Al Dipartimento di Scienze politiche e sociali è intervenuto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia
Donne avvelenate, sparate negli occhi e ai genitali, le esecuzioni, ma anche spunti di riflessione sulle più generali categorie del lessico dei diritti umani.
Un intervento di straordinaria potenza sulla situazione iraniana e anche sulla figura dell’attivista involontario, come Masha Amini, la ragazza iraniana arrestata e morta in carcere per una ciocca di capelli fuori dal velo che non aveva inteso esprimere alcun atto provocatorio ma, semplicemente, vivere.
È il quadro disegnato da Riccardo Noury, portavoce dal 2003 di Amnesty International Italia, ai numerosi studenti che hanno preso parte all’incontro che si è svolto nell’Aula 21 Marzo del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania.
Organizzato insieme con Amnesty International Italia, l’incontro si è rivelato un’importante occasione di confronto per gli studenti dell’ateneo sulla quotidianità delle loro coetanee iraniane.
La narrazione vibrante di Noury ha restituito, dunque, una situazione affatto arretrata delle modalità della protesta e del movimento, definito dallo stesso portavoce di Amnesty International Italia «globale e rivoluzionario». Lo stesso Noury ha invitato le studentesse e gli studenti presenti – diversi gli iraniani presenti in aula -, sulla spinta della sollecitazione delle coscienze, «a non lasciare soli le giovani e i giovani iraniani e di essere la loro voce».
Ad aprire i lavori la direttrice del Dsps, Pinella Di Gregorio, che, come storica esperta di quell’area geografica e accademica, ha evidenziato l’impegno nella «costruzione di un Dipartimento in grado di produrre azioni positive sui processi civili e sociali della realtà».
Ma soprattutto ha rilevato la straordinaria capacità dell’illustre ospite di parlare «non alle emozioni, ma alle coscienze» sottolineando come Riccardo Noury sia autore di numerosi volumi, tra cui “Non sopportiamo la tortura” (2001), “Poesie da Guantánamo” (2007), “La stessa lotta, la stessa ragione” (2020), “Molla chi boia. La lenta fine della pena di morte negli Usa” (2022) e “Qatar 2022. I Mondiali dello sfruttamento” (2022) oltre ad essere editorialista per il Corriere della Sera, Fatto quotidiano, Focus on Africa, Articolo 21 e Pressenza.

In foto da sinistra Pinella Di Gregorio, Stefania Mazzone, Riccardo Noury e Stefania Panebianco
Coordinato dalla prof.ssa Stefania Panebianco, promotrice dell’iniziativa, il confronto è stato integrato dagli interventi delle docenti Adriana Di Stefano (docente di Diritto dell’Unione Europea e delegata d’ateneo alle Pari opportunità) e Stefania Mazzone (docente di Storia del Pensiero Politico, delegata di Dipartimento all’Inclusione, pari opportunità e politiche di genere), coordinatrice del Laboratorio di Ricerca e Azione di genere.
Adriana Di Stefano ha ricostruito il filo storico delle battaglie di Amnesty International dal 1977, anno del Nobel per la Pace, attraversando la storia del più importante movimento di attiviste e attivisti a livello globale confrontandola con la storia delle fondamentali tappe internazionali di riconoscimento dei diritti umani sul piano giuridico.
Particolarmente emozionante è stata la lettura del discorso di accettazione del Nobel ad Amnesty International del 1977 attribuito per aver «contribuito a rafforzare la libertà, la giustizia e conseguentemente anche la pace nel mondo», seguito nel 1978 dal Premio delle Nazioni Unite per i diritti umani, come ha ricordato Adriana Di Stefano.

In foto da sinistra Stefania Mazzone, Pinella Di Gregorio, Riccardo Noury, Stefania Panebianco e Adriana Di Stefano
Stefania Mazzone, a partire anche dalla sua appartenenza all’associazione di fotogiornalismo umanistico e sociale Gerta Human Reports, di cui scorrevano in aula i reportage sulle proteste di Amnesty in sostegno alle donne iraniane, ha ammonito l’uditorio sul significato di diritti umani universali che, se goduti solo da poche e pochi, sono ‘privilegio’, insistendo dunque, sulla necessità di «allungare i tempi della notizia» affinchè non ci si dimentichi delle donne iraniane e si tenga sempre alta la mobilitazione, nel quotidiano, disseminando e contagiando, anche con le azioni positive che l’ateneo catanese ha coraggiosamente e tempestivamente messo in campo.
In conclusione, la prof.ssa Mazzone ha ricordato «l’importanza di non confondere il multiculturalismo con la difesa delle culture patriarcali all’interno delle quali le donne sono prive di diritti e libertà».
In chiusura sono interventi alcuni studenti iraniani che hanno evidenziato una vera e propria “rivoluzione femminista” creando un clima di vera comunità universitaria, quella comunità che, come ha aggiunto la prof.ssa Di Gregorio «rende lo studio rivoluzionario».