Lo studio internazionale è stato pubblicato su Nature Communications. La ricerca, frutto dell’ultima spedizione IOPD 402, è a firma, tra gli altri, dell’Università di Catania
Il nostro pianeta è suddiviso in tre strati principali: crosta, mantello e nucleo. Il mantello, situato sotto chilometri di sedimenti e rocce magmatiche, è normalmente inaccessibile e raggiungerlo è stato uno degli obiettivi principali delle trivellazioni scientifiche in mare.
Negli anni ’80 si è scoperto che, in alcuni punti dell’Oceano Atlantico, il mantello affiora in corrispondenza delle dorsali oceaniche, catene montuose sommerse che originano la crosta oceanica e separano i continenti. Da allora, numerose spedizioni della nave da perforazione JOIDES Resolution sono state dedicate allo studio di questo strato.
Tuttavia, solo cinque spedizioni sono riuscite a raccogliere più di 50 metri di rocce di mantello, prevalentemente lungo le dorsali oceaniche dell’Atlantico e del Pacifico.
La spedizione IODP 402 è stata finanziata dall’International Ocean Discovery Program (IODP), a cui partecipa IODP-Italia, e si è svolta nel mar Tirreno sotto la guida scientifica di Nevio Zitellini dell’Istituto di scienze marine del Cnr (Cnr-Ismar) e Alberto Malinverno del Lamont-Doherty Earth Observatory (Usa).
Il nuovo studio evidenzia negli oceani nascenti come il Mar Tirreno, una natura geologica del mantello diversa rispetto a quella degli oceani maturi ed ai margini continentali. La ricerca è pubblicata sulla rivista Nature Communications a firma, tra gli altri, dell’Università di Pavia, del Cnr-Ismar e degli atenei di Catania, Firenze, e Modena e Reggio Emilia.

Sunrise in the port of Napoli on the day of departure. (Credit: Tiffany Liao, IODP JRSO)
“Il Mar Tirreno è un bacino oceanico molto giovane dal punto di vista geologico, formatosi circa 10 milioni di anni fa. Nel 1986, una perforazione scientifica ha consentito di raccogliere circa 30 metri di rocce provenienti dal mantello terrestre, caratterizzate da un impoverimento di elementi chimici legati ai processi di fusione magmatica. Questo significa che, in passato, parte del materiale del mantello ha subito un processo di fusione parziale, determinato dalla decompressione delle rocce mentre risalivano dalle decine di chilometri di profondità”, spiega Nevio Zitellini del Cnr-Ismar.
“A queste grandi profondità, le rocce sono sottoposte a pressioni estremamente elevate, che impediscono ai fusi magmatici di separarsi e risalire. Tuttavia, quando il mantello si muove verso la superficie, la pressione diminuisce progressivamente, permettendo al magma di liberarsi e generare nuova crosta oceanica”, ha aggiunto.
“Questo processo di fusione per decompressione è fondamentale non solo per comprendere la nascita degli oceani, ma anche il funzionamento interno del nostro pianeta, poiché influenza scambio chimico tra il mantello terrestre e gli strati più superficiale del nostro pianeta”, ha precisato Zitellini
La spedizione IODP 402 ha effettuato due perforazioni più profonde, a 170 e 130 metri, rivelando che il mantello del Tirreno non si è impoverito, durante il processo di risalita delle rocce del mantello, mantenendo quindi un elevato potenziale per generare nuovo magma. L’eterogeneità riscontrata in quest’area è superiore a quella osservata in altri ambienti tettonici, come dorsali oceaniche e margini continentali.

The reentry cone for hole U1616D is deployed through the moonpool. (Credit: Kevin Grigar, IODP JRSO)
“Utilizzando osservazioni petrologiche e analisi geochimiche effettuate direttamente in nave, abbiamo dedotto che gran parte di questa eterogeneità è stata causata da magma che rimane intrappolato nelle rocce del mantello durante la risalita, spiega Alessio Sanfilippo, del Dipartimento di scienze della terra e dell’ambiente dell’università di Pavia e primo firmatario della pubblicazione.
“Contrariamente alle ipotesi precedenti – ha aggiunto - il nostro lavoro mette in evidenza che la formazione di questi bacini oceanici senza una vera e propria crosta magmatica, non è dovuta al fatto che il mantello non produce fuso, ma che i fusi rimangono intrappolati nelle parti più profonde della litosfera, senza mai raggiungere la superficie terrestre”.
I risultati dello studio aprono nuove strade di ricerca che proseguiranno con ulteriori ricerche sui campioni raccolti per migliorare la comprensione dell’evoluzione geologica del nostro pianeta.

Expedition 402 scientific participants gather in the core lab to celebrate leap day (February 29th). (Credit: Ravi Kiran Koorapati & IODP)
Anche l'Università di Catania ha preso parte alla spedizione 402 di ODP in Tirrenoe alle attività di ricerca grazie ad Agata Di Stefano, docente di Geologia marina del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali.
La docente ha evidenziato che "l'esplorazione oceanica è una delle ricerche di punta della comunità scientifica internazionale, sempre più impegnata alla risoluzione delle sfide che il nostro Pianeta ci chiama ad affrontare, come la prevenzione dai rischi naturali e i cambiamenti climatici".

Agata Di Stefano (Micropaleontologist, University of Catania, Italy) smiles for a photo with the blue sky and calm seas. (Credit: Agata Di Stefano & IODP)