Da Pasolini e Maria Callas a Marco Bellocchio: uno scorcio sul Messina Film Festival

Nel centenario della nascita, l’omaggio all’iconica soprano e la visione dell’importanza dell’opera nella società a partire dal cinema

Stefano Zito e Marta Bertuna

Dopo ventidue anni d’assenza, il Messina Film Festival è stato inaugurato dalla proiezione del film Medea (1969) di Pier Paolo Pasolini, nel giorno del centenario della nascita di Maria Callas.

L’evento è stato presentato da Sergio Naitza, regista del documentario L’isola di Medea (2017), la cui proiezione ha chiuso la giornata dedicata all’attrice e cantante lirica. Il regista ha introdotto Medea affermando: «Questo film è probabilmente il film più sfortunato di Pasolini, essendo quello che ha incassato di meno, anche a causa della sua uscita nel periodo natalizio. Ciò non ha fatto comprendere a pieno il contesto, anche perché non è un film facile».

Sala Laudamo

Sala Laudamo

Maria Callas Day

La pellicola, infatti, non mostra la storia di Medea passo dopo passo, ma soltanto la versione della donna. Ciò che si vede è condizionato dalle emozioni che prova e diventa un vero e proprio viaggio all’interno della protagonista. Medea di Pier Paolo Pasolini è una vera e propria tempesta di emozioni, scandita da una meravigliosa fotografia e da inquadrature che danno al film continuità e ne permettono la visione alle nuove generazioni.

Maria Callas è straordinaria grazie alla sua espressività, che ancora oggi la rende indimenticabile. Sergio Naitza a tal proposito ha aggiunto: «Personalmente credo che avrebbe potuto avere una grande carriera da attrice, nonostante la sua paura del primo piano tipica del cinema, da lei confessata in un’intervista». La sua ritrosia a posare davanti alla macchina da presa, probabilmente, ha fatto perdere una grandissima attrice cinematografica.

Illustrazione grafica di Michela De Domenico

Illustrazione grafica di Michela De Domenico

Ciò però non sminuisce il suo percorso nel mondo dell’arte e regala dopo tanti anni momenti preziosi a tutti i cultori. Dopo il film sono state proiettate alcune scene tagliate accompagnate dal commento del presentatore: «Nell’edizione proposta da Pier Paolo Pasolini erano presenti scene di cannibalismo e amputazione di arti. Queste furono segnalate dalla censura con un divieto per i minori di diciotto anni. Naturalmente la produzione, temendo un possibile disastro economico, fece tagliare le scene al regista».

A concludere questa “trilogia” commemorativa, proposta dal Messina Film Festival, è stato il documentario L’isola di Medea di Sergio Naitza. Il regista ha spiegato le motivazioni della sua scelta: «Mi sono innamorato della storia fra Maria Callas e Pasolini. Leggendo le loro biografie mi ero accorto di come questo evento fosse rimasto in penombra» – e aggiunge – «non volevo guardare dal buco della serratura la loro storia per trovare motivi di scandalo e gossip. Spero di essere riuscito a raccontarla senza tratti inopportuni e aver fatto rivivere il sentimento che hanno provato i protagonisti del racconto».

Scene tagliate di “Medea”

Scene tagliate di “Medea”

Maria Callas è un’artista che trascende il tempo. La sua abilità di immergersi completamente nei personaggi che interpretava, unita alla sua tecnica vocale impeccabile, ha reso ogni sua performance un’esperienza magistrale e indimenticabile. Il suo contributo straordinario al mondo dell’arte è un tesoro che continua a brillare, e il suo centenario è un momento speciale per onorare e celebrare la grandezza di un’icona senza tempo.

Scena del documentario “L'isola di Medea”

Scena del documentario “L'isola di Medea”

“Pagliacci” di Marco Bellocchio

Nel corso della rassegna alcune proiezioni sono state dedicate a Marco Bellocchio, ospite d’eccezione al festival. Il cinema del maestro – come da lui stesso dichiarato – si serve di cornici storiche, culturali e operistiche per raccontare il dramma e la contraddizione umana.

Pagliacci (2016) è una rilettura in chiave moderna dell’omonima opera teatrale di Ruggero Leoncavallo, rappresentata per la prima volta al Teatro dal Verme di Milano il 21 maggio 1892.

La trama originale del compositore napoletano è una storia di amore, tradimento e vendetta tra i membri di una compagnia di attori; in seguito a una serie di dinamiche, realtà e finzione finiscono per confondersi evolvendo in tragedia.

Poster del cortometraggio

Poster del cortometraggio

Il corto di Marco Bellocchio si apre con una scena di prove di uno spettacolo tratto dall’opera di Leoncavallo in un piccolo teatro di paese. L’ambientazione cupa, claustrofobica suggerisce già la temperatura del film: non c’è orchestra ma solo un pianoforte e i cantanti. Tra i pochi nel pubblico c’è la madre di uno degli artisti, finanziatrice del progetto, la sorella e poche altre persone che vi assistono. Grazie ad un eccellente lavoro di scenografia e montaggio, diversamente da un assetto tradizionale, tra palco e platea, non sembra esserci divisione; al contrario, spettacolo e pubblico osservatore sono in un rapporto di dipendenza reciproca, in cui sguardo, parole si intrecciano in un pericoloso gioco di potere.

La madre, detenendo il denaro, ha il controllo e a esso la compagnia (figli compresi) devono piegarsi. I due cantanti (interpreti di Nedda e Tonio) sono, così come nell’opera di Leoncavallo, amanti nascosti, coinvolti in una relazione clandestina che attira la gelosia dell’altro cantante (nelle vesti del capocomico Canio) e la fredda ostilità della madre. Cinica e avara, il personaggio di Lucia Ragni è l’incarnazione di un’anti-maternità che rinnega sé stessa e la prole che ha generato; ne soffoca bisogni, sentimenti e il libero esercizio della propria arte.

Una scena di “Pagliacci”

Una scena di “Pagliacci”

Il melodramma inscenato appare lo specchio della fragilità e della spietatezza dei rapporti umani, capaci di disgregarsi dal nulla e di cedere alla finzione implacabile: «Ridi Pagliaccio, sul tuo amor in affronto, ridi di ciò che t’avvelena il cuor», è l’aria in cui la potenza distruttiva del conflitto esplode, azzerando possibilità di redenzione e riscatto nei e tra i protagonisti. Essi non sono dotati di vero nome o identità, si limitano a ricoprire ruoli umani temporanei capaci di invertirsi e annientarsi reciprocamente.

Al canto lirico Bellocchio aggiunge nella seconda parte del corto un secondo strumento di catarsi emotiva, capace di entrare in diretto contatto con lo spirito. L’ipnosi, a cui la figlia decide volontariamente di sottoporsi durante una cena della madre, diviene come il melodramma, evocazione di verità sepolte, di rancori e colpe ataviche mai estinti.

Ciò che si presenta come un gioco, un esperimento (così come la messa in scena dello spettacolo) è in realtà luogo di confessione di un delitto mostruoso, in cui stavolta a mescolarsi sono mito e realtà: «Sono Elettra, figlia di Clitemnestra e voglio parlare. Mia madre è un’assassina. Non ci ha ucciso con il pugnale ma con il disprezzo». La donna è figlia di un’adultera vendicativa, vittima del suo stesso castigo e del suo destino infame, uccisa dal suo stesso figlio.

Il regista Marco Bellocchio e il direttore artistico Ninni Panzera dopo la proiezione

Il regista Marco Bellocchio e il direttore artistico Ninni Panzera dopo la proiezione

Gli ultimi tre minuti del corto rappresentano l’essenza stessa del dramma dell’essere umano, che non sopprime il corpo ma l’anima dell’altro da sé che non lo riconosce né accoglie, bensì lo rifiuta. Il fucile punta, ma non spara alla madre degenere, soffocandone idealmente, così, il disdegno.

Pagliacci appare per contenuto e sostanza intellettuale perfettamente inserito in una programmazione festivaliera che sottolinea la capacità eterna dell’Opera di penetrare nel tessuto umano e sociale con pregnanza e, senza mai risultare superata e antiquata. Emerge un sempre vivo e chiaro invito alle nuove generazioni, ad ascoltare, conoscere e prendere coscienza di un patrimonio culturale dal valore inestimabile e sempre attuale.