È bello vivere liberi!

Lo spettacolo di e con Marta Cuscunà è andato in scena al Zō Centro Culture Contemporanee nell’ambito della rassegna di teatro contemporaneo “AltreScene”

Doriana Giudice (foto di Giovita Piccillo e Raquel Bonet)

Al Zō Centro Culture Contemporanee, l’attrice, drammaturga e burattinaia friulana Marta Cuscunà – in scena con il suo È bello vivere liberi! l’indomani nello stesso luogo – ha tenuto, nei giorni scorsi, una vera e propria lezione che ha rappresentato, sia per gli studenti dell’Università di Catania, sia per gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catania, un’occasione imperdibile per scoprire il suo universo teatrale che si pone ai confini tra teatro civile, teatro di narrazione e teatro di figura.

L’attrice ha aperto, con grande generosità, le porte della sua officina drammaturgica mostrandoci la genesi della sua trilogia delle Resistenze femminili dimostrandosi sin da subito l’artista generosa che tutti le riconoscono. 

Una “lezione” che ha interessato le studentesse e gli studenti del Dipartimento di Scienze Umanistiche incuriositi dalla trilogia teatrale composta dagli spettacoli: È bello vivere liberi! (2009); La semplicità ingannata (2012) e Sorry, boys (2016) in cui l’attrice, da sola sul palco, si è dimostrata abilissima nell’interpretare tutti i personaggi con funamboliche doti da doppiatrice, e nel raccontare, attraverso burattini e pupazzi, storie vere, spesso dimenticate e talvolta occultate, con protagoniste donne combattenti e coraggiose che provano a riscattare la propria condizione subalterna mettendo in atto molteplici forme di ‘resistenza’.

Marta Cuscunà

Marta Cuscunà in È bello vivere liberi! (foto di Giovita Piccillo)

Per contestualizzare lo spettacolo, l’attrice ha pensato bene di compiere un excursus delle sue tre opere teatrali dal quale è emerso quanto fosse importante per il suo modus operandi la ricerca, oserei dire chirurgica, delle fonti storiche e bibliografiche unita alla necessità di affrontare dei temi sociali per lei (e per noi!) urgenti.

Marta Cuscunà appartiene, infatti, a quella schiera di artigiane che il teatro lo scrivono, dirigono ed interpretano intrecciando drammaturgia e memoria, impegno e politica, e rivela, a studenti e non, che l'idea del progetto sulle Resistenze femminili è nata nell’ormai lontano 2009 dopo aver letto l'inchiesta Il femminismo, che roba è? realizzata dalla semiologa Giovanna Cosenza e dal suo team di studenti dell’Università di Bologna, che l’ha spinta ad intercettare degli esempi positivi di donne che portassero avanti istanze protofemministe per riscattare la loro condizione.

Durante l’incontro pomeridiano la drammaturga si è soffermata, ma non troppo, sul primo spettacolo della trilogia, È bello vivere liberi! Sono stati gli studenti stessi a fermarla bloccando eventuali spoiler sullo spettacolo che avrebbero visto l’indomani.

Ma l’attrice è arrivata giusto a svelare che la storia della pièce, il cui sottotitolo è Progetto di teatro civile per un’attrice, cinque burattini e un pupazzo, ha vinto il Premio Scenario per Ustica 2009 ed è ispirata alla biografia di Ondina Peteani, prima staffetta partigiana d’Italia nonché deportata Auschwitz n. 81672, che svestirà i panni della donna ‘regina del focolare’ per vestire quelli di una donna combattente che arriva persino ad inforcare un fucile e a scendere in campo per combattere per i suoi ideali.

Marta Cuscunà

Marta Cuscunà (foto di Raquel Bonet)

L’attrice ha poi continuato, mostrando al pubblico foto e video di scenacon la seconda tappa della trilogia, ossia La semplicità ingannata – andato in scena a Catania l’anno scorso sempre da Zō – che ha come sottotitolo ironico ed indicativo Satira per attrice e pupazze sul lusso d’esser donne. 

Vincitore del Premio Last Seen 2012, questo lavoro ci trasporta tra il Cinquecento e il Seicento, in quanto è liberamente ispirato alle opere letterarie della monaca forzata veneziana e protofemminista Arcangela Tarabotti e ruota attorno alla vicenda delle Clarisse del monastero di Santa Chiara di Udine. Le Clarisse – ci spiega Marta– sono abili nel mettere in atto una rivolta all’Inquisizione e, utilizzando la cultura come arma di emancipazione, compiono una vera e propria rivoluzione culturale basata sul ribaltamento degli stereotipi femminili.

La drammaturga ha tenuto poi a specificare che è lei – e soltanto lei – a dare colore ed identità a tutte e sei le ribelli pupazze-suore e ha mostrato al suo uditorio – rivolgendosi soprattutto a coloro i quali l’anno scorso non sono riusciti a vedere questa perla teatrale dal vivo – un estratto dello spettacolo che restituisce un’idea della sua manipolazione e delle sue pupazze – ispirate ai personaggi di Tim Burton – dal volto pallido e dai grandi occhi.

Marta Cuscunà in La semplicità ingannata

Marta Cuscunà in La semplicità ingannata (foto di Giovita Piccillo)

La loro realizzazione scenografica, ha dichiarato Marta mostrandocela in foto, è stata opera di Elisabetta Ferrandino e Delta Studios ed è stata ispirata non solo dalla lettura dell’Inferno monacale di Arcangela Tarabotti in cui la suora-scrittrice paragona le vergini forzate a degli uccelli intrappolati nel vischio, ma anche dalla visione del corto della Pixar For The Birds con protagonista uno stormo di uccelli appesi a un filo (ed infatti le pupazze appaiono in scena appollaiate su una balaustra).

La Cuscunà ha illustrato, infine, il terzo ed ultimo spettacolo della trilogia, in cui si sofferma maggiormente forse perché è l’unico che il pubblico catanese non ha ancora avuto la fortuna di vedere dal vivo: Sorry, boys, il cui sottotitolo è Dialoghi su un patto segreto per dodici teste mozze

Insignito del Premio Rete Critica 2017, è liberamente ispirato alla gravidanza collettiva di diciotto studentesse under sedici realmente verificatasi nel 2008 a Gloucester in Massachusetts, e alla loro decisione di far crescere i propri figli in una comune esclusivamente femminile che preveda, quindi, l’esclusione dei padri e degli adulti.

L’attrice ha spiegato che questo inconsueto patto segreto di maternità ha ispirato non solo la sua pièce, ma anche romanzi, film come 17 ragazze di Delphine e Muriel Coulin (2001), documenti e addirittura format televisivi noti come quello di MTV 16 and pregnant.

Marta Cuscunà

Marta Cuscunà mentre mostra le schiere di teste mozze (foto di Giovita Piccillo)

Due documentari, in particolar modo, sono stati illuminanti per la ricerca che ha condotto, e infatti ce ne mostra dei brevi frammenti: The Gloucester 18. The realities of teen pregnancy (2010) di John Michael Williams in cui una delle giovani madri racconta di aver scelto di concepire un figlio dopo aver assistito ad un femminicidio, e Breaking our Silence. Gloucester Men Speak Out Against Domestic Abuse (2002) di Susan Steiner, William Greenbaum e Henry Ferrini che instillano, in Marta, la necessità di raccontare gli stereotipi che la società patriarcale impone non solo alle donne ma anche agli uomini.

Metafora degli uomini e degli adulti esclusi dal patto di maternità e, pertanto, messi con le spalle al muro dalle teen mom sono le due schiere di teste mozze in trofei da caccia che occupano l’intero spazio scenico insieme allo schermo di un cellulare che alterna le chat di WhatsApp all’applicazione iMamma.

Realizzate dalla scenografa Paola Villani – come scopriamo dal prezioso contributo video che Marta ci mostra per svelarci il backstage del progetto –, le dodici teste animatroniche sono ispirate alla serie fotografica del 2012 We are beautiful dell’artista francese Antoine Barbot e sono animate e doppiate interamente da Marta che, in questo caso, non si palesa mai sul palco come attrice in carne ed ossa ma è presente soltanto come manovratrice nascosta.

Marta Cuscunà

Marta Cuscunà in un momento dello spettacolo (foto di Raquel Bonet)

Durante la sua lezione pomeridiana l’artista dimostra così, agli occhi affascinati ed incantati degli studenti, di possedere la stessa intraprendenza e lo stesso coraggio della giovane partigiana, delle suore ribelli e della cerchia di gestanti che ha deciso di portare con sé in scena, e ce ne ha dato prova, infatti, la sera dopo, con lo spettacolo di esordio È bello vivere liberi!, attraverso il quale racconta ed interpreta la vicenda di Ondina Peteani.

Marta Cuscunà – capelli raccolti, camicetta e gonna neri in perfetto stile anni Quaranta – si è dimostrata abilissima nel passare continuamente dal racconto diegetico alla mimesi dei personaggi (resi attraverso semplici cambiamenti di gesti, posture e toni di voce) e ha raccontato al pubblico catanese la storia di Ondina sin da quando, diciassettenne, divenne militante clandestina del Partito Comunista Italiano.

L’attenta platea ha assistito così alle lezioni di comunismo che, con voce squillante, le impartiva Alma Vivoda fino a farla diventare, a soli 18 anni, una giovane staffetta partigiana col nome di Natalia; all’eliminazione da parte della compagna Natalia del famigerato traditore Blechi – resa drammaturgicamente attraverso l’espediente di cinque burattini a guanto realizzati dalla scenografa Belinda De Vito e manovrati da Marta – e, infine, alla sua deportazione ad Auschwitz, appena diciannovenne, come prigioniera politica.

I burattini

I burattini (foto di Raquel Bonet)

È a questo punto della narrazione che non può più essere Marta – con il suo corpo che non è stato privato di niente perché la guerra, per fortuna, non l’ha mai conosciuta – ad interpretare Ondina e, infatti, dalla regia viene illuminato il grande baule/vagone grigio che si trova sulla destra del palco.

Sul baule è inciso il numero 81672 che Ondina ha tatuato sul braccio e, aprendone il portellone, viene svelato al pubblico il ‘doppio’ di Marta.

Si tratta di un pupazzo che rappresenta Ondina dentro il Lager – realizzato anch’esso da Belinda De Vito –, il cui corpo smunto, bianco e liscio come un osso levigato dagli agenti atmosferici presenta una grande testa con grandi occhi neri rigati dalle lacrime e verrà manipolato, infilando le braccia in due lunghi guanti neri di plastica, dall’attrice-manovratrice con la stessa freddezza disumanizzante del carnefice nei confronti della vittima.

Non possiamo, dunque, che concludere asserendo che il teatro di Marta Cuscunà – e il suo È bello vivere liberi! ne è stata una vivida conferma – sia, indubbiamente, un teatro per tenerci lucidi; per ricordarci che, mentre siamo impegnati con la retorica del potrebbe succedere di nuovo, è già successo tante altre volte senza che nemmeno ce ne accorgessimo. 

Per ricordarci che ‘resistere’ significa, ora e sempre, non arrendersi mai. Perché una volta pronunciata quella parola libertà è impossibile che la voce si spenga. Anzi, trova la forza per urlare ancora di più, sempre di più. Perché, ora e sempre, è bello sì, davvero, vivere liberi.

Il baule/vagone

Il baule/vagone (foto di Raquel Bonet)