corpi nudi, scolpiti dal bianco del silenzio, si muovono come ombre sospese sul filo dell’invisibile, creature vegetali appena germogliate, flessuose e misteriose, radicante nel silenzio e nell’attesa.

Magistrale, nella sua sobria profondità, la figura di Suzuki, interpretata con straordinaria delicatezza da Laura Verrecchia e Anna Pennisi. L’umile serva condivide il dolore e la speranza della padrona, facendosi testimone fedele di una sofferenza che avrà compimenti nefasti.

Momento finale dello spettacolo

Momento finale dello spettacolo

Quando la verità, crudele e inevitabile, si fa strada – l’arrivo di Pinkerton con la sua ‘vera’ moglie Kate, interpretata con grazia e intensità da Paola Francesca Natale e Liliana Aiera – Suzuki, consapevole del tradimento imminente, soffre dovendolo confessare alla padrona, strappandole così anche l’ultima scintilla di speranza.

Non arriva in tempo a farlo, il misfatto viene svelato, la tragedia si compie: Pinkerton non cerca altro che il suo bambino, pronto a lasciare alle spalle una vita ormai consumata e una donna che, nell’illusione di un amore eterno, ha perduto tutto. La scena finale è un urlo silenzioso di dolore, Cio cio-San avvolta nella veste chiara che sembra dissolversi nell’aria, si erge come simbolo di sacrificio supremo.

«Con onor muore chi non può serbar vita con onore», l’harakiri è avvenuto, le colonne di bambù si chiudono isolando il suo gesto dal resto del mondo. Pinkerton arriva, ma è troppo tardi, rimane all’esterno, impotente davanti all’altare di morte che lui stesso ha contribuito a edificare. Si chiude così un’opera , che il sapiente cast ha saputo incarnare intrecciando musica, pathos, memoria e cultura con sorprendente coerenza e potenza evocativa.

Il dramma si rigenera sotto una nuova luce, confermando la sua attualità e lascia il pubblico visibilmente commosso. Onore al Teatro Massimo Bellini, custode e artefice di una emozione destinata a rimanere.

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