Un nuovo studio pubblicato sull’autorevole rivista Global Change Biology dei ricercatori Alessandro Nota, Francesco Tiralongo, Sandro Bertolino e Alfredo Santovito
Le specie aliene sono una delle principali cause di perdita di biodiversità a livello globale, rappresentando quindi una grave minaccia per gli ecosistemi di tutto il mondo. Le conseguenze che questi organismi possono provocare interessano talvolta l’economia e la salute pubblica.
L’introduzione di specie aliene rappresenta quello che in biologia delle popolazioni viene definito un effetto del fondatore: alcuni individui di una specie vengono presi e trasportati in un nuovo areale, dove possono fondare una nuova popolazione.
Talvolta gli individui introdotti sono davvero pochi, ma nonostante ciò, sono in grado di diventare invasivi e soppiantare le specie locali.
Come è possibile? È noto, infatti, che l’incrocio tra consanguinei (in gergo inbreeding) possa portare ad una ridotta probabilità di sopravvivenza nei figli (pensiamo ad esempio ai cani di razza, spesso più soggetti a malattie rispetto ai meticci).
Allora, come è possibile che queste specie aliene sopravvivano? E soprattutto, come è possibile che siano tutto d’un tratto in grado di soppiantare le specie native, le quali hanno invece avuto decine di migliaia di anni per adattarsi proprio a quello specifico ambiente? Quando ed in che modo avviene l’adattamento delle specie aliene al nuovo habitat, talvolta nettamente differente da quello nativo?
A questi quesiti risponde Alessandro Nota, giovane ricercatore dell’Università di Pavia, primo autore dello studio dal titolo Adaptation to bioinvasions: When does it occur? pubblicata sull’autorevole rivista scientifica Global Change Biology.
«Con un importante lavoro di revisione della letteratura scientifica abbiamo cercato di dare una risposta a tutte queste domande», sottolinea il ricercatore.
Alcuni esemplari di granchi blu pescati nella zona del delta del Po
La revisione, elaborata nell’ambito della tesi triennale di Alessandro Nota, ha visto la collaborazione di Ente Fauna Marina Mediterranea con ricercatori e docenti di tre università italiane.
A firmare lo studio, infatti, i docenti Francesco Tiralongo dell’Università di Catania, Sandro Bertolino e Alfredo Santovito dell’Università di Torino.
«Quello che è emerso è che l’adattamento delle specie aliene è un processo talvolta molto complesso, in grado di coinvolgere aspetti ecologici, genetici e non solo – aggiunge Alessandro Nota -. In particolare, risulta evidente che l’adattamento di una specie aliena non avviene soltanto quando questa è già stata introdotta, ma parte dal suo areale di distribuzione nativo e coinvolge tutte le diverse fasi di un’invasione biologica: trasporto, eventuale coltivazione-allevamento, ed infine introduzione nel nuovo habitat e successiva stabilizzazione ed espansione».
Nel range nativo, le future specie aliene possono sviluppare, ad esempio, la cosiddetta plasticità fenotipica, ovvero la capacità di cambiare le proprie caratteristiche fisiche o comportamentali in risposta all'ambiente.
Condizioni ambientali fluttuanti possono predisporre gli organismi a sviluppare questa capacità, e di conseguenza, qualora essi dovessero trovarsi in un nuovo ambiente, sarebbero più facilmente in grado di rispondere a nuovi stimoli ambientali, differenti da quelli subiti in precedenza.
Anche il trasporto gioca un ruolo chiave nell’adattamento delle specie aliene. Pensiamo ad una nave che dalle fredde acque del nord Europa si debba dirigere nel sud del Mediterraneo: eventuali organismi attaccati allo scafo di questa nave dovranno sopportare un cambiamento di temperatura notevole.
Pesce Flauto, Fistularia commersonii, pescato nelle acque di Marzamemi
Se questo cambiamento dovesse avvenire in modo molto rapido, probabilmente questi organismi morirebbero tutti; se invece la nave facesse diverse pause in diversi porti a diverse latitudini, potrebbe lasciare loro il tempo di adattarsi al cambiamento di temperatura.
Anche nel range di introduzione vi possono essere diversi meccanismi in grado di favorire l’espansione di una specie aliena.
Ad esempio, gli organismi introdotti possono sopperire al problema dell’inbreeding incrociandosi con altre specie ad essi vicine, siano native o aliene anch’esse. Inoltre, l’alterazione degli habitat da parte dell’uomo può ulteriormente favorire l’espansione delle specie aliene nel nuovo range.
Capire quando ed in che modo avvenga l’adattamento delle specie aliene risulta fondamentale per poter calibrare al meglio gli sforzi di gestione e controllo delle stesse.
È infatti necessario conoscere molto bene questi processi di adattamento per sapere quando ed in che modo intervenire su di essi.
«Il Mediterraneo attualmente ospita circa mille specie aliene di diversa origine, di cui alcune a carattere invasivo – spiega Francesco Tiralongo dell’Università di Catania -. Alcuni degli esempi più noti sono certamente il granchio reale blu (Callinectes sapidus), di origine atlantica, e il pesce scorpione (Pterois miles), che viene invece dal Mar Rosso».
«Comprendere meglio le dinamiche che stanno dietro ai processi delle invasioni biologiche è di fondamentale importanza per cercare di prevenire o mitigare le problematiche che queste specie danno al nostro ecosistema e, come abbiamo visto, talvolta anche all’economia e alla salute dell’uomo», conclude il docente dell’ateneo catanese.