Dallo sbarco al sogno realizzato, una laurea che unisce mondi attraverso lo sport

La straordinaria storia di Mario Junior Jonathan: dal Camerun al titolo di dottore in Scienze motorie all’Università di Catania

Alfio Russo

Ci sono giornate in cui l'accademia smette di essere solo un luogo di formazione e ricerca e rappresenta un simbolo di riscatto, di crescita e di umanità condivisa. Nell’ultima sessione di laurea del corso triennale in Scienze motorie, presieduta dal prof. Giuseppe Musumeci, si è vissuto un momento di grande intensità in cui competenze scientifiche, storie personali e valori sociali si sono intrecciate dando forma a una vera celebrazione dell’impegno e della speranza.

La giornata - nell'aula magna della Torre Biologica - è stata contrassegnata da una storia di eccellenza accademica che ha particolarmente commosso l’intera commissione di laurea e il pubblico presente: quella di Mario Junior Jonathan, un giovane camerunense che, dopo un viaggio drammatico attraverso l’Africa e il Mediterraneo, ha coronato il sogno di laurearsi in Scienze motorie con una tesi dal titolo Lo sport come ponte: un percorso autobiografico tra sport e integrazione interculturale.

Mario Junior Jonathan insieme con il prof. Giuseppe Musumeci

Il neo laureato Mario Junior Jonathan insieme con il prof. Giuseppe Musumeci

Dal Camerun al Mediterraneo: il viaggio di una vita

Nato e cresciuto a Babadjou, un piccolo villaggio del Camerun occidentale, Jonathan ha conosciuto presto la fatica del vivere e la forza dei sogni. Figlio di una madre contadina, ha trascorso l’infanzia tra la scuola e i campi di caffè, giocando a calcio su una terra rossa e secca che, come scrive nella sua tesi, «si sollevava in nuvole leggere a ogni passaggio del pallone».

Dopo gli studi liceali a Douala, tra difficoltà economiche e lavori precari per pagarsi le rette, Jonathan ha scelto di lasciare tutto. È iniziato così un viaggio lungo mesi, attraverso la Nigeria, il Niger, l’Algeria, il Marocco e la Libia. Ha attraversato il Sahara su camion stipati di uomini e donne, ha conosciuto la violenza dei trafficanti e la disperazione della prigionia, è stato ferito durante una fuga, eppure non si è arreso.

“Ogni giorno era un rischio, ma non potevo fermarmi – racconta -. Avevo promesso a me stesso e alla mia famiglia che avrei trovato una via per cambiare il nostro destino”. Dopo due anni circa di viaggio e diversi tentativi falliti di attraversare il mare, è salito su un gommone con 160 persone. “Quando il motore si è fermato, abbiamo strappato una maglietta per farne una corda e tentare di riavviarlo – aggiunge -. Quando ha ripreso a funzionare e abbiamo visto una nave militare avvicinarsi, ho capito che la vita mi stava offrendo una seconda possibilità”.

Sbarcato a Pozzallo, Jonathan ha sentito pronunciare parole che ancora oggi ricorda come una rinascita: «Siete in un posto sicuro, siete in Italia». Accolto in una comunità per richiedenti asilo, Jonathan ha trovato nello sport la sua prima vera forma di dialogo con la nuova realtà.

In foto Mario Junior Jonathan il giorno della laurea

In foto Mario Junior Jonathan il giorno della laurea

Il calcio, lo stesso che lo aveva accompagnato da bambino, è diventato il suo linguaggio di integrazione, il modo per comunicare, per appartenere, per sentirsi di nuovo “qualcuno”. Da quel campo di periferia siciliano, polveroso e pieno di voci nuove, è iniziata la sua seconda vita. Lo sport gli ha insegnato che l’inclusione non è concessione ma reciprocità; che una squadra non è solo un gruppo di persone che giocano insieme, ma una comunità che si riconosce nella fatica e nel rispetto dell’altro.

La sua tesi di laurea unisce autobiografia, pedagogia e teoria sociale: da Bauman a Amartya Sen, fino agli studi di Grant Jarvie, Jonathan analizza come lo sport possa diventare un ponte culturale, capace di creare legami dove c’erano barriere, e di generare dialogo dove prima c’erano silenzi. È un lavoro che fonde corpo e pensiero, vita e scienza, e che dimostra come l’educazione motoria possa essere anche educazione civile, etica, politica, afferma il suo relatore, il prof. Giuseppe Musumeci, presidente del corso di laurea in Scienze motorie al Dipartimento di Scienze biomediche e biotecnologiche.

E proprio al docente, il neo laureato – in tutto erano 48 gli studenti e le studentesse che hanno conseguito il titolo di dottore – ha dedicato alcune parole dopo la proclamazione. “Ringrazio il docente per il supporto e la stima che ha sempre nutrito nei miei confronti, e soprattutto per la sua umanità e sensibilità – ha detto Jonathan -. Nella vita ci sono momenti che restano impressi e oggi per me è stato uno di quei momenti e il professore Musumeci ne fa pienamente parte”.

Alcuni neo laureati

Alcuni neo laureati

Il valore umano e politico dello sport

Al termine della discussione, il Giuseppe Musumeci ha voluto dedicare parole di grande intensità al neolaureato. “Sono fiero di aver seguito Jonathan in questo percorso – spiega il docente -. La sua storia ci ricorda cosa significa credere nella forza dell’educazione e nella potenza dello sport. Jonathan non ha solo conquistato una laurea: ha trasformato la sua vita in un messaggio di dignità, di pace e di speranza. È la dimostrazione concreta di come l’università possa essere un luogo di rinascita e di incontro, e di come lo sport, quando è vissuto nella sua dimensione più umana, possa unire ciò che la paura divide”.

Parole che hanno commosso l’aula, restituendo alla cerimonia il valore più profondo della formazione: educare e far crescere sul piano personale uomini e donne e non solo professionisti. “Oggi Jonathan non solo si è laureato con il massimo dei voti, ma già lavora, ha una famiglia che lo sostiene, una bellissima figlia e due gemelli in arrivo”, ha aggiunto il prof. Musumeci, presidente di commissione di laurea composta dai colleghi Nunzio Vicario, Leandro Susinna, Orazio Arancio, Federico Roggio, Luca Petrigna

In un mondo che alza barriere, il suo pallone diventa un simbolo di dialogo: rotola sopra le differenze, attraversa confini, invita a giocare la stessa partita. Lo sport è, nella sua visione, la palestra della democrazia: un luogo dove si impara la giustizia, la disciplina, il rispetto, la collaborazione. Dove il merito non dipende dalla provenienza, ma dall’impegno. È il campo dove ogni essere umano può essere visto per quello che è, e non per il luogo da cui proviene.

“Lo sport è stato per me un ponte, una lingua senza confini, un modo per costruire relazioni vere, per essere accettato e per restituire ciò che ho ricevuto – spiega Jonathan -. È stato il mio modo di dire al mondo che la diversità è una ricchezza, non un ostacolo”.

Lo sport, dunque, unisce, abbatte le frontiere, educa alla pace e alla convivenza. È una lingua universale fatta di movimento e di empatia, che insegna a costruire ponti dove il mondo continua ad alzare muri.  E nel sorriso di Jonathan, coronato d’alloro, si riflette il senso più alto dell’educazione: formare cittadini del mondo, capaci di camminare insieme, un passo, una partita, una vita alla volta. Un messaggio chiaro e forte che viene fuori da una seduta di laurea.

In foto da sinistra la commissione di laurea composta dai docenti Nunzio Vicario, Leandro Susinna, Giuseppe Musumeci, Orazio Arancio, Federico Roggio, Luca Petrigna

In foto da sinistra la commissione di laurea composta dai docenti Nunzio Vicario, Leandro Susinna, Giuseppe Musumeci, Orazio Arancio, Federico Roggio, Luca Petrigna

Back to top