Archeologia e IA, come ricostruire il passato con la tecnologia di oggi

È l’obiettivo del progetto RePAIR presentato al Festival Informatici Senza Frontiere. A raccontarne i contenuti è Gabriele Cristiano Crisci, studente in Lettere classiche di Unict, presente all’iniziativa grazie ad una borsa di partecipazione

Gabriele Cristiano Crisci
Sebastiano Vascon illustra i frammenti acquisiti digitalmente dopo il processo di scanner 3D a luce strutturata
Sebastiano Vascon illustra parte dei frammenti da catalogare e scannerizzare tramite il progetto RePAIR
Sebastiano Vascon illustra l'allineamento 3D dei frammenti tramite AI
Sebastiano Vascon illustra il processo di imaging iperspettrale per rivelare figure nascoste

La storia è memoria del passato che interagisce proficuamente col presente, con la nostra quotidianità, con le nostre vite e aspirazioni. 

Per capire realmente cosa sia la storia è necessario entrare dentro le sue maglie più strette, distinguerne i filamenti conosciuti e trovarne di nuovi. 

L’archeologia può aiutare in questo senso. Ma, a volte, non basta. Eventi naturali avversi, scelleratezze umane e imprevisti di ogni genere possono spesso mettere a dura prova la ricostruzione di un determinato evento storico, proprio a causa di difficoltà oggettive nello svolgimento delle indagini archeologiche. Allora, perché non chiedere aiuto alle nuove tecnologie informatiche, o direttamente ai nuovi orizzonti offerti dall'Intelligenza artificiale?

Questo è stato il tema centrale dell’evento Digitale, cultura e accessibilità promosso dall’associazione Informatici Senza Frontiere nell’ambito del festival che si è svolto a Rovereto nei giorni scorsi. Tra incontri, talk, dibattiti e momenti di spettacolo sono stati numerosi gli spunti di riflessione a favore di un approccio etico e consapevole nell’uso delle nuove tecnologie che possa tener conto delle opportunità e al contempo dei pericoli.

In questa ottava edizione i riflettori sono stati puntati sull’Intelligenza Artificiale, ormai onnipresente nelle nostre vite, con funzioni che vanno dal facilitare la guida in automobile alle informazioni che acquisiamo in rete ogni giorno, dalla progettazione di nuove cure agli assistenti vocali nei nostri smartphone.

Informatici Senza Frontiere, grazie alla partnership con Aused, associazione attenta ai temi dell’etica del digitale, e SDG group, azienda internazionale di management consulting, ha anche offerto venti borse di partecipazione al Festival a studenti e studentesse provenienti da tutta Italia. 

Nel corso dei lavori del festival si è tenuta anche una cerimonia di premiazione delle studentesse e studenti dei diversi atenei italiani vincitori della borsa. Tra gli allievi dell'Università di Catania Naike Antonuccio (corso di laurea in Filosofia), Gabriele Cristiano Crisci (Lettere classiche), Marika La Mela (Scienze e lingue per la comunicazione), Lara Maugeri (Scienze filosofiche), Giuseppe Romeo (Scienze filosofiche) e Miriam Ruggeri (Filologia moderna) del Dipartimento di Scienze umanistiche.

studentesse e studenti dei diversi atenei da tutta Italia vincitori della borsa

In foto le studentesse e gli studenti dei diversi atenei italiani vincitori della borsa, tra i quali Naike Antonuccio, Gabriele Cristiano Crisci, Marika La Mela, Lara Maugeri, Giuseppe Romeo e Miriam Ruggeri

Alla Fondazione Caritro di Rovereto, dopo una breve presentazione da parte del presidente dell’ISF Maurizio Sapienza, è intervenuto Sebastiano Vascon, ricercatore all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha illustrato le linee di ricerca di RePAIR, un progetto internazionale che mette in relazione AI, robotica e ricerca storica nel campo dei beni culturali.

Ricostruire il passato: è questo l’arduo e ambizioso obiettivo che si pone il progetto, affinché si possano ricomporre le migliaia di frammenti provenienti dagli affreschi pompeiani, facendo in modo che entrino in sinergia sapere umanistico e sapere scientifico.

I casi studio che, nell’ambito di RePAIR, sono stati posti all’attenzione degli informatici sono la Casa dei pittori al Lavoro nell’Insula dei Casti Amanti e la Schola Armaturarum crollata nel 2010, i cui frammenti sono conservati nei depositi del Parco archeologico di Pompei.

Partner del progetto, oltre all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ne è anche l’ente coordinatore, anche il Parco Archeologico di Pompei, l’Istituto Italiano di Tecnologia, la Ben-Gurion University del Negev in Israele, l’Associacao do Instituto Superior Tecnico Para a Investigacao e Desenvolvimento del Portogallo, la Rheinische Friedrich Wilhelms Universitat di Bonn in Germania con il patrocinio del Ministero della Cultura italiano.

Il progetto RePAIR ha preso avvio ufficialmente nel settembre del 2021, ma l’idea nasce ben prima, nel 2018, grazie ad un’intuizione dei docenti Marcello Pelillo dell'Università Ca’ Foscari e Ohad Ben-Shahar della Ben-Gurion University.

Con uno stanziamento di oltre 3,5 milioni di euro – finanziamenti ricevuti nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea – e un tempo di completamento previsto di circa quattro anni, adesso si stanno cominciando a vedere i primi risultati così agognati, con lo svolgersi anche di una serie di incontri periodici di confronto tra gli esperti del settore informatico e di quello archeologico, al fine di individuare le soluzioni logistiche più efficienti e di correggere eventuali criticità insite nel progetto.

Significativo – se non persino necessario – risulta l’ausilio dell’AI e della robotica, in tutte le loro innumerevoli declinazioni. Il modus operandi della macchina entra in contatto con quello umano, affiancandolo senza però fagocitarlo. Ciò permette di velocizzare notevolmente i tempi di ricostruzione e riassemblaggio di anfore e mosaici ad esempio. 

Per farlo, vengono utilizzate metodologie specifiche nel campo dell’AI e del machine learning.

Sebastiano Vascon, ricercatore all’Università Ca’ Foscari di Venezia, mentre illustra le linee di ricerca del progetto, in particolar modo il primo prototipo della Pisa/IIT SoftHand

Sebastiano Vascon, ricercatore all’Università Ca’ Foscari di Venezia, mentre illustra le linee di ricerca del progetto, in particolar modo il primo prototipo della Pisa/IIT SoftHand

Più in particolare, il processo di rielaborazione e ricostruzione avviene attraverso una serie di step che si possono riassumere in tre macro-fasi.

La prima prevede l’acquisizione dei frammenti in 3D: ciò è possibile attraverso una scansione basata su luce strutturata, che compone un modello tridimensionale abbastanza accurato.

La luce strutturata, infatti, consiste nell’uso di raggi laser, di particolari lenti focali e di telecamere da ripresa che acquisiscono digitalmente l’oggetto preso in esame: il modo in cui la luce del laser si deforma nel colpire il frammento permette ai sensori di calcolarne la profondità.

Per via della bassa risoluzione che inficia il modello creato, vengono utilizzati altri algoritmi per migliorare la qualità finale. Infine, viene utilizzato un processo di imaging iperspettrale per rilevare figure nascoste o individuare colori differenti.

La seconda fase prevede una segmentazione e un allineamento 3D delle immagini acquisite in precedenza tramite lo scanner.

Nella terza fase, invece, entra in scena il sistema robotico che assembla di fatto i pezzi. 

Tramite la PISA/IIT SoftHand, un braccio automatizzato con una mano soffice guidata dall’AI, è possibile avviare una ricostruzione fisica dei frammenti, come se fossero piccole tessere di un puzzle.

Il braccio robotico, adeguatamente modificato per il progetto RePAIR, è più grande ed è munito di due mani, che riconoscono e posizionano i frammenti – dopo averli già scansionati – nella collocazione più vicina a quella originaria.

Naturalmente, l’ausilio dell’AI nel lavoro archeologico non costituisce una sostituzione di quest’ultimo: l’algoritmo propone una serie di composizioni possibili, le quali vengono poi validate dall’archeologo, che sceglie la soluzione finale da adottare. 

Prende così forma una fitta rete di metodologie e di saperi interdisciplinari, scientifici e storici, che si muovono entro il campo della computer vision, dell’Intelligenza Artificiale e del machine learning, affiancandosi alle attività di ricerca archeologica e di conservazione dei beni culturali.