L'opera lirica di Francesco Cilea su libretto di Arturo Colautti 'strega' il pubblico del Teatro Massimo Bellini
«E rido, e piango e sogno...» sono parole del personaggio Michonnet, direttore di scena alla Comédie Française, innamorato dell’attrice Adriana Lecouvreur. Parole che possono essere pronunciate anche dallo spettatore a teatro che assiste al capolavoro musicale di Francesco Cilea.
Si tratta, infatti, di un’opera intensa che accompagna alla commozione per il finale drammatico, connotata anche da momenti in cui battute leggere non possono che far sorridere lo spettatore, in una generale atmosfera sognante che è quella di un tormentato amore (in verità, diversi amori).
L’opera porta sulla scena l’amore tra l’attrice Adriana Lecouvreur e Maurizio, il Conte di Sassonia, contrastato dalla perfida Principessa di Bouillon. L’epilogo tragico segnerà la morte di Adriana, avvelenata con un mazzo di fiori inviatole con l’inganno dalla rivale.
Un’azione che sul palco del teatro Massimo Bellini si sviluppa su un principale elemento scenografico che rimane stabile durante tutto il corso dell’Opera: una pedana.
Un palco sopra il palco che durante il primo atto rappresenta il palcoscenico su cui Adriana interpreta per il suo pubblico Rossana, personaggio della tragedia Bajazet di Racine, rivolgendo le spalle a noi spettatori che la guardiamo da dietro le quinte.
Il primo atto, quindi, ci mostra un teatro autentico, in cui Adriana e gli altri attori sono nel foyer alle prese di trucco e parrucco prima della rappresentazione, catapultando lo spettatore dietro le quinte della finzione teatrale.
Ma la pedana diventa anche luogo d’azione della vita di Adriana, in cui la recitazione teatrale ne è parte costitutiva.
Negli atti successivi il dramma teatrale assiste e agisce sulla realtà: nel terzo atto il “monologo del richiamo” dalla Fedra di Racine declamato da Adriana porterà la principessa di Bouillon a giurare di vendicarsi. È, infine, nell’ultimo atto l’identificazione totale con il teatro: nel delirio finale prima della morte, Adriana dirà «Melpomene son io!», musa della tragedia.

Una scena di "Adriana Lecouvreur" (foto: Teatro Massimo Bellini)
Il soggetto è tratto dal dramma Adrienne Lecouvreur di Eugène Scribe e Ernest Legouvé, e le vicende sono ispirate a una storia vera: sono figure storiche l’attrice Adriana, la concorrente alla Comédie-Française Mademoiselle Duclos (Marie-Anne de Châteauneuf), la principessa di Bouillon e Maurizio Ermanno, conte di Sassonia.
Messa in scena per la prima volta nel 1902, l’opera si inserisce nella sensibilità verista di fine Ottocento. Una rappresentazione che deve essere del «fatto nudo e schietto», stando alle parole di Verga, e in cui le passioni vissute dai personaggi hanno qualcosa di primitivo, incapaci di esprimere complesse gradazioni emotive.
La gelosia, in quanto sentimento spesso irrazionale e quindi animalesco, diventa adatta per rappresentare la cruda bestialità dell’essere umano. È, infatti, proprio la gelosia che dà azione all’Opera e che renderà la principessa di Bouillon un’assassina, colpevole della morte di Adriana.

Una scena di "Adriana Lecouvreur" (foto: Teatro Massimo Bellini)
L’opera di Francesco Cilea è andata in scena al Teatro Massimo Bellini dal 25 marzo al 2 aprile con un cast internazionale, diretta magistralmente da Fabrizio Maria Carminati, per la regia a firma di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi.
Nel cast Rebeka Lokar (nel ruolo di Adriana), Anastasia Boldyreva (Principessa di Bouillon), Marco Berti (Maurizio, Conte di Sassonia), Devid Cecconi (Michonnet), Gianfranco Montresor (Principe di Bouillon), Blagoj Nacoski (l'abate di Chazeuil), e Tonia Langella (Dangeville).
Le scene sono di Leila Fteita e i costumi di Nicoletta Ciccolini. Orchestra, coro e tecnici del Teatro Massimo Bellini.