Riflessioni sulla democrazia, da Hannah Arendt a George Orwell, con i docenti Alberto Andronico e Alessio Lo Giudice
La sala eventi della libreria Feltrinelli di Catania ha accolto, nei giorni scorsi, il secondo dei quattro appuntamenti dedicati a Conversazioni sulla democrazia. Libri e idee in dialogo, un ciclo di seminari organizzato dai dipartimenti di Scienze umanistiche e di Giurisprudenza dell’Università di Catania in collaborazione con Feltrinelli librerie.
I protagonisti dell’incontro, i professori ordinari di Filosofia del diritto delle Università di Catania e Messina, Alberto Andronico e Alessio Lo Giudice, hanno discusso sull’importanza de Le origini del totalitarismo, saggio scritto da Hannah Arendt e pubblicato per la prima volta nel 1951, in un clima pieno di tensioni.
«Si tratta di un libro controverso, scritto in presa diretta. Ogni volta che lo leggo respiro libertà, capacità chirurgica di esprimere il presente», ha detto Alberto Andronico. La scelta del testo al centro del dibattito – viene spiegato in apertura – è ricaduta su questo classico della filosofia politica del Novecento perché, a più di settant’anni dalla sua stesura e pubblicazione, risulta ancora una griglia critica fondamentale per capire il passato, offrendo anche strumenti utili a diagnosticare possibili rischi futuri.
L’operazione che Arendt attua in Le origini del totalitarismo non è l’invenzione di una nuova parola, ma la formulazione di un concetto originale che ha la funzione di capire il male del secolo e dargli un nome. Il risultato è un’analisi estremamente lucida della costituzione di uno Stato dalla forma politica radicalmente nuova che rigetta qualsiasi tipo di tradizione.
«Il totalitarismo non è un mostro esterno alla democrazia, una minaccia che incombe dal di fuori: è una possibilità di perversione sempre presente all’interno dei sistemi democratici», aggiunge il prof. Andronico.

Un momento dell’incontro con i docenti relatori presentati dal professor Marco Mazzone
«Si tratta dell’intuizione più importante che Arendt ci lascia come lezione – precisa il docente dell’ateneo catanese. I regimi totalitari sono Stati vuoti, dove la legge cessa di essere cornice di stabilità e diventa cornice in movimento, imprevedibile. Ciò che genera terrore è la mancanza di forme, le istituzioni, che nazismo e stalinismo hanno distrutto».
Attraverso un approccio sistematico, l’autrice ricostruisce gli elementi che hanno favorito la nascita dei totalitarismi – a partire dal declino dello Stato-nazione e il tramonto delle classi fino alla questione ebraica diventata capro espiatorio –, per poi passare ad esaminarne la composizione e i meccanismi che tengono in piedi il fenomeno.
Arendt individua nella massificazione della plebe uno degli elementi che hanno reso possibili i regimi totalitari: il non riuscire a inserirsi in una organizzazione basata sulla comunanza di interessi ha dato vita a «una massa di individui tra loro slegati, privi di legami politici, che non trovano una forma del loro stare insieme» e che si trasformano, dunque, in persone politicamente neutrali che permettono a un regime radicalmente impolitico di instaurarsi.
«L’essenza dei regimi totalitari è il terrore» spiega Andronico, «Non si tratta di un mezzo, ma di un fine il cui principio di azione è l’ideologia, cioè la costruzione di un mondo fittizio in cui, dice Arendt, tutto è possibile». Ciò comporta inevitabilmente una indifferenza totale nei confronti dei fatti. Scrive l’autrice: «il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso, non esiste più».
A seguire il prof. Alessio Lo Giudice ha ribadito come l’attributo inedito della forma totalitaria sia proprio la sua caratterizzazione ideologica, cioè «l’affermazione dell’esistenza di una verità indiscutibile che diventa l’anima dell’azione politica». L’ideologia si fa dogma, una premessa indiscussa da cui tutto discende e tramite cui tutto può essere spiegato a prescindere da ciò che i fatti dimostrano.
«Il terrore sorge - ha aggiunto Andronico - quando è impossibile pensare e avere libertà, l’uomo diventa un individuo atomizzato: è il lato oscuro della democrazia».
La logica totalitaria ambisce a invadere la sfera privata e impadronirsi dell’anima dell’individuo. E questo, secondo Lo Giudice, «è l’aspetto sul quale dobbiamo concentrarci oggi se vogliamo leggere attraverso il paradigma de Le origini del totalitarismo alcune tendenze contemporanee».

Un momento dell’incontro
La proposta è quella di un ragionamento sulla rivoluzione digitale che caratterizza il nostro secolo, per indagarne il senso proprio a partire da questa prospettiva critica. Serve capire se strumenti, sistemi di comunicazione, atteggiamenti e linguaggi contemporanei possano potenzialmente attualizzare la logica totalitaria a un livello addirittura più profondo, pervasivo e sistematico di quanto sia avvenuto nei totalitarismi attraverso i mezzi allora a disposizione.
«Siamo di fronte a logiche comunicative sempre più introiettate nell’individuo che consentono davvero a chi li gestisce di condizionare profondamente la capacità e la modalità del pensiero, nonché il bisogno stesso di pensare», ha aggiunto il docente dell’ateneo di Messina.
A questo proposito ha cita 1984, romanzo distopico di George Orwell del 1949. «In un capitoletto sulla neolingua, spesso ignorato, Orwell spiega che l’obiettivo del Grande Fratello è impadronirsi della psiche attraverso il “genocidio di parole”. Si tratta di una logica binaria tipica dell’era digitale: si perdono le sfumature del pensiero e lo si restringe».
Nel lasciare largo spazio alla condivisione di domande, consigli di lettura (da Forme contemporanee del totalitarismo di Massimo Recalcati a Psicologia delle masse e L’origine dell’Io di Sigmund Freud) e riflessioni da parte dei presenti in sala, si è instaurata una riflessione partecipata che sottolinea concretamente la necessità di discussioni come arricchimento personale e collettivo.
L’obiettivo a cui aspira il ciclo di seminari è proprio questo: ricavare uno spazio politicamente vivo e pulsante all’interno del quale ricostruire attivamente il valore del dialogo e stimolare un pensiero critico comunitario spesso atrofizzato dalla mancanza di occasioni dedicate alle conversazioni e agli scambi di idee.