Alla Cappella Bonajuto di Catania è andata in scena, in prima nazionale, la performance tra danza e parola della coreografa egiziana Hend Elbalouty
«Come sono finita in questo posto?». Siamo in Egitto, ma potremmo essere in Inghilterra, in Italia o in qualsiasi discoteca underground del mondo. I linguaggi si intrecciano, si accavallano come in una Babele, dove nessuno parla la lingua dell’altro, ma tutti si capiscono. Una sola voce che si racconta nella sua lingua di origine, l’arabo, che non sa più parlare bene, e nella sua lingua acquisita, l’inglese, che non ha mai parlato bene. Tutti capiamo però, all’inizio leggendo i sovratitoli in italiano, poi guardandola negli occhi.
Una donna che si esprime attraverso la danza, un racconto che – come la coreografa egiziana Hend Elbalouty dichiara all’inizio dello spettacolo alla Cappella Bonajuto – non vuole intrattenere, né con la voce, né con il corpo, né con il cuore.
L’artista egiziana è autrice e interprete della performance (in scena il 14 e il 15 settembre) e ci porta in discoteca, dove si balla, dove il corpo si muove e indaga sé stesso, dove i pensieri si confondono. Una discoteca in cui la luce è rossa e il rosso è sangue, è passione, è dolore, è sensualità, è paura, spregiudicatezza, è angoscia oppure fuoco che brucia chi lo guarda.

La coreografa egiziana Hend Elbalouty in un momento dello spettacolo
Chi di noi non si è mai lasciato andare al ritmo di una musica? Ascoltando una di quelle musiche il cui “tum – tum” dei bassi trasmette cupe vibrazioni interne e ci fa alzare le braccia, ripetere ossessivamente movimenti spasmodici, aprire squarci nella nostra anima che sono come ali o come coltelli.
Belli e vulnerabili, forti e invincibili: i corpi delle donne a volte ballano e si scoprono.
Hend Elbalouty racconta il suo “tum – tum” nella penombra di una sala quasi buia. Danza, ride e piange, ammicca, guarda e reitera gesti che sono veri e propri scarti: balla a volte libera e a volte no. Disegna poi un cerchio con le mani, un gesto ricorrente che potrebbe indicare un rifugio o una prigione; un cerchio dal quale fugge per lunghi momenti ma dentro il quale ritorna, forse inconsapevole.

La coreografa egiziana Hend Elbalouty in un momento dello spettacolo
Una performance, così recita il foglio di sala dello spettacolo. Ma una performance vuole essere guardata e capita, mentre quella di Hend Elbalouty no, ti spinge a distogliere lo sguardo, ad andare via quando il volume della musica diventa troppo forte.
How i did i End in this place? (ndr Come sono finita in questo posto?) è il non detto di una donna che si interroga interiormente e tenta di darsi una risposta. Ed è la domanda che avremmo dovuto porci tutti quella sera, seduti al centro della pista di una discoteca, a guardare, immobili, una donna danzare.
L’evento è stato parte di Mediterrartè – Classico Contemporaneo, festival internazionale delle realtà artistiche del Mediterraneo organizzato da Artelè, che dal 28 agosto al 28 settembre anima i luoghi più suggestivi di Catania e Siracusa.
Giunto al suo giro di boa, il festival continuerà al Castello Ursino di Catania il 18, 19 e 20 settembre con Penelope – L’Odissea è fimmina, pièce scritta e diretta da Luana Rondinelli.

La coreografa egiziana Hend Elbalouty in un momento dello spettacolo