L’usage de la photo, voci a confronto: scrittori, editori e studiosi si interrogano sull’immaginario e sulle produzioni fototestuali
Un momento di riflessione e di scambio, ma anche di confronto tra chi i fototesti li scrive, li studia, li crea, li assembla e li legge.
È questo il primo elemento di forza del convegno L’usage de la photo. Critica sociale e politica nell’immaginario fototestuale che si è tenuto nei giorni scorsi al Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania e nei locali di Piazza Scammacca nell’ambito del progetto di ricerca Prin 2020 Fototesti. Retoriche, poetiche e aspetti cognitivi.
Fin dal titolo il convegno ha rivelato la sua natura dialogica: L’usage de la photo è un chiaro omaggio all’omonima opera autobiografica di Annie Ernaux, testo analizzato nella prima sessione da Roberta Coglitore, che ha confrontato due opere in cui i corpi, significativamente assenti nelle immagini, generano un effetto di agentività politica e sociale.
Da un lato, appunto, L’usage de la photo della stessa Ernaux, che documenta il corpo, seppur assente nelle fotografie, durante una malattia e una relazione amorosa, dall’altro Bloodbath Nation di Paul Auster, che costruisce un atlante visivo della violenza armata negli Stati Uniti.
Questa circolarità di riferimenti si è completata con l’intervento conclusivo di Michele Cometa, che ha posto l’accento sulla scelta della locandina del convegno: un’immagine tratta da Krieg dem Kriege! di Ernst Friedrich, opera che riassume in sé l’essenza politica del fototesto come dispositivo di critica al presente. Una scelta non casuale che evidenzia come i fototesti possano essere intrinsecamente legati a una retorica che fonde immagine e testo in forme «emblematiche» e «militanti».
Ad aprire i lavori Sabrina Ragucci, scrittrice e fotografa di professione, e Alberto Saibene, editore e documentarista, in un dialogo con Beatrice Seligardi e Viviana Triscari. Ragucci ha parlato della sua ultima pubblicazione, Miss G., libro che rappresenta Greta Garbo in tre versioni: giovane sottoproletaria svedese scoperta da Stiller, che l’ha condotta al cinema muto «autentico»; poi diva del cinema sonoro grazie alla sua voce elegante; infine, borghese errante, in fuga da un’immagine che l’ha inghiottita.
Una figura potente, desiderata, e per questo «eliminata», imprigionata in un incantesimo da cui può uscire solo con la morte. Miss G. è l’immagine di una donna di spalle che nuota, con una voce che si fa coro, ma che è anche un’individualità. È un «testo popolato», in cui le prose fototestuali di Ragucci interrogano la soggettività della diva come fossero «sospese in uno stato di natura morta, quasi bloccate dall’occhio fotografico che le cattura».

Un momento dell'incontro nei locali di Piazza Scammacca
Saibene, successivamente, ha raccontato l’esperienza della casa editrice Humboldt Books, fondata insieme a Giovanna Silva e nata dalla volontà di creare un’editoria «diversa», dedita a pubblicare libri in cui il viaggio diventa il tema centrale. Saibene ha sottolineato la necessità di un’ecologia dell’immagine in un’epoca di sovraesposizione mediatica e ha invitato il pubblico a riflettere sul modo in cui oggi le produzioni letterarie tendono a mescolare autobiografia, intervista, biografia e fototesto in forme ibride e sperimentali.
Nel primo panel, coordinato da Corinne Pontillo, uno dei fili conduttori che ha creato un percorso parallelo rispetto alle tematiche di partenza (politica, militanza, etica) è stato quello dei «corpi assenti» nelle immagini, una strategia visiva che paradossalmente aumenta l’impatto politico delle opere.
Coglitore ha stabilito un primo confronto: tanto in Ernaux quanto in Auster i corpi scompaiono fisicamente per riapparire come tracce, testimonianze, lacune significative. L’assenza diventa così più eloquente di qualsiasi rappresentazione esplicita, evocando una sorta di «repressione geologica» in cui il paesaggio si carica di significati storici e politici.
In una direzione quasi analoga si è mossa l’analisi di Giulio Iacoli sui geofototesti legati ai terremoti del Belice, del Friuli, de L’Aquila e dell’Appennino centrale; il suo discorso ha evocato la paesologia di Franco Arminio, particolarmente adatta a costruire un hic fuit tra passato e presente.
Le forme principali del fotoracconto del sisma passate in rassegna sono state: photo-book, photo-reportage, photo-essay, narrazioni ibride in cui fotografia e testo cooperano nel raccontare la trasformazione dei luoghi colpiti dal sisma. Queste opere sottolineano la necessità di interventi concreti e di una riflessione profonda sul territorio.
In seguito, Giorgio Bacci ha ampliato il discorso sul fototesto indagando pratiche di riscrittura e manipolazione dell’immagine dal pictorial turn a oggi. Dal dialogo tra pittura e parola nei lavori di Ken Aptekar fino alle opere politicamente e visivamente stratificate di artiste come Shirin Neshat, Mona Hatoum e Jenny Holzer, Bacci ha sottolineato come testo e immagine si fondano in narrazioni civili, autobiografiche e collettive; un’indagine intermediale che, secondo lo studioso, rende sottili i confini tra arte e attivismo.

Un esempio di fototesto
Ha proseguito Francesca Tucci con un’indagine sul testo On Tyranny, scritto da Timothy Snyder durante l’era Trump, con illustrazioni di Nora Krug, già nota per Heimat. Il volume propone venti lezioni per difendere la democrazia, attraverso una combinazione di narrazione storica, disegno e fotografia. La struttura è innovativa: testo e immagini si compenetrano, le fotografie diventano frammenti commentati da Snyder e Krug, come in una didascalia visiva.
Il libro è un esempio paradigmatico di scrittura visiva, dove il disegno rafforza il contenuto verbale e diventa esso stesso veicolo metalinguistico; si tratta di un fototesto fortemente civile, che esplora lo spazio tra passato e presente, tra memoria e azione politica.
Il panel successivo, coordinato da Elisa Bricco, ha esplorato il rapporto tra visualità, scrittura e militanza politica in una prospettiva femminista e queer. Stefania Arcara, per prima, ha analizzato le riviste femministe degli anni Settanta come terreno di lotta e affermazione del linguaggio nel dibattito pubblico da parte delle donne. L’ibridazione formale delle riviste – a metà tra giornalismo, arte e attivismo – rifletteva, nel periodo preso in esame, la tensione tra rappresentazione e autorappresentazione: «l’uomo è linguaggio, la donna immagine», recitava uno degli assunti da decostruire.
Gli studi critici si sono concentrati a lungo sul modo in cui gli uomini agiscono come soggetto storico dominante, mentre le donne sono spesso relegate al ruolo di oggetti visivi. Da qui l’importanza di riviste che hanno sovvertito questi codici, come nel caso di Mujeres Fantásticas, la rivista Women, o le fotografie del gruppo delle Amazzoni, che si riappropriava immagini sessiste rovesciandone il significato. L’intervento ha dunque messo in luce il modo in cui l’immagine, così come il collage, è divenuta negli anni Settanta uno strumento politico.
Il discorso è proseguito con la relazione di Silvia Cucchi, che ha riflettuto sull’uso del linguaggio fotografico in quattro testi di Rivolta femminile, dove l’immagine è diventata strumento espressivo e identitario.
Particolarmente interessante, poi, è stato l’intervento di Giuseppe Carrara sull’opera verbo-visiva di Claude Cahun, artista e resistente queer attiva durante l’occupazione nazista. Nel suo lavoro, fotografia e scrittura si intrecciano in modo indissolubile, facendo dell’autoritratto uno specchio performativo che mette in discussione le categorie di genere, identità e rappresentazione.

Un momento dell'incontro nei locali del Coro di Notte del Monastero dei Benedettini
Le fotografie – mai autonome ma sempre legate al testo – mostrano un linguaggio metapoetico e metamorfico: mani di carta che prendono forma anatomica, specchi che rimandano al mito di Narciso, giochi di riflessi e riferimenti che interrogano l’alterità e la reciprocità. Cahun non decostruisce semplicemente l’immagine, ma propone una cosmogonia: una visione universale e obliqua delle relazioni, che rifiuta il pensiero eteronormativo, come sottolineato anche da Monique Wittig.
Nell’opera dell’artista le immagini non sono interpretabili fuori dal contesto del fototesto; al contrario, tematizzano il rapporto tra soggetto e oggetto, tra io e occhio, tra scrittura e sguardo.
L’ultimo panel, coordinato da Massimo Schilirò, ha esplorato il fototesto in quanto dispositivo di contro-narrazione. Marie Gaboriaud ha presentato Tristesse de la terredi Éric Vuillard come critica alla mitologia della conquista del West, dove «l’eccesso iconografico diventa paradossalmente prova di una mancanza». Le immagini, nel loro «eccesso», finiscono per mascherare l’assenza di una rappresentazione autentica del trauma storico e della violenza sistemica subita dai nativi americani.
Alessandro Cenzi ha analizzato infine il progetto Niente resterà pulito (2007) ideato da Negrin, Novelli e Vasta; un’opera fototestuale e metanarrativa che intreccia frammenti visivi e narrativi. Composta da fotografie e racconti, il volume esplora le città italiane come spazio urbano e dispositivo politico.
Le immagini, tratte dall’archivio fotografico di Negrin, dialogano con i testi generando uno sguardo plurale sui luoghi e sulla memoria. La scrittura, ironica e dialogica, accompagna un’indagine sulle zone d’ombra della storia, con un linguaggio che si muove fra testimonianza e finzione. Giovanna Santaera, in ultima battuta, ha analizzato due fototesti di Fosco Maraini e Folco Quilici. In particolare, L’isola delle pescatrici ha sollevato una riflessione sul rapporto tra natura, mare e comunità umane, con attenzione alle diverse rappresentazioni di genere.
Il convegno si è concluso con la presentazione del libro Tecniche di nascondimento per adulti di Carmen Gallo, che, in dialogo con Giuseppe Carrara e Maria Rizzarelli, ha spiegato come «più che vere e proprie tecniche su come nascondersi, questo libro dà la sensazione di essere trovati, attraverso immagini che sembrano venire a cercare il lettore, creando un equilibrio sottile tra testo e didascalie».

Un momento dell'incontro nei locali del Coro di Notte del Monastero dei Benedettini
L’autrice ha raccontato la genesi del volume, nato come un gioco con il lettore profondamente legato, allo stesso tempo, a una poetica del nascondimento: «è un libro sul nascondimento che rivela quanto, in realtà, il nascondersi non sia affatto una buona idea».
Le fotografie, pubblicate in bianco e nero, non rivendicano una qualità artistica ma diventano parte integrante di un discorso poetico in cui i corpi non sono mai del tutto visibili, creando un effetto spettrale.
Le letture di alcune sezioni del libro, affidate nel silenzio dell’uditorio alla voce dell’autrice stessa, sono poi state chiuse da un ultimo intervento di Giuseppe Carrara che ha osservato come «il nascondimento non è attendere di essere svelato o scoperto: è più una sospensione», e ha evidenziato come la scrittura di Carmen Gallo rifiuti la postura tipica della poesia moderna per «essere, essa stessa, altro».
Un interessante momento che ha trovato spazio all’interno del convegno è stata, come già accennato, la relazione di Michele Cometa, che ha preceduto la presentazione del libro di Gallo. L’intervento dello studioso ha offerto una serie di coordinate utili a mettere a fuoco una ‘grammatica fototestuale’ intesa anche, nella sua forma-emblema, come un’eredità barocca che oggi si attualizza in risposta a nuove urgenze politiche.
Nel tentativo di dare forma a questa eterogeneità, inoltre, si potrebbe individuare come unica condizione imprescindibile per parlare di fototesto la presenza della fotografia. Ma questa definizione rischia di ricadere in un sillogismo riduttivo: se basta la fotografia, allora ogni libro che contiene frammenti fotografici è un fototesto?
Cometa, richiamando anche gli studi di Mitchell, invita quindi a non considerare l’accostamento tra immagini e parole in maniera semplicistica, ma «ad attivare un processo di decostruzione capace di produrre comprensione»; un’esigenza che emerge anche come risposta a una crisi etica e sociale: il discorso ibrido delle produzioni fototestuali diventa così una necessità storica.
Il convegno catanese, inserito in un percorso di ricerca più ampio che vede coinvolte anche le università di Palermo, Genova e Parma, ha dimostrato come il fototesto sia capace di abbracciare questioni come l’attivismo politico, il femminismo e la critica sociale. Si tratta di un campo di studi che, nella sua natura ibrida e sperimentale, continua a sfuggire a definizioni rigide, ma proprio per questo si rivela straordinariamente vitale.