Milioni di persone in tutto il mondo ne soffrono. Ecco alcuni consigli utili per imparare a gestirla. L’intervista alla psicologa psicoterapeuta Maria Grazia Scopazzo
“Non ce la farò mai”. “Mi manca il coraggio”. “Tutto è difficile, enorme, complicato”. “Mi sento in trappola”. “Mi manca il respiro, sto per impazzire, anzi forse sto morendo”. “E se farò brutta figura?” “Chissà cosa penseranno di me”. “Vorrei scappare”.
Lo stomaco si aggroviglia in una morsa, il cuore scalcia nel petto, i pensieri si rincorrono l’uno dietro l’altro, sempre più catastrofici. Non c’è più aria, non c’è più spazio per la razionalità e la calma. L’azione si blocca, pietrificata dalla paura; la notte non si dorme più.
Eccola, l’ansia: quella vera, paralizzante, che va ben oltre una semplice tensione momentanea e che avvelena la nostra esistenza poco alla volta, giorno per giorno.
Milioni di persone in tutto il mondo soffrono di attacchi di panico, ansia generalizzata, agorafobia, ossessioni e compulsioni, fobia sociale, tutte manifestazioni di una patologia diffusissima che troppo spesso viene trascurata ma che richiederebbe più attenzione, per evitare di sfociare in una sofferenza esistenziale profonda, invalidante e permanente.
Fare “un bel respiro” non sempre basta; e allora, cosa fare?
Ne abbiamo parlato con Maria Grazia Scopazzo, psicologa psicoterapeuta, dal 2013 referente del servizio di Counseling Psicologico d'Ateneo, curatrice del webinar "CHE ANSIA! Conoscere l’ansia per imparare a gestirla", seminario gratuito di approfondimento sui meccanismi interni che innescano il circolo vizioso e su come sperimentare e acquisire modalità di gestione più sane dell’ansia, che si è svolto mercoledì 5 aprile sulla piattaforma Microsoft Teams
Come nasce l’idea di questo webinar e a quali bisogni vuole rispondere?
«Il webinar nasce sia dall’attività del nostro servizio di counseling psicologico, caratterizzata da un quotidiano e costante lavoro di supporto agli studenti, sia dalla mia formazione: sono una psicoterapeuta cognitivo-comportamentale con “il pallino” per le evidenze scientifiche e i protocolli di intervento replicabili. Attività sul campo e formazione mi hanno permesso di formulare e perfezionare un modus operandi per fornire supporto psicologico specifico per ciascuna problematica, replicabile, basato su evidenze scientifiche e in grado di rispondere in modo concreto alle esigenze degli utenti».
Ci può spiegare, in sintesi, le attività svolte dal servizio di counseling psicologico dell’Università di Catania?
«Attualmente il servizio offre percorsi individuali, brevi e mirati, caratterizzati da un massimo di cinque colloqui con cadenza mensile o bimestrale che però si avvalgono di strumenti di intervento anche esterni: fin dal primo colloquio, quando la valutazione iniziale consente una presa in carico di supporto psicologico, fornisco agli studenti strumenti di lavoro da poter utilizzare anche quando non ci vediamo, per esempio uno schema di automonitoraggio mirato, homeworks e/o schede di psicoeducazione specifiche».
«Accanto a questo più “tradizionale” percorso di tipo individuale (che di tradizionale forse ha ben poco), da circa un anno ho pensato di rendere fruibile il supporto psicologico a più utenti contemporaneamente, dando loro la possibilità di partecipare a dei webinar telematici su argomenti di interesse comune. Come per il percorso individuale, ho cercato di dare un taglio il più possibile operativo e pratico anche ai webinar, offrendo ai partecipanti la possibilità di acquisire strumenti e strategie che nel corso di questi 10 anni si sono dimostrati i più efficaci nella gestione del problema oggetto del webinar».
Quali aspetti verranno affrontati, in particolare, nel corso del webinar?
«Il webinar affronterà nello specifico modi e strategie per gestire l’ansia. Si tratta di una iniziativa che è già alla terza edizione: sono gli stessi studenti che ci hanno richiesto di replicare questo intervento».
Come si può definire l’ansia?
«L’ansia è un’emozione e come tutte le emozioni svolge una funzione di adattamento. Consiste in una serie di cambiamenti fisici e cognitivi scatenati da un evento, esterno e/o interno, con lo scopo di affrontare il momento: ci avverte che dobbiamo affrontare un problema. Possiamo paragonarla ad un sistema di allarme che si attiva di fronte ad un pericolo».
Quando l’ansia è fisiologica e utile all’uomo e alla sua “sopravvivenza” e quando invece sfocia nella patologia?
«Un certo grado di ansia, se non è eccessivo, è utile e necessario per affrontare sia un pericolo fisico che alcune attività che richiedono impegno, maggiore concentrazione e attenzione, come un esame universitario. I cambiamenti fisici indotti dall’ansia includono, per esempio, l’aumento della frequenza cardiaca che consente al nostro cuore di far arrivare più sangue ai nostri organi per essere più reattivi, più capaci di rispondere prontamente al pericolo che va affrontato. più sangue al cervello consente una maggiore attenzione, più sangue ai muscoli maggiore capacità di fuga dal pericolo o di attacco per difendersi».
«L’ansia, quindi, è sana quando svolge una funzione adattiva per l’individuo rispetto al contesto scatenante e quando è motivante. L’ansia può diventare nociva e compromettere la prestazione quando è in eccesso e quando è in difetto perché non si dà il meglio di sé. Diventa patologica quando è disfunzionale, più intensa di quella necessaria, tanto da far “andare in tilt” e in confusione al punto di diventare bloccante. Non è più un’ansia utile perché non ci motiva ad affrontare il pericolo ma ci paralizza».
In base alla sua esperienza, quali sono le principali difficoltà riscontrate dagli studenti durante il loro percorso accademico? Cosa crea maggiormente ansia?
«Le principali difficoltà riscontrate, quelle che poi più di frequente sono i motivi che spingono i nostri studenti a chiedere aiuto, riguardano l’ansia patologica, la ripetizione di cicli disfunzionali di procrastinazione, la demotivazione e in alcuni casi anche l’apatia legata ad un abbassamento del tono dell’umore come conseguenza del fatto che si sperimenta un Sé estremamente vulnerabile».
«Le problematiche di tipo ansioso si presentano in genere in due forme: un’ansia più legata al giudizio altrui, alla paura di apparire strani o di perdere il controllo ed esserne giudicati negativamente, oppure difficoltà nella gestione degli stessi sintomi di ansia, cioè più legata all’idea che mi stia succedendo qualcosa di molto pericoloso per la mia salute. Ciò che si teme è proprio che l’aria mi manchi davvero o che io possa morire con un infarto, per esempio».
«Delle volte si può fare fatica ad individuare ciò che procura ansia perché si è innescato nel tempo un meccanismo per cui ogni volta che sento che l’ansia sta per salire o che potrebbe salire, perché per esempio il cuore inizia a battere più forte, apparentemente senza motivo ma in realtà perché lo sto attenzionando, attivo quel sistema di allarme che diventa così esso stesso il sistema d’innesco per un ulteriore attacco di ansia perché non normalizzo, non mi rassicuro e mi allarmo».
L’ansia potrebbe essere considerata anche un segnale, da parte del nostro inconscio, di un mancato allineamento tra ciò che siamo, ciò che vogliamo e ciò che facciamo? Quindi una sorta di “amica” che vuole “salvarci” da una esistenza inadeguata alle nostre potenzialità?
«Come dicevo prima, l’ansia come tutte le emozioni svolge una funzione di adattamento; di per sé non è né positiva né negativa, può però essere fastidiosa. Ci avverte che c’è un pericolo da affrontare. Il problema non sono le emozioni di per sé ma la loro intensità e durata. L’ansia non è un’emozione negativa, non la si può e non la si deve eliminare. Si attiva in modo fisiologico e utile alla nostra sopravvivenza ogni volta che affrontiamo l’incerto, fuori o dentro di noi».
«Ma l’ansia, come tutte le emozioni ha un suo substrato cognitivo: cosa mi mette così tanta ansia, eccessiva, paralizzante e demotivante? È fondamentale provare a definire chiaramente qual è il pericolo che ci sta allarmando e per farlo, nel momento in cui proviamo ansia, proviamo a chiederci cosa mi sta passando per la mente, a cosa sto pensando, cosa immagino possa accadere, come mi vedo rispetto a quello che sta accadendo. Ed è su questo che dobbiamo e possiamo lavorare».
La scelta di un percorso di studi non consono alle proprie aspirazioni e inclinazioni può contribuire a innescare dei fenomeni ansiogeni e/o depressivi. Come può fare lo studente a liberarsi dal peso delle aspettative di famiglia e società e seguire la propria strada?
«Chiedendo aiuto ad un servizio come quello di counseling psicologico, per esempio. Un esperto può aiutarci a trovare vie di uscita rispetto a situazioni che sembrano non averne: per ogni problema c’è sempre una soluzione, spesso addirittura anche più di una».
Non riuscire a sostenere gli esami, vedere il traguardo della laurea sempre più irraggiungibile e non avere il coraggio di parlarne in famiglia, magari annunciando una seduta di laurea inesistente, sono situazioni logoranti che possono generare stati di ansia, di depressione che purtroppo in certi casi, come ci riporta la cronaca, portano anche a conseguenze estreme come il suicidio. Cosa si può fare per evitare il ripetersi di certe tragedie?
«Il suicidio è una soluzione permanente ad un problema temporaneo: quando si è disperati, non si riescono a vedere le cose in modo obiettivo e si assume una prospettiva ristretta che è quella del momento, ma che tra un mese potrebbe cambiare. Chi pensa al suicidio non vuole realmente morire: desidera porre fine ad un dolore insopportabile. Ciò che si vuol fare cessare è il dolore e non la propria esistenza».
«Esistono molteplici soluzioni che possono far cessare quel dolore e disinnescare quei meccanismi che hanno portato a non riuscire a sostenere gli esami o ad accumulare ritardi o ad annunciare sedute di laurea inesistenti: anche da quel tipo di trappola se ne può uscire e i servizi come il nostro ne sono un esempio. In questi 10 anni ho visto tantissimi ragazzi riuscire a trovare soluzioni alternative soddisfacenti prima di tutto per se stessi: perché la vita è nostra e ci dobbiamo concedere il diritto anche di aver sbagliato, contrastando pretese perfezionistiche su di noi, pretese che non abbiamo verso gli altri».
Uno studente che ha bisogno di aiuto e di ascolto può trovare conforto in una figura esperta?
«Sì. Con l’aiuto di un esperto è possibile riorganizzare la propria vita passo dopo passo e sperimentare che si può uscire da quei loop mentali che, quando viviamo emozioni di forte intensità, ci impediscono di trovare soluzioni alternative. Quando siamo molto tristi, infatti, è difficile riuscire a vedere vie di uscita da soli. Ci sentiamo senza speranza, ci vediamo meno capaci, pensiamo che tutti siano migliori di noi, ricordiamo solo le cose negative del passato».
«Il nostro cervello è come atrofizzato in questa visione pessimistica di noi stessi, del mondo e del futuro, una visione che si autoalimenta. Il meccanismo è il seguente: vedo che non riesco a fare le cose, e più mi vedo “non fare” più si abbassa il mio tono dell’umore, tanto da arrivare a pensare di non avere speranza e a non riuscire a formulare soluzioni, che invece esistono».
Come si esce da questa spirale negativa?
«Bisogna fermarsi e chiedere aiuto. Ai servizi presenti sul territorio, al nostro servizio di counseling o anche solo a un amico, a un familiare, al proprio medico di famiglia. Provare a farsi aiutare è fondamentale, è molto meno faticoso che restare da soli senza nessuno degli strumenti esistenti che ci possono realmente aiutare ad affrontare questi meccanismi interni. Può capitare di non voler chiedere aiuto perché si vuole “evitare di dare un dispiacere ai propri cari”: se un vostro caro stesse vivendo problematiche simili, voi non vorreste aiutarlo? Proviamo a spiegare alle persone a cui vogliamo bene il nostro stato d’animo confidandoci con loro, dando voce ai nostri bisogni, alle nostre emozioni».
A fatica ci stiamo riprendendo dall’esperienza traumatica del Covid. Quanto ha inciso la pandemia nell’insorgenza di stati di ansia?
«Notevolmente. Basti pensare allo stato di costrizione in cui ci siamo ritrovati a dover convivere all’improvviso e per un tempo indefinito - non si sapeva se sarebbe finita, quando e come- , alle continue immagini che per mesi ci hanno accompagnato, alle preoccupazioni legate all’incertezza assoluta rispetto al futuro, per non parlare della paura del contagio, un contagio di cui noi potevamo essere “responsabili”».
«Quando la nostra mente si trova di fronte a un futuro indefinito tende a dargli la forma di una catastrofe: lo facciamo per controllare l’incerto, perché l’illusione di poterlo controllare per un po' ci abbassa l’ansia, ma dura poco, perché catastrofizziamo immaginando esiti sempre più disastrosi. Pensieri ed emozioni si influenzano reciprocamente innescando un circolo vizioso: non solo il pensiero di scenari futuri catastrofici innesca l’ansia, ma anche viceversa, cioè quando proviamo ansia leggiamo tutto in modo catastrofico».
Il webinar si rivolge essenzialmente agli studenti del nostro ateneo. Anche il personale è però vittima di stati ansiosi e depressivi, causati da stress, fenomeni di burnout, impossibilità di disconnessione, demansionamento, difficoltà di inserimento nel contesto lavorativo. Sono previste iniziative in tal senso, come webinar dedicati o attività di counseling estese anche ai dipendenti?
«Sia il servizio di counseling psicologico che il webinar si rivolgono agli studenti del nostro ateneo. Occuparsi di un’utenza diversa richiederebbe anche una formazione più sul versante della psicologia del lavoro e delle organizzazioni: la salute mentale delle persone è un ambito di lavoro molto delicato e richiede operatori con formazione molto specifica ed esperienza sul campo. Credo che la nostra Università si stia attrezzando anche in questo campo, ha sempre mostrato una particolare sensibilità verso queste problematiche anche quando non era ancora così comune occuparsene».
Hai bisogno di aiuto? Contatta il servizio di Counseling psicologico d'Ateneo, scrivendo a counseling.psicologico@unict.it o telefonando allo 095/7307041

La psicologa psicoterapeuta Maria Grazia Scopazzo