A discuterne, al Dipartimento di Giurisprudenza, il senatore a vita Mario Monti e l’ex ministro francese Sylvie Goulard
«Su cosa sia un governo tecnico non posso neanche invocare la non conoscenza del tema. Possiamo affermare che si tratta di un governo presieduto da un non parlamentare, come i governi Draghi e Ciampi, ma il mio no perché io sono stato nominato pochi giorni prima senatore a vita». Mario Monti, accennando un sorriso, a capo di un governo “tecnico” tra il 2011 e il 2013, ha risposto così sul quesito posto da uno studente precisando che «tutti i governi hanno bisogno della fiducia del Parlamento, probabilmente quello “tecnico” porta via una fiducia al Parlamento per la situazione di emergenza che richiede comunque un governo, anche se i parlamentari non lo gradiscono».
«Quando nasce un governo tecnico è perché non è venuto fuori un uomo politico che il Presidente della Repubblica possa ritenere capace di avere una larga maggioranza in Parlamento. E poi il governo tecnico, il suo presidente e i suoi ministri devono avere la fiducia nel Parlamento, così come tutti gli altri, e possono avere anche una larghissima fiducia», ha aggiunto Monti (presidente del Consiglio dal 2011 al 2013) proseguendo il suo intervento in occasione della tavola rotonda dal titolo Democrazia e Governabilità: Repubbliche Presidenziali e Parlamentari – Francia e Italia a confronto organizzata dalla cattedra di Diritto costituzionale comparato del Dipartimento di Giurisprudenza nell’auditorium dell’ex Chiesa della Purità.
E il senatore a vita, nel suo intervento, ha evidenziato come «il Parlamento ha approvato con le più elevate percentuali di fiducia le nascite di tre governi di unità nazionale presieduti dal sottoscritto, con l’87,8% come media del voto di fiducia tra Camera e Senato per fronteggiare la crisi finanziaria del 2011, quello presieduto da Mario Draghi, con l’ 83,3% per debellare il Covid e programmare l'impiego dei fondi europei nel 2021 e poi di Giulio Andreotti, anche se è difficile chiamarlo un tecnico se non grandissimo tecnico della politica, con l’84,7% dopo il rapimento di Aldo Moro nel 1978».
Un momento dell'intervento del senatore a vita Mario Monti
«Sono stati tre governi per affrontare altrettante gravi crisi, con un eminente politico e due non politici chiamanti a guidare il Paese con larghissime coalizioni – ha aggiunto -. Che cosa avrebbe fatto in questi momenti un Premier eletto da una maggioranza di parti e quindi legittimato a governare? Che cosa avrebbe fatto con la parte sconfitta alle elezioni, votata a fare opposizione con un Presidente della Repubblica che non potrebbe neppure esortare a fare uno sforzo di unità, perché quando Mattarella ha nominato Draghi, oppure quando Napolitano ha nominato me, siamo stati presentati al Parlamento e al Paese come soluzioni di emergenza per scelte difficili?»
E con queste parole ha introdotto il tema “caldo” dell’eventuale rafforzamento del ruolo del Premier, con l’elezione diretta dello stesso. «Riprendendo le parole del mio ultimo libro Demagonia. Dove porta la politica delle illusioni, la riforma del premierato secondo me avrebbe l'inconveniente di rendere impossibile la nascita di governi tecnici per il semplice motivo che il Presidente del Consiglio o il Primo Ministro sarebbe eletto direttamente dal popolo e diventerebbe membro del Parlamento con quella elezione a Presidente del Consiglio e qualora fosse un tecnico non lo sarebbe più dal momento della nomina», ha detto.
«La riforma del premierato, e questo è l’aspetto più importante, renderebbe impossibili i governi di unità nazionale, portando a una situazione simile a quella che abbiamo visto in Francia e negli Stati Uniti dove il Paese dà con la propria preferenza, che in genere non è totalitaria, ma di una metà dello stesso, a un candidato rendendo difficile avere in Parlamento una larghissima maggioranza», ha aggiunto.
Nel suo intervento Mario Monti, senatore a vita dal 2011, ha sottolineato che «l'efficacia o meno di un governo tecnico dipende dal Presidente del Consiglio, dalla sua capacità di spremersi a costo dell'impopolarità per il bene comune per cui è chiamato».
I presenti nell'auditorium dell'ex Chiesa della Purità
Sul tema è intervenuta anche Sylvie Goulard, vicegovernatrice della Banca di Francia e già ministra delle Forze armate di Emmanuel Macron, che ha evidenziato – aprendo il confronto tra la Repubblica semipresidenziale in Francia e quella parlamentare in Italia – come «il modello francese presenti dei vantaggi in termini di semplicità: si sa per chi si vota, si sa chi è il vincitore, non ci sono discussioni o coalizioni dopo il voto ed è utile soprattutto in periodi di crisi anche se rimango dell’idea che non esiste un sistema ideale».
Nel suo intervento, Sylvie Goulard, autrice del libro La Democrazia in Europa: guardare lontano, scritto assieme a Mario Monti, ha precisato che «non si può comprendere la costituzione francese se non si ricorda che è nata nel 1958 nel contesto della guerra in Algeria con la volontà dichiarata da parte di De Gaulle di concentrare il potere e facilitare le decisioni sia sul piano della sicurezza ma anche sul piano economico».
«Di particolare interesse per i giuristi è che la Costituzione della Francia prevede una Repubblica parlamentare, ma l’introduzione dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica nel 1962 ha cambia praticamente la natura della costituzione», ha aggiunto.
E in riferimento alla proposta di riforma costituzionale del premierato in Italia ha precisato che «una volta che l’elezione diretta è introdotta, è difficile ritornare indietro per cui è necessaria una riflessione seria prima di fare questo tipo di riforma». «In Francia ha cambiato completamente la natura della costituzione – ha aggiunto -. Dall’estero, con uno sguardo forse un po’ più neutrale, posso dire che in Italia avete un sistema ben pensato, considerando che risale al 1946».
A seguire ha evidenziato quattro punti di debolezza. «La persona conta più del programma elettorale o del partito; con l’elezione diretta c’è sempre il rischio di slittare verso un modo di governo più autoritario; la personalizzazione ha un effetto di marginalizzazione della minoranza, ma sappiano che una democrazia si misura dai poteri dati alla minoranza; se il presidente della Repubblica viene eletto direttamente dai cittadini il sistema viene privato di una figura super partes», ha detto.

Un momento dell'intervento di Sylvie Goulard
Altro tema oggetto di discussione è stata la democrazia in Europa e i rapporti con l’Ue.
E proprio la Goulard, rivolgendosi alle studentesse e agli studenti, li ha invitati a «non dare per scontata la democrazia, la pace e la libertà perché sappiamo bene cosa è successo nella Germania degli anni venti e trenta con la collusione dei poteri politici ed economici, l’influenza sulla sfera mediatica, il riferimento permanente al popolo contro le élite, l’odio contro stranieri ed ebrei e dove c’è odio dobbiamo stare attenti».
«Una delle ragioni per cui possiamo essere grati di avere l’Unione Europea è che c’è un livello di controllo in più, i cittadini hanno diritti personali nell’Ue e possono rivolgersi alla Corte di giustizia e alla Corte europea dei diritti dell’uomo anche se sappiamo che l’unione non è un’organizzazione internazionale, ma è un’unione di Stati e di popoli», ha aggiunto.
Sull’Unione Europea anche Mario Monti – che in passato ha rivestito il ruolo di Commissario europeo per il mercato interno tra il 1995 e il 1999 e poi per la concorrenza fino al 2004 – ha sottolineato i benefici per i giovani come il programma Erasmus e al tempo stesso ha evidenziato la responsabilità della politica di ognuno di noi verso il futuro che deve vedere i giovani nel ruolo di protagonisti».
«Sicuramente oggi i giovani italiani sono costretti, più dei loro coetani degli altri Paesi europei, a dover lavorare di più in una situazione in cui trovare lavoro non sarà una passeggiata, sarà necessario pagare più tasse su quel lavoro, perché dovrete permettere all'Italia di pagare le pensioni alle generazioni precedenti – ha detto il senatore a vita -. In questo contesto l'Unione Europea con i suoi argini poco graditi, magari odiosi, tra questioni di disavanzo pubblico e debito pubblico, riesce a tutelare meglio la posizione delle nuove generazioni. Questo avviene perché stimola maggiormente i politici nazionali su temi importanti come il cambiamento climatico o sul debito pubblico. Al tempo stesso l’Ue si assume responsabilità, un po’ come capro espiatore, su determinate questioni sollevando il politico nazionale».
Ad aprire la tavola rotonda – nata da una proposta della studentessa Paola Tranchina del Dipartimento di Giurisprudenza – il rettore Francesco Priolo.
Nel suo intervento il rettore Francesco Priolo ha sottolineato come «occasioni come queste rappresentano momenti importanti di confronto e di crescita personale e formativo soprattutto grazie alla presenza di due relatori con grande esperienza e competenza sui due sistemi democratici e sull’Europa in un contesto geo-politico particolare».
Un momento dell'intervento del rettore Francesco Priolo
A prendere la parola anche i docenti Salvatore Zappalà, direttore del Dipartimento di Giurisprudenza, Giuseppe Speciale, presidente del corso di laurea in Giurisprudenza, e Giuseppe Chiara, ordinario di Diritto costituzionale.
Proprio il prof. Giuseppe Chiara, nel suo intervento, ha sottolineato che «il legame tra forma di governo e equilibrio di bilancio e, più in generale, della finanza pubblica, risulta evidente» evidenziando che «il rigore finanziario, che per anni ha costituito uno dei perni, almeno apparenti, della governance europea in tema di bilanci pubblici, ha subito in passato non poche deroghe proprio per il proseguimento di interessi politici, anche contingenti, correlati al consolidamento di rendite di posizione dei partiti di governo o al mantenimento degli equilibri tra le varie formazioni politiche costituenti lo scacchiere europeo».
«Oggi - e la riforma del Patto di stabilità e crescita ne offre eloquente testimonianza - sembra prevalsa la logica secondo cui siano più efficaci e politicamente sostenibili impegni di bilancio concordati fra Stati membri e Commissione, in modo da adeguare il percorso di contenimento di debito e deficit alle specificità di ciascuna situazione ed evitare che i Governi possono scaricare tutto il costo politico di misura impopolare sull’Unione Europea», ha aggiunto.
«Già in passato, peraltro, le eccezioni alle stringenti regole di contenimento del debito non erano mancate, con interpretazioni flessibili discrezionali degli impegni di bilancio, che finirono per sottostare, appunto, a logiche politiche così come i casi nel 2016 con la concessione alla Francia, da parte della Commissione presieduta da Jean-Claude Juncker, di due anni di proroga per riportare il deficit statale al di sotto della soglia del 3 per cento e, sempre nello stesso anno, di non sanzionare Portogallo e Spagna per il mancato rispetto del rispetto sul deficit», ha aggiunto.
«Adesso – ha proseguito - viene da chiedersi se in futuro l’eventuale rafforzamento del ruolo del Premier, con l’elezione diretta dello stesso, possa accentuare nel negoziato con la Commissione le ragioni di una flessibilità non supportata da apprezzabili intenti di riforma economica e di rilancio degli investimenti, ma da contingenti interessi dei singoli Stati correlati ad una ricerca del consenso».
Un momento dell'intervento del prof. Giuseppe Chiara