Barbie oltre l’apparenza

L’evoluzione negli anni degli stereotipi di genere attraverso la bambola più iconica: da Ruth Handler a Margot Robbie e Greta Gerwig

Stefano Zito

Lo scorso 7 gennaio, all’Hilton Hotel di Beverly Hills, si è svolta la cerimonia della 81ª edizione dei Golden Globe Awards.

Il film Barbie, che si presentava alla serata forte di nove nomination, porta a casa solo due riconoscimenti: Miglior canzone originale e Miglior incasso al botteghino. Risultato che rappresenta una grande delusione, se si considera la spesa di circa 300 milioni di euro tra produzione e marketing, e soprattutto il record di film più visto nelle sale cinematografiche nel 2023.

Nonostante ciò, la pellicola ottiene un apprezzabile risultato morale, che risiede certamente negli spunti di riflessione e di confronto tra gli spettatori dopo la visione.

La celebre bambola, lanciata sul mercato nel 1959 dalla Mattel, è da decenni al centro di dibattiti e polemiche riguardanti gli stereotipi di genere. Gli stereotipi associati a Barbie spaziano dalla sua silhouette irrealistica alle occupazioni e interessi, che talvolta sembrano limitati a contesti superficiali, banali o tradizionalisti.

La creatrice, Ruth Handler ebbe l’idea di commercializzare una bambola dalle fattezze di adulta, in modo che le bambine potessero usarla come proiezione di se stesse nel futuro. Barbie segna un momento spartiacque nella storia dei giocattoli, perché per la prima volta appare un giocattolo che rompe la visione patriarcale della donna come madre e casalinga.

Negli anni Sessanta tutte le bambine ne vogliono una, ma è al centro di alcune polemiche: viene accusato di essere troppo procace, dando un’immagine della donna non adatta al moralismo dell’epoca. Nonostante i tentativi di boicottaggio, Barbie diventa presto l’icona che è ancora oggi. A lei si aggiunge Ken, che a sua volta rompe un canone ormai radicato, in quanto personaggio maschile pensato per un pubblico di bambine che si discosta dal tipico modello di uomo. 

Margot Robbie e Barbie

Margot Robbie e Barbie

Nel corso degli anni, Mattel ha reagito alle critiche introducendo nuove versioni di Barbie, che riflettono una maggiore diversità in termini di etnia, corporatura e professioni. Tuttavia, il dibattito sugli stereotipi di genere rimane aperto, evidenziando la complessità di un’icona che ha avuto un impatto che ancora perdura nella cultura popolare.

Il film Barbie (2023) diretto da Greta Gerwig, prodotto e interpretato da Margot Robbie, punta a una rivisitazione in chiavefemminista della bambola.

Tutte le versioni di Barbie (premio Nobel, presidente, incinta) sostengono l’idea che le donne possano fare qualsiasi cosa, ma gli elementi positivi presenti nel film potrebbero essere sminuiti, davanti agli spettatori meno attenti, da battute solo in apparenza superficiali, come «sono un uomo senza potere, questo fa di me una donna?».

La verve ironica del film consente di comprendere che sia un’occasione per denunciare la disuguaglianza, pur correndo il rischio di erronee interpretazioni letterali da parte del pubblico.

L’identità di Ken è definita dall’esistenza di Barbie, rovesciando la dinamica sessista dei modelli veicolati dal cinema hollywoodiano, in cui l’importanza di un personaggio femminile è legata a quello maschile: lei è significativa solo se lui le dà importanza.

Barbie stramba e Ken

Barbie stramba e Allan

Il film di Gerwig riprende il modello eterosessista e patriarcale di Mattel, riguardo la costruzione della sessualità e del genere, che rinchiude Barbie e Ken, e per estensione donne e uomini, all’interno di una dinamica che in ultima istanza sminuisce l’identità e la fluidità di genere.

Le due bambole Barbie Stramba e Allan, non conformi a un rigido binarismo, avrebbero forse potuto dare maggiore pluralismo al messaggio già forte del film: purtroppo queste bambole “alternative” sono state relegate a parti secondarie, destinate ad accrescere l’aspetto comico.

Seppur marginale per certi aspetti, il coraggio di introdurre personaggi in grado di sfidare le convenzioni di genere, in un film-evento, è sicuramente un passo significativo per l’educazione e la sensibilizzazione sulle tematiche dell’identità e della fluidità di genere.

La ricezione della pellicola mostra quanto il pubblico sia spaccato: se alcuni apprezzano un’apertura verso l’inclusività, altri sottolineano la semplificazione di dinamiche che, nella società odierna, sono ben più complesse. In ogni caso, la storia di Barbie riflette il cambiamento culturale e l’evoluzione del dibattito intorno all’identità e alla fluidità di genere.

Guardando al futuro, c’è motivo di speranza. La crescente consapevolezza e apertura nei confronti della diversità hanno il potenziale per plasmare lentamente, ma inesorabilmente, una società più inclusiva e accogliente per tutti. Come emerge dalle reazioni del pubblico più giovane, le nuove generazioni stanno dimostrando una straordinaria sensibilità verso l’importanza del rispetto della diversità sfidando i vecchi stereotipi e contribuendo a creare un mondo in cui ogni individuo si senta libero di esprimere sé stesso autenticamente.