Bellezza Belcanto Bellini

Un viaggio musicale tra Vincenzo Bellini, Pëtr Il'ič Čajkovskij e Antonín Dvořák con l’Orchestra del Teatro Massimo Bellini diretta da Antonio Manuli

Rossella Liliana Laudani

Il Teatro Sangiorgi ha aperto le sue porte a una serata di rara intensità musicale con il concerto sinfonico Bellezza Belcanto Bellini, firmato dall’Orchestra del Teatro Massimo Bellini e guidato dal maestro Antonino Manuli. L’evento rientra in un ciclo di incontri musicali che da diversi anni il Teatro Massimo Bellini propone in varie sedi di Catania, con l’obiettivo di diffondere la grande musica sinfonica in spazi alternativi e suggestivi della città.

Un’occasione per intrecciare tre visioni sinfoniche di epoche diverse, legate dal filo rosso dell’amore tragico e del desiderio di mondi nuovi, lontani, ma sorprendentemente affini.

Dal lirismo scolpito di Vincenzo Bellini alla forza passionale di Pëtr Il'ič Čajkovskij, fino all’ampiezza visionaria della Nona Sinfonia di Antonín Dvořák, il programma ha saputo coniugare con sapienza la leggerezza del belcanto, il dramma romantico e il respiro sinfonico del “Dal Nuovo Mondo”. Il tutto in un equilibrio, in cui l’orchestra ha brillato per precisione, sensibilità e potenza espressiva. Una serata che non ha solo celebrato la musica, ma l’ha trasformata in esperienza viva.

Il concerto si è aperto con un omaggio a Vincenzo Bellini, il “Cigno di Catania”, con la sinfonia introduttiva dell’opera I Capuleti e i Montecchi composta nel 1830, ispirandosi alla tragedia di Romeo e Giulietta di Luigi Scevola. L’Orchestra del Teatro Massimo Bellini ha interpretato il brano con una chiarezza timbrica e una levigatezza melodica che rendevano giustizia al raffinato stile belcantistico del compositore, privilegiando le linee di canto degli archi e la trasparenza degli impasti armonici.

L’incipit quasi sospeso, con i suoi intervalli lirici e i colori delicati, è stato reso con estrema eleganza. Il crescendo emotivo verso la parte centrale della sinfonia ha mostrato un controllo dinamico eccellente, culminando in una chiusa piena di nobile drammaticità, prefigurando le tensioni narrative dell’opera.

La seconda parte del concerto è stata arricchita con Romeo e Giulietta, ouverture-fantasia in si minore di Čajkovskij, passando a un universo espressivo ben diverso: qui l’amore tragico viene immerso in un pathos romantico impetuoso, che l’orchestra ha restituito con potenza e coesione. La direzione di Manuli ha saputo valorizzare la drammaturgia interna del brano, costruito in una forma libera ma rigorosa.

L’introduzione lenta, affidata ai legni, è stata eseguita con intensità quasi sacrale, evocando l’atmosfera solenne. Quando il tema della rivalità tra Montecchi e Capuleti è esploso con l’energia tipica del compositore russo, gli archi e gli ottoni hanno risposto con un suono pieno e incisivo, ben calibrato sul piano timbrico. Il celebre tema d’amore, introdotto dai corni e ripreso dagli archi, ha rappresentato uno dei momenti più commoventi della serata: lirico, cantabile, ma privo di qualsiasi sdolcinatura.

Manuli ha evitato l’effetto melodrammatico, optando per un fraseggio ampio e fluido che lasciava emergere la tenerezza e la tragedia con pari dignità. Il finale, travolgente e doloroso, ha lasciato il pubblico in un silenzio sospeso prima dell’applauso entusiasta.

Un momento del concerto

Un momento del concerto

La conclusione del concerto è stata interamente dedicata alla Sinfonia n. 9 in mi minore “Dal Nuovo Mondo” op. 95 di Dvořák, uno dei massimi capolavori del repertorio tardo-romantico. Composta durante il soggiorno americano del musicista, l’opera fonde motivi popolari slavi con suggestioni afroamericane e native, creando un affresco sinfonico potente e universale.

Il primo movimento (Adagio – Allegro molto) ha mostrato l’ottimo equilibrio tra le sezioni orchestrali: dopo un’introduzione pensosa, il tema principale è stato eseguito con forza, ma mai eccessiva. Il dialogo tra archi e fiati ha rivelato una raffinata cura del dettaglio. Il celebre secondo movimento (Largo), con l’indimenticabile assolo del corno inglese, è stato il momento più toccante dell’intera esecuzione.

La frase, resa con un suono pastoso e profondo, sembrava sospesa nel tempo, quasi una preghiera laica. Il silenzio con cui il pubblico ha accolto il movimento ne ha confermato l’impatto emotivo. Nello Scherzo, Dvořák mostra il suo spirito danzante e vitalistico.

Manuli ha mantenuto tempi agili e ben scanditi, permettendo agli archi e ai legni di muoversi con leggerezza e brio. Il finale (Allegro con fuoco) ha chiuso la sinfonia in modo trionfale, senza tralasciare la malinconia che pervade l’intera opera. La tensione maturata nel corso dell’intero movimento è esplosa in un climax liberatorio, accolto dal pubblico con un’ovazione.

Tra le molte componenti che hanno reso memorabile la serata Bellezza Belcanto Bellini, spicca senza dubbio il ruolo del primo violino Vito Imperato, figura di riferimento all’interno dell’orchestra e vero cardine espressivo della compagine. La sua presenza, solida ma mai invadente, ha incarnato quel delicato equilibrio tra guida tecnica e sensibilità artistica che ogni primo violino è chiamato a esercitare, specialmente in un programma così denso e variegato.

Fin dalle prime battute, la sua conduzione silenziosa ha fatto emergere una compattezza d’insieme negli archi caratterizzata da chiarezza, suono morbido, flessibilità e un controllo dinamico esemplare, specialmente nei pianissimi più rarefatti e nei crescendo emotivi costruiti con pazienza. Ma è nel rapporto con la bacchetta di Antonino Manuli che si è rivelata una vera e propria sinergia artistica, quasi cameristica.

Tra Imperato e Manuli si è instaurato un dialogo fluido, fatto di anticipazioni sottili, respiri condivisi, scelte agogiche decise ma mai rigide. Questo legame è emerso in modo particolarmente evidente durante il secondo movimento della sinfonia Dal Nuovo Mondo, dove gli archi hanno saputo accompagnare gli altri membri dell’orchestra con un tappeto sonoro sospeso e palpitante, segno di un’intesa che va oltre la tecnica.

Anche nei passaggi più impetuosi, come quelli centrali dell’ouverture-fantasia Romeo e Giulietta di Čajkovskij, la coesione tra podio e sezione è stata totale, frutto di una leadership discreta ma decisiva.

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