Nell’aula magna del Dipartimento di Giurisprudenza si è tenuto un incontro sul potere economico delle mafie e sulle risposte dello Stato
Educa i giovani per non essere costretto a punire gli uomini domani. Possono essere riassunti in questa frase i contenuti del convegno dal titolo Gli interessi economici della criminalità organizzata: strategie di contrasto che si è svolto nei giorni scorsi nell’aula magna del Dipartimento di Giurisprudenza, trasformata per l’occasione in un laboratorio di riflessione civile.
Un convegno partecipato, intenso e necessario, che ha visto la presenza non solo degli studenti universitari ma anche di numerose classi liceali, tutte coinvolte in un momento di alto valore formativo sul tema degli interessi economici della criminalità organizzata e sulle strategie per contrastarli.
A introdurre e a moderare i lavori è stato il prof. Giuseppe Chiara, ordinario di Diritto Costituzionale, il quale, dopo una breve presentazione, ha dato la parola a Salvatore Zappalà, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza.
Il prof. Zappalà ha sottolineato con forza il “valore educativo dell’iniziativa” ricordando poi la figura di Alfredo Agosta, maresciallo dei carabinieri assassinato dalla mafia nel 1982, simbolo di coraggio e dedizione per la giustizia. All'incontro è intervenuto anche Carmelo La Rosa, presidente dell'Associazione nazionale antimafia "Alfredo Agosta".
A prendere la parola successivamente, il prof. Giuseppe Speciale che ha evidenziato come eventi come questo rappresentino “momenti di confronto essenziali per una società civile”. Ha ribadito l'importanza di una “cultura della legalità fondata sui principi costituzionali, adattandosi alle nuove dinamiche e tecnologie”. “Per noi è importante la formazione civile dei nostri studenti – ha aggiunto -. Accanto agli insegnamenti, hanno avuto altre iniziative altrettanto significative”.
Ma è stato molto più di un incontro accademico: è stato un richiamo alla responsabilità collettiva, alla conoscenza come prima arma contro le mafie, al ricordo di chi ha pagato con la vita la propria dedizione alla giustizia.

Un momento dell'intervento del prof. Salvatore Zappalà
A dare spessore tecnico e giuridico al convegno è stato l’intervento del dott. Francesco Curcio, procuratore della Repubblica di Catania. Con un’esperienza di oltre trent’anni nella magistratura – e una carriera segnata da inchieste cruciali sul riciclaggio e le infiltrazioni mafiose – Curcio ha offerto una chiave di lettura potente e cruda del fenomeno. “La criminalità organizzata non è solo violenza, ma soprattutto potere economico e relazioni sistemiche”, ha detto.
“La carica di violenza – ha spiegato – viene utilizzata solo in via eccezionale. Il vero punto di forza delle mafie è l’infiltrazione silenziosa nelle comunità, nel tessuto produttivo, nella politica”. La mafia non è solo un fenomeno criminale: è una struttura capace di esercitare un controllo pervasivo sulle attività economiche e urbane. A differenza della criminalità comune, le organizzazioni mafiose si radicano nel territorio, si mimetizzano, costruiscono relazioni.
E proprio su questo concetto si fonda l’importanza del reato di concorso esterno, “perché la forza mafiosa si alimenta soprattutto dai legami esterni, non dalle armi”. Curcio ha poi affrontato il nodo centrale degli interessi economici: dalla gestione del traffico di stupefacenti – vero polmone finanziario delle cosche – al riciclaggio, fino alla creazione di società fittizie utilizzate per produrre fatture false e "ripulire" denaro illecito.

Un momento dei lavori
Strumenti fondamentali per contrastare questi meccanismi sono, secondo il magistrato, la polizia giudiziaria specializzata, la Guardia di Finanza, le segnalazioni di operazioni sospette da parte degli intermediari finanziari, e le intercettazioni telefoniche.
“Ma a tutto questo – ha concluso – va affiancato un investimento serio e duraturo sulla formazione di figure competenti, in particolare in ambito economico-finanziario”. “Solo con una preparazione adeguata potremo contrastare davvero questa guerra – ha aggiunto -. Serve competenza, serve conoscenza, serve un esercito di persone preparate”.
È poi la voce appassionata dello storico Ernesto De Cristofaro, docente del Dipartimento di Giurisprudenza, a riportare il pubblico alle origini del fenomeno mafioso. Un viaggio nella storia, dai primi delitti di stampo rurale fino alla Sicilia dei cento morti l’anno, per mostrare come la mafia si sia evoluta — operativamente e strategicamente — senza mai cambiare davvero la sua essenza: il dominio sul territorio.
Non più intimidazioni plateali, ma controllo delle risorse, infiltrazione economica e politica, come nel caso emblematico della gestione delle acque di Palermo. Dalla mafia contadina a quella urbana, fino alla mafia della comunicazione e dell’apparenza, l’obiettivo resta lo stesso: generare denaro, influenzare il potere, occupare gli spazi lasciati vuoti dallo Stato.
“La storia ci insegna come si muove la mafia, e solo conoscendola possiamo sperare di anticiparla”, ha ricordato, citando anche Falcone e la necessità di vigilare, oggi più che mai, con occhi nuovi ma con memoria viva.
A chiudere l'intenso ciclo di interventi, è stato il generale Giovanni Truglio, Comandante Interregionale Carabinieri Culqualber di Messina, a portare un contributo fondamentale. Ha avvertito che “la mafia non è solo un fenomeno mediatico, ma una realtà che minaccia le basi del sistema economico e sociale”.

Un momento dell'intervento del generale Giovanni Truglio
Tracciando l’evoluzione della mafia, ha spiegato come da fenomeno locale e agrario, sia passata a una mafia affaristica che punta sull’accumulo capitalista. Ha fatto riferimento all’articolo 416 del Codice penale, evidenziando come le mafie usino intimidazione e omertà, e ricordato le stragi degli anni ’90, culminate con l’uccisione di Falcone e Borsellino.
Oggi, ha aggiunto, la mafia si è trasformata in un’impresa criminale che richiede competenze legali, bancarie e commerciali. Il generale ha parlato anche della "area grigia", in cui imprenditori, politici e professionisti favoriscono, anche inconsapevolmente, gli interessi mafiosi. Ha raccontato come un gruppo mafioso, dopo aver estorto denaro, abbia acquistato un centro commerciale, facendo leva su professionisti locali.
In chiusura ha sottolineato come “le mafie guadagnino dagli appalti pubblici, alterando il mercato e mettendo a rischio la democrazia”.
“La lotta alla mafia - ha proseguito Truglio -, non riguarda solo l’arresto dei colpevoli, ma richiede anche indagini patrimoniali per smantellare la ricchezza mafiosa”.
Rivolgendosi agli studenti, ha invitato tutti a rifiutare la mafia, sostenendo che la cultura della legalità deve partire proprio da loro, per poi essere supportata dall'azione dello Stato.