Lo spettacolo di e con Tindaro Granata è andato in scena a Zo Centro Culture Contemporanee di Catania
In che modo la terra da cui veniamo e la famiglia in cui nasciamo influenzano le nostre vite? È possibile restare legati alle proprie radici ma nel contempo cambiare un destino che sembra segnato da ben prima della nascita? Antropolaroiddi e con Tindaro Granata, andato in scena il 12 e 13 febbraio a Zo Centro Culture Contemporanee di Catania, esplora questi quesiti.
Lo spettacolo nasce come un progetto dell’artista siciliano per il gruppo PPP costituito da Cristina Pezzoli nel 2008. L’anno successivo quest’abbozzo viene definito ulteriormente in forma di monologo.
Antropolaroid, tuttavia, in virtù del suo collegamento con la tradizione orale del cuntu siciliano non cessa mai di evolversi. Nella Sicilia di un tempo, infatti, il cuntu si serviva della narrazione romanzata di eventi della vita di persone comuni per trasmettere un codice etico ben definito. Il lavoro di Granata riprende questa tradizione ma la stravolge allo stesso tempo, traducendola teatralmente per mettere in scena la storia della sua famiglia, dalla vita dei propri bisnonni fino al suo trasferimento a Roma per inseguire il sogno di diventare attore.
Le scelte scenografiche e registiche enfatizzano la presenza dell’interprete: la scena è vuota e su di essa si stagliano solamente Tindaro e una sedia di legno. L’uso delle luci è funzionale alla creazione di atmosfere suggestive, che permettono al pubblico di avvicinarsi emozionalmente ai personaggi della famiglia Granata, tutti incarnati dal ‘narra-attore’ siciliano.

Vari sono anche i momenti di buio assoluto, in cui si sente la sola voce di Tindaro che guida il viaggio a ritroso nel proprio passato. L’estrema versatilità della sua performance restituisce le corporeità, le voci e le sfumature psicologiche dei personaggi con impressionante realismo, conferendo grande fluidità al monologo e portando lo spettatore a smarrire ogni riferimento spazio-temporale, ad immergersi completamente in un mondo sospeso tra passato, presente e futuro.
Lo spettacolo, nel complesso, è una meditazione interessante e sicuramente riuscita sul rapporto con la terra d’origine, un legame intenso e sofferto che si protrae per tutta la vita. Da una parte c’è la Sicilia dei ricordi, dell’infanzia a San Giuseppe, piccola frazione in provincia di Messina dove Tindaro è cresciuto con i nonni e i bisnonni; dall’altra c’è la Sicilia della mafia, del lavoro precario, dell’immobilismo sociale.
La soluzione auspicabile a questa crisi è quella di ripartire dalla sofferenza di cui parlava la bisnonna di Tindaro: una ‘sofferenza’ non intesa come dolore bensì come forza interiore per reagire ad esso, per ri-costruire una realtà diversa dove nessuno sia costretto ad abbandonare l’‘isola’ per realizzare i propri sogni.
