Debutto di “Dioniso in Sicilia”, il quinto concerto del festival di musica contemporanea “InterSezioni”
Un’esecuzione unica e meravigliosa, nata dalla commistione tra musica e letteratura, tra melodia strumentale e magnificenza canora. Dioniso in Sicilia si è mostrato così, al Teatro Sangiorgi, in occasione del festival InterSezioni, organizzato dal violoncellista Giovanni Sollima e dal compositore Giovanni Ferrauto.
Un incontro ammaliante e suggestivo che conduce chi ascolta ad intraprendere un viaggio immaginario verso un etereo mondo mitologico, che rimette in luce le sue antiche radici nella terra mediterranea della Sicilia.
Sulla scena si sono esibiti l’orchestra della Camerata Polifonica Siciliana, la formazione Percussio Mundi, i pianisti Mario Spinnicchia e Francesco Zappalà e il bassista Daniele Bartolini, diretti dai maestri Antonio D’Antò e Giovanni Ferrauto.
La serata si è aperta con l’esecuzione di Le sacre du printemps. Quadri della Russia pagana, di Igor Stravinsky, nella versione per due pianoforti e percussioni, suggerita dalla grande ammirazione per il compositore russo che ha ispirato il lavoro dei maestri.
È seguita poi l’esecuzione della cantata, composta da Giovanni Ferrauto (ideatore del progetto) e Antonio D’Antò su libretto di Paolo Biagio Cipolla.
Si tratta di una narrazione attualmente in tre parti (ma è un work in progress), divisa tra strumenti e voci - gli uni descrivono i paesaggi, le altre identificano i personaggi -, delle vicende di un mondo agreste dell’VIII sec. a.C., periodo della seconda colonizzazione greca, in cui il Pantheon greco venne importato nell’entroterra siciliano e mescolato con il patrimonio religioso locale, dando vita ad una nuova realtà mitologica, che vide nell’esaltazione dei rituali etnei e dionisiaci la sua massima realizzazione.

Un momento dello spettacolo
Le tre parti sono dedicate a Demetra e Kore, a Dioniso e ad Afrodite.
“Nel secondo quadro, l’intenzione era quella di creare un’atmosfera dionisiaca ditirambica che esprimesse entusiasmo, sfrenatezza e gioia”, ha introdotto commentando Paolo Biagio Cipolla, librettista e docente di Letteratura Greca al Dipartimento di Scienze Umanistiche.
“Ma ho pensato anche di creare un parallelismo con la società contemporanea, rappresentando nel terzo quadro un amore che non sia mai frutto di malintesi e che non possa dare luogo alla violenza – ha aggiunto -. Per questo, ho tratto ispirazione dal ritornello del Pervigilium Veneris, un componimento latino della tarda latinità probabilmente nato in Sicilia che recita tradotto: “domani ami chi non amò, e chi amò mai ami domani”; aggiungendo, infine, ami sempre, e ho precisato che chi ama non è violento, chi è violento non ama”.
Come il pastore innamorato che, nonostante la sua sfortuna, dedica il dolce canto d’amore alla bella Amarillide, invocando sulla scena dell’immaginario le onde del mare, che increspandosi formano una schiuma brillante, dalla quale sorge la divina Afrodite.
È proprio questo episodio in particolare, caratterizzante i due momenti che compongono l’ultimo quadro dell’opera - Templum e Afrodite -, che ha suscitato l’entusiasmo del suo compositore, Antonio D’Antò.

Un momento dello spettacolo
“Ho applicato al testo narrativo una scrittura musicale che producesse delle corde liriche e al tempo stesso ritmiche e che rappresentassero in maniera chiara la complessità delle storie raccontate – ha spiegato -. Un ruolo centrale all’interno di questo processo è stato svolto dal coro, che in questo caso viene ripensato nella forma tipica della tragedia greca: ebbene, quest’ultimo si occupa di osservare e raccontare da lontano quello che sta accadendo sulla scena, scrostando infine il muro dell’apparenza e mostrando lo affresco che si celava dietro”.
Infatti, all’effetto policromatico restituito dalla cospicua quantità dei frammenti mitologici alla base del tessuto narrativo si è sovrapposto contemporaneamente l’effetto polifonico del canto corale, impegnato a esprimere, come ha affermato D’Antò, un significato attuale: un amore non violento ed eterno. Il tutto fungeva da incoronamento alla voce solista del pastore, una vera e propria aria d’opera.
“Il maestro D’Antò ha voluto rendere l’idea delle onde attraverso un movimento musicale, appunto, ondeggiante di terzine che danno l’idea del mare”, ha aggiunto il prof. Cipolla, per marcare l’importanza assunta dai contesti in cui l’esecuzione è stata ambientata.
L’intera cantata, racchiusa in altri due quadri, è stata ispirata infatti dalle ricerche letterarie condotte dal docente.
“Il primo quadro si apre con una citazione dello Inno a Demetra di Laso d'Ermione, poeta lirico tardo arcaico, ed è dedicato ad un sacrificio agreste in onore della dea – ha aggiunto -. Su quest’idea, suggerita da Giovanni Ferrauto, ho costruito poi tutta la narrazione”.

Un momento dello spettacolo
“Seguono – spiega il prof. Cipolla - il riferimento alla presenza di Kore e al rapimento di Persefone ad opera di Ade, ripreso dalle Metamorfosi di Ovidio e incastrato da me con un altro rapimento meno noto, quello della ninfa Talia, madre dei divini gemelli Palici, raccontato da Eschilo nelle Etnee perdute. Il secondo quadro, invece, è dedicato a Dioniso, dio del vino e del piacere. In questo caso, per creare l’atmosfera adatta, mi sono lasciato guidare dai miei studi sulle Baccanti di Euripide e sui drammi satireschi”.
Inoltre, per quanto riguarda il quadro introduttivo, è interessante accennare ad un’ulteriore particolare innovazione, ovvero l’unione tra letteratura e arte.
“L’evocazione della nascita di Afrodite è chiaramente ripresa dal De rerum Natura di Lucrezio e al tempo stesso disegnata riproponendo la medesima suggestione visuale data da Botticelli nella Primavera: quell’immagine di Afrodite che arriva sulla spiaggia spinta dai venti è proprio botticelliana”, racconta.
Diverge dal quadro di armonia afrodisiaca la visione che è riuscito ad interpretare Giovanni Ferrauto dei rituali e delle danze tribali dedicate alle divinità della terra e del piacere: alla sua mano d’artista si attribuisce la composizione e la direzione musicale del primo e del secondo quadro.
“L’opera è un progetto che abbiamo avviato con Paolo Cipolla che mira a costruire una cantata scenica, interamente sul tema del mito greco e di come esso viene impiantato in Sicilia – spiega Giovanni Ferrauto -. Questa versione, che abbiamo creato insieme al maestro D’Antò, è innovativa rispetto ad un prima forma orchestrale, sinfonica, che è stata eseguita al Teatro Massimo Bellini di Catania. La novità consiste nella resa primitiva della sonorità, enfatizzata dal suono più “stretto” dei pianoforti, che hanno avuto un ruolo fondamentale, Mario Spinnicchia e Francesco Zappalà, nella riproduzione di un ‘atmosfera arcaica e anche pre-culturale”.

Un momento dello spettacolo
“Sulla scena di Kore – aggiunge - sono presenti due cori separati, uomini e donne, che poi si incontrano esplodendo in un canto di lode finale; invece, il secondo pezzo è una vera e propria orgia dionisiaca sotto tutti i punti di vista: i ritmi, le note, i registri, e le voci si intersecano in maniera sempre più frenetica, trasmettendo l’idea di un amplesso orgiastico, per poi giungere ad un finale dove coesistono più metri simultaneamente, come il metro binario e ternario.
Lo scopo è quello di suscitare nello spettatore una sensazione di caos, apparentemente disorganizzato, ma in realtà guidato internamente da schemi molto precisi”.
Il Dioniso in Sicilia, dunque, diventa un genere inaudito perché è nato dalla reinterpretazione e dalla trasformazione di schemi mitici e musicali più o meno conosciuti, ispirati dalla notevole ingegnosità dei suoi abili compositori.
In chiusura di intervento Giovanni Ferrauto ha spiegato che “il tema principale è il mito che è stato trattato da numerosi artisti”. “Ma ognuno dà la sua impronta originale ed è proprio questo ciò che noi abbiamo fatto: siamo partiti dal recupero di alcune formule melodiche fisse, che nell’antica Grecia erano dette nomoi e che si utilizzavano per determinate occasioni, riconoscibili a più persone – ha aggiunto -. Tuttavia, ho voluto svilupparne una melodia non classica, quindi originale, perché non c’è melodia in questo ultimo pezzo: sono tutte cellule e frammenti; ogni frammento ha una sua funzione, anche etica e comunicativa. Dioniso in Sicilia, in realtà, è un pezzo senza melodia e senza canto”.

In foto un momento delle prove