Ci siamo bevuti il cervello?

A Etna Comics 2025 la proiezione del corto di Vincenzo D’Asaro

Graziana Fisichella

«Vi siete bevuti il cervello?». Questa la domanda che fa da protagonista al cortometraggio Meme del regista e sceneggiatore emergente Vincenzo D’Asaro. Una domanda rivolta non solo ai personaggi del corto ma idealmente anche al pubblico, presente venerdì 30 maggio, durante la quindicesima edizione di Etna Comics tenutasi al centro fieristico le Ciminiere di Catania.

Meme è un’opera di circa sette minuti, la cui idea di base è nata da una poesia del regista, che esplora in chiave distopica e drammatica le dinamiche della viralità e dell’identità nell’era digitale e che ci fa interrogare su come la nostra soglia dell’attenzione si stia abbassando sempre di più fino a ridursi a meno di quella di un pesce rosso.

Il film racconta la storia di un professore che, dopo una scenata di rabbia, diventa improvvisamente famoso online, trasformandosi in un meme virale. Il protagonista viene poi invitato a una trasmissione ma, se da parte sua c’è la volontà di fare un discorso serio sulle problematiche della nostra epoca digitale e iperconnessa, da parte del programma c’è invece quella di continuare a perpetuare il meme “divertente” del professore che urla invano a un mondo sempre più sordo e distratto.

Un frame del monologo del professore

Un frame del monologo del professore

Infatti, mentre lui continua il suo monologo sul preoccupante abbassamento dell’attenzione, gli spettatori si disconnettono sia digitalmente che mentalmente, tranne uno. Il corto ha un finale aperto  che raffigura un sistema contrario al cambiamento: viene infatti svelato qualcuno che, avendo controllato da uno schermo ciò che stava accadendo, avverte un ipotetico collega della necessità di stroncare sul nascere questo nuovo fastidioso tentativo di sensibilizzazione.

La conclusione oltre ad alludere a un possibile sequel (che vedrebbe come protagonista l’unico ragazzo riuscito a mantenere l’attenzione fino alla fine), fa da critica all’operato di alcune correnti politiche che, sfruttando  la disinformazione, utilizzano una comunicazione sempre più banalizzata e superficiale al fine di influenzare le masse.

Ma se i meme sulla realtà sono stupidi, allora anche la realtà risulterà stupida? L’opera di D’Asero gioca sul mescolarsi della diegesi con la realtà extra filmica degli spettatori, perché è effettivamente questo ciò che viviamo ogni giorno quando siamo connessi: a un certo punto non ci rendiamo più conto di ciò che è finto e di ciò che è vero. 

Non a caso il regista, durante l’incontro, ha regalato alcune magliette indossate dai personaggi del film per sottolineare che quanto visto dal pubblico non rimane solo sullo schermo. Con lui Adriana Matarazzo, studentessa dell’Università di Catania, che ha collaborato al concept dell’opera e consulente grafico per la locandina e il font dei titoli di testa e di coda.

Un frame che mostra la maglietta distribuita dal regista a Etna Comics

Un frame che mostra la maglietta distribuita dal regista a Etna Comics

Meme esplora inoltre il tema della perdita di controllo sulla percezione della propria identità. Nel web ogni gesto e parola può essere amplificato e distorto rimanendo intrappolato nella gabbia divertente del meme. Il problema è che non sempre questa nuova immagine, assegnataci dal web, corrisponde con l'immagine che si ha o che si vorrebbe dare di sé stessi in quei pochissimi secondi di notorietà. Il protagonista del corto, infatti, non si riconosce nel personaggio che gli è stato assegnato e prova invano a comunicare il suo vero pensiero.

D’Asaro adotta un linguaggio visivo essenziale e diretto con un ritmo veloce e concitato che riflette l’urgenza e la frenesia del mondo digitale. L’ambientazione e l’atmosfera grottesca accentuano il senso di alienazione del protagonista, mentre l’uso di elementi grafici e sonori sottolinea l’invasività della tecnologia nella vita quotidiana. Ciò che è immediatamente riscontrabile dall’inizio alla fine di Meme è la volontà di descrivere la realtà in chiave distopica attraverso lo scenario cupo dei media che fagocitano gli esseri umani.

Il regista ammette di essersi ispirato alla famosa serie Netflix Black Mirror dalla quale riprende l’intento di critica sociale raccontando il modo in cui la  società potrebbe effettivamente degenerare in un futuro anche prossimo.

Un frame del corto che ritrae l’unico ragazzo che non perde l’attenzione fino alla fine

Un frame del corto che ritrae l’unico ragazzo che non perde l’attenzione fino alla fine

Come aggiunge D’Asaro durante l’intervista rilasciata a seguito della visione del corto: «La società è più attratta dal pessimismo e dalle cose tragiche che dalle cose positive» – per poi aggiungere – «l’esasperazione serve per avvicinare le persone al tema».

Un’altra sua idea per un prossimo progetto è infatti quella di creare una web serie nella quale un personaggio distrugge cellulari come atto simbolico di ribellione nei confronti della dittatura che i social media hanno creato e continuano a creare. 

Non a caso l’ansia e la volontà di esagerare per denunciare sono le caratteristiche che secondo il regista possono attrarre ma anche far riflettere il pubblico su ciò che accade, per evitare che alla connessione digitale segua una disconnessione emotiva e pertanto non finire col berci il cervello una volta per tutte.

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