Al Dipartimento di Giurisprudenza il tema è stato affrontato dai diversi esperti in occasione dell’incontro sui percorsi storici della discriminazione
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, che ricorre ogni 25 novembre, il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania ha organizzato l’evento I percorsi storici della discriminazione e della violenza di genere per discutere sul libro MaLeFemmine? Itinerari storico-giuridici di una parità incompiuta.
Ad aprire l’incontro è stato il prof. Salvatore Zappalà, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, che ha affermato l’importanza del tema trattato sottolineando che si tratta di «un argomento particolarmente rilevante di cui l’ateneo e la struttura dipartimentale che guido, in particolare, si occupano sempre più spesso trattandosi di una problematica che va affrontata a 360 gradi».
La prof.ssa Vania Patanè, direttrice del Centro di ricerca sulla giustizia dei minori e della famiglia “Enzo Zappalà”, è intervenuta evidenziando come «di questo tema non si parla mai abbastanza».
«È stato stimolante rendersi conto di come il problema di una progressiva affermazione del ruolo della donna nella società, come ben si dice nella prefazione del testo, è caratterizzato da un paradigma socio-antropologico del primato del maschio, che ha relegato la donna alla cura della famiglia e della casa, una condizione avallata dalla chiesa e perpetrata dal diritto» ha aggiunto la docente.
Prima di passare la parola al prof. Ernesto De Cristoforo, moderatore dell’incontro organizzato dal Centro di ricerca sulla giustizia dei minori e della famiglia “Enzo Zappalà”, la prof.ssa Patanè ha ricordato come questo seminario sia stato il primo organizzato dal Centro da quando è intitolato alla memoria del prof. Enzo Zappalà, scomparso di recente.
Un momento dell'intervento del prof. Salvatore Zappalà. Al suo fianco la docente Vania Patanè e il procuratore aggiunto Marisa Scavo del Tribunale di Catania
Il primo relatore a prendere parola è stata la docente Adriana Ciancio, ordinaria di Diritto costituzionale, che insieme con la prof.ssa Rosalba Sorice, insegna Eguaglianza, donne e diritti.
«Nel mio piccolo sono un’elaboratrice di cultura visto che esercito questo mestiere e poiché ritengo che il problema sia culturale – spiega la prof.ssa Ciancio -. Con la collega Rosalba Sorice abbiamo deciso di creare questo corso nel Dipartimento di Giurisprudenza. Tra l’altro la nostra società, quella italiana, ha un ordinamento che appartiene al G7, tra i paesi quindi più industrializzati del mondo e ciononostante sentiamo ogni giorno parlare di atti di violenza, aggressione e quant’altro nei confronti delle donne».
Sul filone costituzionalista la docente ha ricordato un aspetto alquanto trascurato ponendo un quesito: «Perché il testo costituzionale enuncia in maniera assolutamente compiuta, nonostante sia rimasta lungamente inattuata, il principio di parità? Questo perché la Costituzione è il primo atto normativo dello Stato unitario alla cui elaborazione hanno partecipato le donne in quanto elettrici dell’assemblea costituente, cioè organo che ha poi varato il testo, ma anche in quanto madri costituenti perché in quel consesso di 756 membri, ventuno erano donne».
Un momento dell'intervento della prof.ssa Vania Patanè
«Dunque hanno contribuito in modo decisivo nella redazione del testo costituzionale e nella enunciazione in maniera netta del principio parità – ha continuato la docente –. Tuttavia la stessa Corte costituzionale ha stentato a volersi adoperare in funzione della piena implementazione dell’ordinamento in termini di uguaglianza di genere o per lo meno in termini di svecchiamento di tutto l’ordinamento ereditato dall’età fascista o comunque dall’epoca pre-repubblicana in funzione di attuazione di questi principi».
A seguire è intervenuta Adriana Di Stefano, docente di Diritto dell’Ue e delegata d’ateneo per le Pari opportunità, che ha mosso le sue riflessioni sul tema della violenza e in ambito accademico.
«L’Ue ha avviato il suo piano per l’uguaglianza di genere imponendo, su base pluriennale, a tutti gli istituti di ricerca e alle università di adottare dei piani per l’eguaglianza di genere che sono un requisito condizionale e condizionante rispetto all’accesso ai finanziamenti europei Horizon – ha spiegato -. Fino a questo momento in Italia e in Europa pochissimi atenei si erano dotati di un Gender equality plan con politiche programmate volontariamente su un piano pluriennale».
«Un elemento fondamentale dei Gender equality plan degli atenei è quello dedicato al tema della violenza domestica: alcuni di questi contributi raccontano di inter-sezionalità e di violenza economica, un tema che resta nascosto e solo ultimamente, attraverso il contributo importante della convenzione di Istanbul, ha avuto una sua riconoscibilità», ha aggiunto.
Un momento dei lavori
Santo Di Nuovo, professore emerito di Psicologia, ha detto in apertura del suo intervento di «rappresentare due realtà: una è quella del genere maschile tra i quattro relatori; l’altra è quella di essere psicologo e quindi di rappresentare la mia disciplina».
«Gli argomenti dell’incontro sono due: perché non si è raggiunta la parità di genere e perché persistono questi episodi di violenza? Entrambi i temi sono collegati. In tutto questo, cosa c’entra la psicologia? Quando parliamo di generi non parliamo di specie diverse, ma parliamo di differenze nella stessa specie», ha aggiunto.
«Le differenze ci sono da un punto di vista biologico, psicologico, ma tutto questo non spiega perché vi siano poi delle differenze da un punto di vista sociale – ha proseguito il suo intervento -. Il problema quindi non è la differenza biologica, ma la differenza negli stereotipi, nel modo di considerare queste due parti della stessa specie. Sul campo psicologico bisogna, dunque, educare a relazioni non di tipo narcisistico, una relazione che considera l’altro solo come oggetto del proprio desiderio e lo usa per appagare i bisogni; l’antidoto all’aggressività distruttiva è la relazione reciproca, ma questa va costruita, educata, non è naturale e ciò vale per tutte le differenze che si riscontrano nel nostro mondo».
Un momento dei lavori
A chiudere gli interventi è stata Marisa Scavo, procuratore aggiunto al Tribunale di Catania.
«Secondo i dati Istat, aggiornati al 25 ottobre di quest’anno, il numero di femminicidi in Italia ha raggiunto le cento vittime – ha detto il procuratore aggiunto -. Un numero inquietante che dimostra come il femminicidio non sia più un problema che riguarda strettamente l’ambito familiare, bensì tutta la società. Non a caso, il 16 settembre 2021 il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione con cui raccomanda alla Commissione europea di inserire la "violenza di genere" tra le nuove sfere di criminalità ed evidenzia che la violenza di genere comporta costi importanti per le società europee, in termini sia di perdita di produzione economica che di erogazione di servizi, compresi i servizi sanitari, legali, sociali e specializzati; che, tuttavia, i costi maggiori gravano sulle vittime di violenza di genere, che devono vivere sempre con le cicatrici emotive di tali esperienze traumatiche; che l’azione dell’Unione dovrebbe essere orientata al benessere delle vittime di violenza di genere. Va anche ricordato il danno morale, psichico ed economico che subiscono i figli minori vittime di femminicidio».
«Occorre, inoltre, lavorare sul cambiamento culturale, educando le nuove generazioni di giovani a saper vivere le relazioni affettive nel pieno rispetto del genere femminile senza pregiudizi o stereotipi.
Anche i genitori vanno sostenuti nell’educazione dei figli affinché trasmettano messaggi culturali adeguati e liberi dal pregiudizio di genere, senza giustificare i comportamenti prevaricatori e ossessivi dei figli maschi nei confronti della partener», ha aggiunto la dott.ssa Marisa Scavo.
La dott.ssa Marisa Scavo, procuratore aggiunto al Tribunale di Catania
«Il pregiudizio di genere è estremamente diffuso anche nel linguaggio istituzionale – ha sottolineato -. A tal proposito giova ricordare che la Corte Europea per i Diritti dell'Uomo ha, in qualche caso, condannato l’Italia per il linguaggio sessista usato in alcune sentenze dai magistrati. Ed invero la CEDU (Sez. I, 27 maggio 2021 J.L. c. Italia n. 5671/16) ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) non avendo tutelato l’immagine, la privacy e la dignità di una giovane donna che aveva denunciato di essere stata violentata da sette uomini; nella sentenza italiana con cui venivano assolti tutti gli imputati, è stato, infatti, utilizzato, a Parere dei Giudici della CEDU un linguaggio colpevolizzante e moraleggiante che scoraggia la fiducia delle vittime nel sistema giudiziario per la vittimizzazione secondaria cui le espone. In tal senso anche la sentenza del 20 giugno 2022 (pubblicata il 18 luglio 2022)».
«La mia esperienza ultra quarantennale nella magistratura e ventennale nella trattazione di questo tipo di reati mi porta a dover ammettere con molto disagio che questo linguaggio ancora aleggia talvolta nelle aule giudiziarie causando una vittimizzazione secondaria che scoraggia le vittime a denunciare», ha aggiunto.
E nel suo intervento il procuratore aggiunto ha sottolineato che «la vittima molto spesso non vuole un processo penale, ma vuole che la violenza finisca, in qualunque forma essa si manifesti».
«Non va sottovalutata la violenza economica perché la mancanza di emancipazione economica è una delle cause che induce la vittima a ritornare a convivere con il partner violento e quindi è portata a ritrattare le precedenti accuse», ha precisato.
Un momento dei lavori
«In casi del genere per consolidare l’impianto accusatorio è importante assumere altre informazioni da familiari, amici, vicini di casa o colleghi, per consolidare il materiale probatorio», ha sottolineato.
«La rieducazione culturale è fondamentale – ha aggiunto -. Se il pregiudizio di genere è ancora così diffuso nella nostra società, la colpa è dei genitori: quest’ultimi devono essere rieducati per insegnare loro ad educare bene sia le figlie femmine, sia i figli maschi».
«Le prime vanno educate a riconoscere i campanelli di allarme, come i comportamenti di sopraffazione, in una relazione malata; ai secondi bisogna insegnare il rispetto del sesso femminile, delle relazioni affettive e la pericolosità dei pregiudizi di genere. Questo processo di educazione è necessario anche per far comprendere ai maschi che ogni rapporto sessuale si basa sul consenso che deve essere validamente espresso e non inficiato dall’effetto di sostanze stupefacenti o alcoliche e deve durare per tutto il rapporto sessuale. Ogni rapporto sessuale si basa sul consenso, validamente espresso e costante per tutta la durata dell’atto», ha detto in chiusura di intervento il procuratore aggiunto Marisa Scavo.
In chiusura di tavola rotonda i curatori del libro Marianna Pignata e Francesco Mastroberti hanno presentato sul libro MaLeFemmine? Itinerari storico-giuridici di una parità ‘incompiuta’ (Editoriale Scientifica, Napoli, 2023).
Nel loro intervento hanno citato anche diverse vittime di femminicidio e donne della storia e hanno ribadito «il valore dell’ascolto e del sostegno alle donne».