Casta Diva, la preghiera di Norma alla luna tra le note del flauto

Il primo flauto del Teatro Massimo Bellini, il maestro Salvatore Vella, racconta il suo rapporto con l’opera, con il Cigno catanese e l’approccio esecutivo ai brani d’opera

Irene Isajia

Norma è l’opera più nota e diffusa del compositore Vincenzo Bellini con cui il Teatro Massimo ha scelto di inaugurare la stagione lirica e balletto 2024/2025 celebrando il 190° anno della morte del Cigno catanese.

Una composizione che ha visto molteplici realizzazioni, dalle regie più tradizionali a quelle che si aprono alla contemporaneità con scenografie digitali e spettacolari.

Nell’allestimento proposto al Teatro Massimo Bellini, scene e costumi sono del regista argentino Hugo de Ana che trasporta la vicenda nell’Ottocento napoleonico non rinunciando a rimandi alla classicità tardo settecentesca.

Le scelte estetiche del regista sono di grande impatto, specie nell’innesto di tableaux vivants tra cui spicca il discusso gran finale dell’opera in cui la protagonista muore trafitta dalle lance e non sul rogo, così come previsto dal libretto di Felice Romani.

Dal punto di vista musicale, sul podio il giovane direttore d’orchestra, Leonardo Sini, si confronta con l’edizione critica curata da Roger Parker. Norma è un capolavoro romantico in cui le strutture neoclassiche sono rimodellate nel crogiolo delle passioni che emergono da un ritmo teatrale stringente, tempi serrati, canto sostenuto e colori orchestrali accesi e vividi.

Se l’interpretazione scenica dinanzi al libretto può essere condivisa o discutibile, la musica di Bellini resta pressoché fedele. Eppure, anche i musicisti si confrontano con i giganti della musica quando studiano e interpretano i pezzi d’opera. Una delle arie più note di Norma è l’aria Casta Diva, la preghiera che la protagonista, sacerdotessa, donna, madre e amante, eleva alla luna. Bellini affida questo cantabile al flauto che suona dapprima solista, evocando tutti i sentimenti di Norma, e, subito dopo, accompagna le sue parole che invocano, supplicano e si affidano.

Abbiamo approfondito alcuni aspetti del lavoro del musicista e del suo rapporto con l’opera, proprio con il primo flauto del Teatro Massimo Bellini di Catania, il maestro Salvatore Vella.

Il suo rapporto con l’opera inizia in banda sin dalla giovanissima età. In Italia, in particolare in Sicilia e in Puglia, le bande musicali hanno un ruolo importante per ciò che riguarda il rapporto con l’opera e la sua trasmissione nelle piazze e tra il pubblico popolare.

Il primo approccio fu proprio con Bellini e il solo di Casta Diva nella versione bandistica. Aveva ancora undici anni, piccolo di statura, e per suonare “Lucia di Lammermore” di Donizetti, insieme alle voci di soprano, mezzo soprano, tenore e baritono, ricorda che lo mettevano su una sedia perché potesse essere visibile dal pubblico.

Le opere venivano prodotte in giro per le piazze. La sua prima esperienza teatrale dell’opera fu al Teatro dell’opera di Genova – dove aveva vinto il concorso in orchestra - con il Macbeth di Verdi. Con Bellini e la sua Norma, il primo incontro a teatro fu proprio a Catania, al Teatro Massimo nel 1990, direttore d’orchestra Daniel Oren e soprano Lucia Aliberti.

un momento dello spettacolo

Un momento dello spettacolo

Quando ha inizio il suo rapporto con Bellini compositore?

«L’approccio con Bellini e le sue opere avviene nel 1990. Prima con Puritani e poi con Norma – spiega il maestro Salvatore Vella -. Non si tratta di suonare soltanto soli per flauto perchè Bellini mette spesso insieme il flauto accanto ad altri strumenti a fiato: i suoni del flauto e del clarinetto – come accade in Puritani - o ancora dell’oboe – nella parte conclusiva dell’aria Casta Diva. Spesso il flauto duetta con la cantante, anticipa il tema e poi questo si sviluppa nel canto come nel caso dell’aria “Oh rimembranza!” in Norma, ne “Il Pirata” nell’aria finale o anche ne “La Straniera” nella parte introduttiva».

«Il flautista si confronta con aspetti tecnici importanti, note molto acute, virtuosismi, senza tralasciare l’aspetto importante che riguarda la profondità e lo spessore del personaggio che il compositore scrive su quelle pagine bianche e il cui aspetto interpretativo non è univocamente strumentale – aggiunge -. Nell’opera il personaggio è anche teatrale, così come reso dalla voce, dalla gestualità e dall’interpretazione del cantante o della cantante. È singolare come Bellini scelga il flauto, in più opere e in diverse occasioni, per introdurre i personaggi: probabilmente il suo suono arrotondato, chiaro, dal colore caldo lo rende adatto a voce narrante».

"Norma" è l’opera che le più cara, perché?

«Norma esprime dei sentimenti profondi, particolarmente con la sua preghiera alla Luna da cui emerge una grande intensità e intimità, un forte calore – spiega il maestro -. Io sono particolarmente portato e legato al repertorio romantico, sebbene questo sia esiguo per flauto e pianoforte».

«Il repertorio più denso è basato su parafrasi d’opera – aggiunge -. Bisogna ricordare che proprio nell’Ottocento nasce la musica da salotto in cui un organico cameristico, formato da due o più strumenti (archi e/o fiati) suonavano le arie d’opera più belle. Nell’aria di Casta Diva, il flauto esprime questo sentimento di richiesta profonda e intima che la sacerdotessa rivolge alla luna, anche come madre».

«Io sono molto legato a quest’opera, forse perché è stata la prima che ho eseguito da bambino e, tra le opere, è la più eseguita – continua -. C’è un altro momento, per me, molto significativo di quest’opera in cui il flauto e l’oboe concertano insieme all’orchestra ed è il momento finale, prima che i protagonisti salgano al rogo, in cui forti sono le emozioni di amore e tragicità della morte che vengono evocate dalla musica».

Come si fa a rendere credibili i sentimenti dei protagonisti cosi come Bellini li scrive sulle righe del pentagramma?

«Devo dire grazie al maestro Daniel Oren – dice Salvatore Vella -. La prima volta che mi sentì suonare Casta Diva, avevo diciannove anni. Al termine delle prove mi disse: “Bravo! Dopo, però, dobbiamo vederci in camerino per spiegarti come cantare quest’aria, perché tu la suoni da strumentista. Devi immaginare di essere un cantante, una cantante, e tenere la ritmica del suo canto”. Il fatto di suonare quest’aria in contesti diversi, lontani dal palcoscenico teatrale, distorce la modalità di esecuzione tale che non sempre l’esecuzione corrisponde a ciò che Bellini ha realmente scritto».

E aggiunge il maestro Vella riportando le parole di Daniel Oren: «Il suono va declamato come se, per ogni nota, volessi dire qualcosa».

«Questo – aggiunge Vella - mi ha aperto una finestra sul modo di eseguire i pezzi d’opera poiché, nell’opera, lo strumento non è fine a se stesso ma è voce del personaggio e, in quanto tale, è interpretato da una voce sul palcoscenico. Quest’ultima propone una sua idea interpretativa che procede in accordo tra strumento e voce perché chi ascolta percepisca un unico personaggio. Di solito, quando iniziamo una produzione, ho sempre la curiosità di ascoltare il soprano che canterà Norma».

«Vado ad ascoltare le prove di sala, in cui i cantanti provano con il pianista accompagnatore, oppure aspetto la prova all’italiana, dove l’orchestra si confronta con i cantanti, in cui il direttore ci propone di provare, ad esempio, Casta Diva – continua il maestro -. Non sempre la mia idea di Norma coincide con la stessa proposta dalla cantante. Qui inizia il lavoro insieme: il mio dovere di primo flauto non è quello di essere solista ma di assecondare ciò che la cantante vuole esprimere nel suo personaggio. Così cerco di affinare l’interpretazione per essere vicino nel timbro, nella metrica e nel tempo di esecuzione».

Come lo vede il futuro dell’opera?

«L’opera, credo, non tramonterà mai – ci tiene a sottolineare il maestro Salvatore Vella -. Sebbene il melodramma sia nato in Italia, il nostro paese fatica a portar avanti questa meravigliosa tradizione. Le proposte in teatro vertono principalmente sulle opere note che hanno sempre grande appeal sul pubblico e, recentemente, anche sul pubblico giovane. Di fatto, ancora oggi, la media del pubblico che frequenta i teatri rimane ancora alta e legata a fasce medio alte. I nostri partner all’estero, e posso dirlo sulla mia esperienza in oriente, sono innamorati dell’opera e il pubblico è educato sin dalla tenera età nelle scuole».

«Forse dovremmo crederci di più, alimentare la cultura del melodramma tra i giovani e non necessariamente con esasperazioni drammaturgiche nell’intento di avvicinare la storia di oggi alla tradizione – continua -. Se il melodramma continua ad essere vivo dopo oltre duecento anni è perché la sua musica contiene una contemporaneità legata alla storia degli uomini e delle donne, di ieri e di oggi».

«Dobbiamo essere più orgogliosi delle nostre radici e avere la forza e il coraggio di continuare a raccontare il passato perché sia luce sul futuro, ma anche di suonare il tesoro che i nostri musicisti, come Vincenzo Bellini, ci hanno lasciato in eredità per continuare a suscitare emozioni forti e riflettere – aggiunge Vella -. E, inoltre, continuare a perseverare sul piacere di vivere il teatro dell’opera come spazio di condivisione e fruizione dell’arte perché la bellezza non abbia fine».

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