Dio non parla svedese: monologo "interiore"

La recensione dello spettacolo di e con Diego Frisina andato in scena al Cut, nell'ambito del "Catania Off Fringe Festival": l'ha visto per noi Angelamaria Blanco, studentessa di Lettere al Disum di Unict

Angelamaria Blanco

Lo spettacolo "Dio non parla Svedese" è un monologo drammatico il cui protagonista esprime il proprio dramma interiore causato da una malattia ereditaria scoperta a soli 14anni a causa di un incidente: l’ha ereditata da suo padre che non ne era a conoscenza.

Lo spettacolo si apre con la scena finale: la musica di un carillon, sua madre a terra e il protagonista che cade dopo che suo padre gli spara.

Da qui in poi l’uomo (interpretato dall’attore Diego Frisina) racconta la sua vita segnata dalla malattia e si domanda perché gli altri non sono felici, arrivando a sostenere che se fosse stato lui a progettare il mondo la condizione per vivere sarebbe stata quella di essere felici. Nonostante tutti i suoi dolori, infatti, lui è felice di vivere perché ha il conforto delle droghe.

Attraverso l’espediente di un voice over l’uomo immagina che i suoi nipotini, che simboleggiano la sua coscienza, elenchino le droghe da lui usate. 

Altre voci fuori campo, invece, rappresentano la coscienza del protagonista che racconta di quando sua madre gli aveva consigliato di andare in cura da uno psichiatra, ma anche questo era servito a poco perché il medico era convinto che lui avesse il complesso di Edipo. 

Il protagonista a questo punto critica la religione: crede che Dio abbia progettato il mondo con un foglio di istruzioni scritte in svedese.

La musica del carillon a metà spettacolo ritorna e l’uomo spiega al pubblico che il carillon lo aveva regalato a sua madre quando aveva sei anni: lui e suo padre lo avevano costruito lavorandoci a lungo, e poi il merito del dono era stato dato tutto a lui. L’uomo racconta poi del rapporto con il padre, incrinatosi a tal punto che il genitore lo aveva cacciato di casa.

La narrazione prosegue in maniera estremamente accurata, tutta la vicenda viene raccontata dall’unico interprete, il quale però ha la capacità di far sembrare allo spettatore che in scena siano presenti diversi personaggi: la madre, il padre, l’amico Bottiglia, lo psichiatra e altri con ruoli più marginali, come la ragazza cristiana, Silvia e l’avvocato che lo difendeva dalle accuse sostenendo che fosse malato.

Il racconto di Frisina coinvolge e rende partecipi gli spettatori, anche interpellandoli direttamente. L’espressione del dramma interiore del protagonista è affidata soprattutto alle musiche di scena, alle voci fuoricampo e ai movimenti sconnessi dell’interprete, mentre la scenografia è essenziale, fatta soltanto di un carillon e una sedia.

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