Didone Pop

La rilettura contemporanea del mito di Didone a opera di Luana Rondinelli andata in scena al Piccolo Teatro della Città

Thea Faro (foto di Dino Stornello)
Didone Pop (foto di Dino Stornello)
Didone Pop (foto di Dino Stornello)
Didone Pop (foto di Dino Stornello)
Didone Pop, un momento dell'incontro al Centro Universitario Teatrale (foto di Dino Stornello)

Che cosa sarebbe accaduto se Didone avesse fondato Cartagine nel XXI secolo? Forse qualcosa di simile a ciò che ha immaginato Beatrice Monroy nel suo volume Dido. Operetta pop del 2015, a partire dal quale Luana Rondinelli, e la stessa autrice, hanno realizzato una pièce teatrale. 

Quasi a voler evocare la copertina del libro di Monroy, la scena, allestita da Vincenzo La Mendola, è ricca di oggetti rovinati dall’uso e dalle intemperie, metaforicamente simbolo di quella «‘munnizza’del mondo» che Rondinelli afferma di voler portare all’attenzione. 

Relitti, vecchi giocattoli e bottiglie di plastica accartocciate ci restituiscono il quadro di quella che sembra una discarica, o una delle spiagge inquinate invase dai rifiuti a cui il nostro sguardo è purtroppo ormai avvezzo. 

Dissonanti rispetto a questa ambientazione risultano alcuni leggii, posti ai lati di un trono centrale, sui quali poggiano i copioni degli attori, da cui questi leggono numerose battute durante la rappresentazione.

La vicenda ha inizio con Anna (Luana Rondinelli) che osservando la corruzione e la pericolosità della propria terra d’origine – una stereotipata Sicilia governata dalla mafia – convince la sorella Didone (Laura Giordani) a fuggire alla ricerca di una nuova colonia in cui stanziarsi e fondare una «città dell’utopia» all’insegna della libertà, della giustizia e del matriarcato: «Possiamo essere felici, ma non qui, non così».

Didone Pop (foto di Dino Stornello)

Didone Pop (foto di Dino Stornello)

Le due donne partono dunque alla volta della Libia, incontrando nel viaggio figure curiose e caricaturali, e tali di fatto sono loro stesse, nelle battute, nei gesti, nelle espressioni del volto. Nel percorso, tuttavia, si trovano davanti anche la morte, concretizzata nella distesa di cadaveri di migranti annegati in mare che suscita viva commozione nei loro occhi.

Migranti esse stesse, Didone e Anna approdano nei territori di Iarba (Luca Fiorino), qui rappresentato come un politico dall’atteggiamento razzista che, parlando loro «all’infinito», nasconde goffamente sotto la maschera della magnanimità la propria volontà di trarre vantaggi personali (il matrimonio) ed economici (le ricchezze portate dalle due donne) dal loro sbarco. 

Nulla di troppo diverso da ciò che oggi ascoltiamo e leggiamo quotidianamente: questo ci suggerisce Rondinelli introducendo il discorso di Iarba al popolo attraverso la sigla del telegiornale e concludendolo con l’acclamazione di un sostenitore (Luigi Nicotra, che interpreta anche il ruolo di Mercurio/narratore) che non lascia dubbi sul riferimento presente nella mente della regista. 

Didone Pop (foto di Dino Stornello)

Didone Pop (foto di Dino Stornello)

Nonostante il fermo proposito di Didone di non risposarsi dopo la morte del primo marito, come nel mito originale anche qui trova spazio l’amore, concepito come stato di alterazione del sé in cui anche la forte e intraprendente regina smarrisce se stessa. Così, dunque, Didone mette da parte doveri e ambizioni, lasciandosi distrarre dal cellulare che usa per comunicare, tramite messaggi e selfie, con l’uomo di cui è innamorata, e ignorando i continui richiami da parte di Anna. 

L’uomo in questione è un Enea (Luca Fiorino) profondamente diverso rispetto a quello dell’epopea virgiliana: privato della sua aura mitica ed eroica, è qui un uomo-bambino, sempre destinato a grandi imprese ma di fatto incapace di compiere le azioni più semplici e totalmente dipendente dalla figura materna, che lo controlla come un automa o una marionetta tramite delle cuffiette, suggerendogli persino il tono di voce da usare quando si rivolge a Didone. 

La storia procede, fino a un esito inaspettato e nuovo, in un connubio di tragico e comico: a monologhi seri e patetici si alternano entrate in scena di personaggi grotteschi, accompagnati da frammenti di canzoni pop (su tutte Material girl) che collocano lo spettacolo entro una cultura contemporanea ben precisa, nella quale rientrano tutti i temi trattati. Questa è la cifra della drammaturgia di Rondinelli e, se vogliamo, una caratteristica precipua della cultura pop: l’utilizzo dell’ironia «per esorcizzare le tematiche più impegnative». 

Didone Pop, un momento dell'incontro al Centro Universitario Teatrale (foto di Dino Stornello)

Didone Pop, un momento dell'incontro al Centro Universitario Teatrale (foto di Dino Stornello)

È ciò che afferma la stessa regista Luana Rondinelli conversando con la docente Simona Scattina, durante l’incontro al Centro Universitario Teatrale nel contesto di RetroScena, il ciclo di appuntamenti di confronto e approfondimento sugli spettacoli ospitati dalle due sale del Teatro della Città. 

Tra i vari e interessanti punti toccati, vale la pena ricordare il racconto di Rondinelli e Giordani a proposito della scelta dei ruoli da impersonare. Contro l’immaginario comune, che vuole irragionevolmente Didone simile alla donna-angelo stilnovista, questa è interpretata da Giordani, che a suo stesso dire ha un corpo ‘non conforme’, cioè che non rispecchia i canoni estetici occidentali. Questi vengono quindi ribaltati e criticati, oltre che nel testo stesso, proprio grazie all’innovativa scelta di casting. 

Si comprende dunque ancor di più come si tratti di uno allestimento originale e ricco di spunti che, come scrive Monroy nelle note del foglio di sala, «lega l’attualità […] e i temi della contemporaneità – come gli sbarchi, la condizione della donna, il potere, i social media – alla potenza del Mito».