Emilio Giardina: la figura e l’attività accademica

Il ricordo del prof. Giacomo Pignataro, allievo del maestro della finanza pubblica

Giacomo Pignataro

L’impegno che, come allievi, abbiamo preso subito dopo la scomparsa di Emilio Giardina non è solo ricordarne la figura e l’attività accademica, ma anche avviare una riflessione su ciò che è stato, su ciò che ha pensato e costruito, su ciò che ha rappresentato.

Il nostro intento, dunque, non è solo commemorativo. Vogliamo fare memoria, un gesto collettivo che coinvolge non solo noi allievi, ma una comunità più ampia, chiamata a interrogarsi su come l’opera di un uomo possa averci trasformato e possa ancora influenzare il nostro modo di guardare al futuro.

Sappiamo bene che si tratta di un percorso complesso, che non può certo concludersi oggi, ma che ci impegna anche per il tempo a venire.

Nel ricordare Emilio Giardina, non possiamo limitarci a ripercorrere in ordine cronologico la sua intensa attività scientifica e accademica: dobbiamo soprattutto cogliere l’originalità e la profondità del suo pensiero, il rigore metodologico con cui ha affrontato i problemi dell’economia pubblica, e la coerenza intellettuale con cui ha sempre cercato di tenere insieme l’analisi teorica, la sua applicazione ai problemi concreti di economia e finanza pubblica e la consapevolezza della responsabilità civile dell’intellettuale in generale e, ratione materiae, dell’economista in particolare.

Come ci ricorda Francesco Forte (che Emilio annoverava, insieme a James Buchanan e a Gaetano Zingali, tra i suoi maestri), nella introduzione al volume di raccolta di alcuni suoi scritti, che pubblicammo nel 2008 in occasione del suo pensionamento, Giardina si colloca nella tradizione della scuola italiana di finanza pubblica, componendo l’approccio “economico” di De Viti De Marco ed Einaudi con quello “politico” di Griziotti.

Il suo lavoro non si limita all’applicazione astratta della teoria dell’homo oeconomicus, ma mette in evidenza l’importanza delle idee e dei valori nei processi decisionali collettivi e nella spiegazione delle istituzioni sociali. È un approccio che unisce rigore analitico e attenzione ai contesti sociali e politici. Nella conclusione del suo saggio a commento delle lezioni di Alan Peacock sullo sviluppo storico della teoria della public choice, Emilio Giardina, infatti, scrive: “Gli interessi condizionano le azioni degli uomini, ma contano anche le idee. Lo spazio che esse possono avere nel determinare la condotta sociale non è affatto irrilevante. E [conclude Giardina] come ci rammenta Einaudi, è lo spazio che sta tra la prosperità e la rovina dei popoli”.

I contributi teorici di Emilio Giardina si sono senza dubbio arricchiti grazie all’influenza della teoria della public choice elaborata da James Buchanan, che Giardina aveva iniziato a esplorare già prima del suo soggiorno di studio all’Università della Virginia, cominciato nel novembre del 1963. Fu lo stesso Buchanan, futuro premio Nobel per l’Economia nel 1986, a invitarlo negli Stati Uniti, offrendogli una Postdoctoral Fellowship di quell’Università, dopo un primo incontro avvenuto a Torino nel 1962, durante una visita di Buchanan su invito di Francesco Forte.

Pur senza entrare nel merito dei numerosi e articolati contributi teorici di Emilio Giardina — compito che spetterà con maggiore autorevolezza ai colleghi che seguiranno — desidero soffermarmi su un tratto distintivo del suo lavoro: l’approccio insieme critico e rigoroso che emerge chiaramente sia nei suoi scritti, sia, ad esempio, nella corrispondenza che intrattenne con James Buchanan durante e dopo il soggiorno all’Università della Virginia. 

In particolare, mi riferisco allo scambio di idee attorno alle bozze di un suo lavoro sulle preferenze del contribuente tra imposta straordinaria e debito pubblico, nel quale Giardina discute anche una monografia che lo stesso Buchanan aveva pubblicato nel 1958 proprio sul tema del debito pubblico. È davvero notevole la franchezza con cui un giovane studioso come Emilio dialogava con un'autorità accademica già affermata a livello internazionale, anche se ancora non insignita del Nobel.

Ma, a ben vedere, per noi suoi allievi non è affatto sorprendente: Emilio ci ha insegnato sin dall’inizio della nostra attività academica ad esercitare il pensiero critico, senza timori reverenziali, nemmeno nei suoi confronti. Nei suoi contributi teorici, dunque, Giardina mette a frutto la sua visione critica dell’ipotesi di razionalità e, più in generale, su talune ipotesi semplificatrici della realtà tipiche di molti modelli teorici. Ad esempio, nel suo saggio del 1966 dedicato all’opera seminale di Buchanan e Tullock, The Calculus of Consent, Emilio Giardina propone una lettura critica della teoria delle scelte collettive, mettendo in discussione la regola dell’unanimità come ideale normativo per tali scelte.

Analizzando le ipotesi alla base del modello, Giardina ne evidenzia i limiti nel rappresentare la complessità della realtà. In particolare, riflettendo sull’uso di tale regola per l’approvazione di una costituzione, egli osserva che nessuna costituzione, nella storia, è mai stata adottata all’unanimità, e contesta l’assunto che giustifica tale regola con l’incertezza sugli interessi futuri degli individui.

Secondo Giardina, infatti, gli atteggiamenti verso l’incertezza variano: alcuni preferiscono rischiare l’essere in minoranza pur di partecipare a una coalizione vincente, altri prediligono l’uguaglianza e la stabilità. Da ciò conclude che la regola dell’unanimità non può essere considerata un principio oggettivo, ma va riconosciuta come un’opzione normativa tra le altre, priva di superiorità intrinseca rispetto ad altre regole di voto.

Un secondo esempio è rappresentato dal suo primo importante lavoro di ricerca, dedicato all’analisi economico-giuridica del principio di capacità contributiva, che rappresenta uno tra i contributi più significativi di Emilio Giardina alla scienza delle finanze. Pubblicato nel 1960, questo studio si concentra sulle fondamenta teoriche del principio, ma va ben oltre la speculazione astratta: Giardina si confronta direttamente con il rapporto tra teoria economica e pratica tributaria, mostrando come la riflessione teorica debba orientare, in modo rigoroso e oggettivo, le scelte normative. 

In particolare, in uno dei capitoli del volume, discute l’articolo 53 della Costituzione italiana, relativo proprio al principio della capacità contributiva, illustrando come la sua interpretazione, alla luce dell’economia pubblica, possa fornire criteri affidabili per la progettazione delle politiche fiscali e prevenire derive arbitrarie o ideologiche. Giardina, in particolare, insiste sul fatto che la giustificazione della progressività deve essere ancorata al principio di solidarietà sociale, ma non può violare i diritti fondamentali.

Egli individua tre regole fondamentali: il prelievo deve basarsi su una reale forza economica, deve rispettare il minimo vitale e non deve spingersi a una progressività eversiva dei diritti fondamentali. La rilevanza di questa riflessione è stata sottolineata anche da Francesco Forte, che ricorda come la Corte Costituzionale italiana abbia, nel tempo, assunto delle posizioni che coincidono, in larga misura, con le tesi elaborate da Giardina, oltre che da alcuni precedenti contributi dello stesso Forte.

Questo lavoro incarna appieno il metodo che ha sempre caratterizzato la sua attività scientifica: conciliare rigore teorico e rilevanza giuridica, in linea con la tradizione di pensiero di Griziotti ed Einaudi, che rifiutava ogni netta separazione tra economia e diritto, riconoscendo nella loro interazione il cuore della scienza delle finanze. Accanto alla riflessione teorica, in questo come del resto in altri ambiti, Emilio Giardina ha avuto anche un importante impegno istituzionale, che gli ha permesso di sperimentare concretamente le sue idee: dal 1974 al 2008 fu membro della XVI sezione della Commissione Tributaria Centrale; tra il 1980 e il 1992, componente del Consiglio Superiore delle Finanze; nel 2016 fu ammesso tra i soci onorari dell’Associazione Nazionale Tributaristi Italiani.

Un momento dell'intervento del prof. Giacomo Pignataro

Un momento dell'intervento del prof. Giacomo Pignataro nel corso dell'iniziativa...

Ho voluto richiamare alcuni tra i più significativi contributi scientifici di Emilio Giardina per mettere in luce la coerenza e la profondità del suo posizionamento intellettuale. Emilio apparteneva a una generazione di economisti che avvertiva con forza, nel definire il proprio lavoro di ricerca, la tensione tra la teoria pura e quella che Neville Keynes – padre del ben più noto John Maynard – chiamava economia concreta: un approccio volto ad applicare principi generali a dati specifici, con l’obiettivo di fornire risposte a problemi reali.

Anche John Maynard Keynes condivideva questa impostazione, immaginando l’analisi economica come articolata su più livelli: da un primo livello astratto e formalizzato, adatto a fenomeni semplici e ben misurabili, a un livello superiore, più ampio e complesso, in cui si trova il vero scopo dell’economia: comprendere e interpretare la vita economica contemporanea.

Per affrontare questo livello più profondo, secondo Keynes, non basta il rigore logico: servono anche intuizione, buon senso, sensibilità storica e una solida conoscenza del mondo reale. Strumenti che Emilio ha saputo impiegare con rara efficacia nei suoi lavori. Nel corso della sua carriera, Emilio ha spesso riflettuto – e ne abbiamo discusso più volte – sul crescente spostamento della ricerca economica verso una formalizzazione matematica sempre più esasperata, accompagnata da un’analisi empirica basata su modelli econometrici sempre più sofisticati.

Modelli potenti, certo, ma spesso incapaci di cogliere quei fenomeni che maturano lentamente, in tempi lunghi e non lineari. Se nel tempo l’approccio che ha caratterizzato la generazione di economisti cui è appartenuto Emilio Giardina – rigoroso ma aperto alla complessità del reale – ha perso spazio rispetto al dominio della formalizzazione, negli ultimi anni ha iniziato a ritrovare nuova attenzione.

Diversi studiosi di primo piano, tra cui Angus Deaton, premio Nobel per l’economia nel 2015, hanno cominciato a mettere in discussione quelli che l’economista Mary Morgan definisce “piccoli mondi”: rappresentazioni troppo semplificate della realtà economica, incapaci di coglierne la ricchezza e la varietà. Spesso, infatti, queste analisi si muovono interamente all’interno di modelli teorici già noti, limitandosi a piccoli aggiustamenti nelle ipotesi o nei test econometrici, perdendo così di vista il fine ultimo della scienza economica, quello indicato da Keynes.

Sono certo che Emilio – che, come ricordato, attribuiva grande importanza al ruolo delle idee e dei valori nei processi decisionali collettivi – avrebbe apprezzato le parole di Deaton, quando afferma che gli economisti hanno in gran parte smesso di interrogarsi sull’etica e su cosa costituisca il vero benessere umano, e che invece potrebbero trarre grande beneficio da un dialogo più profondo con le idee di filosofi, storici e sociologi, proprio come fece, a suo tempo, Adam Smith.

Emilio Giardina ha svolto il proprio lavoro di economista animato da un costante desiderio di comprendere la realtà non solo attraverso l’elaborazione teorica, ma anche mediante un’intensa attività di ricerca applicata, rivolta all’analisi di un’ampia varietà di problemi concreti. I risultati di questo impegno sono stati spesso di grande rilevanza per le politiche pubbliche, grazie anche alla sua collaborazione diretta con enti pubblici e al dialogo continuo con operatori di diversi settori.

A questo proposito possiamo ricordare che Emilio Giardina è stato componente del Comitato tecnico consultivo dell’Istituto regionale per il finanziamento alle industrie (IRFIS), del Consiglio generale dell’Istituto Nazionale per lo studio della Congiuntura (ISCO),  del Comitato per il Piano pluriennale delle isole minori della Sicilia, della Commissione ministeriale per il riordino dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno, del Comitato tecnico scientifico dell’Associazione di Formazione dell’ANCE, del Comitato tecnico scientifico per la Programmazione economica della Regione siciliana, del Comitato scientifico dell’Osservatorio sull’economia siciliana del Banco di Sicilia, del Consiglio Direttivo della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno.

In ciò si riflette chiaramente la sua volontà di fare della propria attività di studioso anche uno strumento di impegno civile. Tra i numerosi ambiti affrontati in questa dimensione della sua produzione scientifica, vorrei ricordarne in particolare due. Il primo riguarda il tema del cosiddetto federalismo fiscale e il ruolo della finanza regionale e locale in rapporto alle competenze dello Stato. Anche su questo terreno, Emilio ha esercitato uno sguardo critico nei confronti delle conclusioni più consolidate della teoria del federalismo fiscale, mettendo in discussione l’idea che si possano formulare risposte univoche sul grado ottimale di decentramento delle funzioni di governo.

A suo avviso, infatti, tale valutazione non può prescindere dalla considerazione di fattori politici e sociologici, che incidono significativamente anche sugli equilibri finanziari. In un saggio del 2007 dedicato all’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, Emilio richiama in proposito la lezione di Luigi Einaudi, che sottolineava l'importanza di tener conto delle differenze nelle capacità di governo tra il livello centrale e quello locale per giustificare l’allocazione delle funzioni.

Emilio, peraltro, ha più volte osservato come l’ipotesi di uniformità nell’offerta centralizzata dei servizi pubblici, cruciale per uno dei risultati teorici più noti a favore del decentramento – il cosiddetto teorema di Oates – risultasse insoddisfacente, soprattutto dal punto di vista empirico. Una riflessione critica, la sua, che trova un importante riscontro anche in un celebre articolo pubblicato da Besley e Coate sul Journal of Public Economics nel 2003, dove gli autori offrono una visione alternativa dei possibili svantaggi di una fornitura centralizzata di servizi pubblici, basata su motivazioni di political economy.

Ritornando al suo proficuo rapporto scientifico con James Buchanan, va peraltro ricordato che Emilio contribuì, seppur in forma indiretta attraverso osservazioni e confronti, alla maturazione di uno dei lavori più importanti del futuro premio Nobel: la teoria economica dei club, sviluppata nel 1965, e anch’esso pietra miliare nella teoria economica del decentramento.

A questo proposito, Buchanan, nell’introduzione alla raccolta di saggi di Giardina, scrisse:” Mi è capitato spesso di pensare che questo articolo avrebbe davvero dovuto essere pubblicato con diversi coautori, tra cui Emilio Giardina come il più importante”. In ogni caso, Emilio fu l’unico ad essere esplicitamente ringraziato da Buchanan nel testo del suo articolo. Sul tema del decentramento e del federalismo, Emilio non ha limitato il suo contributo al solo ambito accademico.

Attraverso una lunga e appassionata attività pubblicistica, in particolare nelle colonne del quotidiano La Sicilia, ha offerto al grande pubblico analisi chiare e documentate delle principali implicazioni dei tentativi di attuazione del federalismo in Italia: dalla riforma del Titolo V della Costituzione alle successive leggi di attuazione dei principi costituzionali. In questi interventi, Emilio ha anche voluto sottolineare come l’evoluzione del disegno istituzionale potesse e dovesse rappresentare un’opportunità concreta di sviluppo per il Mezzogiorno e, in particolare, per la Sicilia.

Il secondo ambito è quello delle risorse idriche e della loro gestione. In diversi scritti, Giardina ha approfondito il tema delle istituzioni coinvolte nella gestione dell’acqua e quello della regolamentazione del settore. Ciò che rende distintiva la sua attività in quest’area è l’attenzione all’interdisciplinarietà, concretizzata soprattutto nella collaborazione con i colleghi dell’ingegneria idraulica. A ciò si aggiunge l’impegno a promuovere strutture organizzative innovative, capaci di rendere la ricerca universitaria più accessibile e utile anche a soggetti pubblici che difficilmente avrebbero potuto beneficiarne attraverso i canali accademici tradizionali.

È in questo contesto che, grazie all’iniziativa e alla visione del compianto prof. Emanuele Guggino, la Cassa per il Mezzogiorno, su sollecitazione dello stesso Guggino e di altri studiosi, decise di istituire in ogni regione del Sud un Centro Studi di Economia applicata all’Ingegneria (CSEI), con l’obiettivo di accompagnare al meglio i grandi programmi di investimento infrastrutturale nel settore idrico.

Il prof. Emilio Giardina

Il prof. Emilio Giardina

In Sicilia, proprio per volontà di Guggino, il CSEI fu istituito nel 1975 non a Palermo, ma a Catania, con il coinvolgimento dell’Università locale, della Cassa del Mezzogiorno, della SVIMEZ, del Formez e della Fondazione Politecnica del Mediterraneo – quest’ultima oggi ribattezzata Fondazione Emanuele Guggino. Emilio Giardina fu, dapprima vicepresidente del CSEI Catania dal 1975 al 1984, e dal 1985 fino al 2020 Presidente, contribuendo in modo decisivo alla sua attività scientifica e progettuale.

Emilio, a testimonianza dell’intimo legame tra impegno accademico e impegno civile che lo ha caratterizzato, mise, più di recente, le sue competenze al servizio dell’amministrazione di questo settore, quando, nel 2013, su proposta dell’allora sindaco Enzo Bianco, accettò di assumere la presidenza della Sidra, la società che gestisce il servizio idrico della città di Catania.

L’impegno civile di Emilio Giardina non si è manifestato solo attraverso alcuni suoi scritti o nella sua attività di pubblicista, ma è stato parte integrante e profondamente radicata nella sua esperienza accademica. Nel corso di una lunga carriera universitaria, Emilio ha saputo coniugare con straordinaria coerenza la passione per la ricerca scientifica e la formazione delle nuove generazioni – due pilastri essenziali del mestiere di docente – con una costante partecipazione alla vita istituzionale, fin dai suoi primi passi nel mondo accademico.

Dal 1966 al 1972 fu membro del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo; tra il 1970 e il 1971 ricoprì la carica di Prorettore; dal 1972 al 1999 fu Preside della Facoltà di Economia; dal 2000 al 2005 Direttore del Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi. Fu inoltre Presidente del Collegio dei Presidi delle Facoltà di Economia per il biennio 1998-1999 e membro della Commissione ministeriale per la riforma degli ordinamenti universitari tra il 1998 e il 2000, contribuendo alla storica trasformazione del sistema universitario italiano con l’introduzione del modello “3+2”.

Tra il 2009 e il 2012 ricoprì il ruolo di Garante dell’Ateneo e, dal 2010, fece parte per un triennio del Comitato dei Garanti dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Catania. Non va dimenticato, inoltre, il suo impegno giovanile nel CUS Catania, dove, prima come studente poi come giovane assistente, fu Tesoriere, Presidente e Commissario straordinario. Giardina era profondamente consapevole che il valore della conoscenza e della formazione universitaria, nell’ambito dell’autonomia universitaria, non potesse restare confinato a un piano astratto, ma dovesse tradursi in un’organizzazione concreta, capace di incarnare e sostenere tali valori.

Per comprendere appieno cosa abbia significato per lui l’impegno nelle istituzioni universitarie, vale la pena riportare le sue stesse parole, pronunciate in occasione del suo pensionamento: “L’Università è stata una parte importante della mia vita. Potrei dire, se non fosse troppo enfatico, che è stata una seconda famiglia. Una seconda casa. La prima direbbe mia moglie, riferendosi agli orari inusitati dei miei rientri serali nell’abitazione. Essa è stata per me il luogo del libero espletarsi delle capacità della persona, del franco confronto delle idee, dell’appagamento della curiosità del nuovo che caratterizza ogni mente umana, in particolare quella dei ricercatori, dell’autogestione delle istituzioni di appartenenza, e soprattutto della stimolazione e della costruzione della coscienza civile e delle capacità critiche dei giovani, studenti e studiosi”.

Da queste parole emerge non solo l’intensità del legame di Emilio con l’Università, ma anche la profonda coerenza tra il suo approccio alla ricerca e la sua visione dell’istituzione: un autentico luogo di confronto, di apertura intellettuale e di promozione del pensiero critico. Emilio ha guidato la Facoltà con lo stesso sguardo ampio e attento che ha caratterizzato il suo lavoro di economista, consapevole della complessità dei fenomeni e dell’importanza di osservarli da molteplici prospettive.

Gli anni della sua presidenza sono stati animati da un progetto culturale moderno e articolato, che trova ancora oggi espressione — pur nella sua evoluzione — nell'attuale configurazione del Dipartimento di Economia e Impresa. Un progetto centrato sulla valorizzazione dell’interdisciplinarità, a cui Emilio attribuiva non solo un grande valore culturale, ma anche un decisivo vantaggio formativo per i futuri professionisti dell’economia.

In un contesto accademico sempre più segnato dalla specializzazione, la sua visione si è rivelata lungimirante, anticipando quel ripensamento oggi sempre più condiviso, che promuove l’integrazione e la contaminazione tra i saperi. È giusto ricordare, a testimonianza del suo attaccamento alla Facoltà di Economia, che Emilio — nonostante il profondo legame con l'alma mater giuridica, confermato anche dal fatto di aver mantenuto l'insegnamento di Scienza delle finanze a Giurisprudenza fino al suo pensionamento — scelse di rimanere stabilmente a Economia.

E questo non tanto, o non soltanto, per il fatto di essere stato nominato preside nel 1972, ma soprattutto per la convinzione che quella fosse la sede privilegiata per la ricerca economica e, permettetemi di aggiungere, per i legami umani e professionali che nacquero con tanti colleghi — alcuni dei quali sono oggi qui presenti. In quel contesto, Emilio sviluppò e coltivò un forte senso di appartenenza alla nostra comunità, un sentimento che ha mantenuto vivo fino alla fine della sua vita accademica e che si è impegnato a trasmettere, con forza e naturalezza, a tutti noi.

L’Università è stata, per Emilio Giardina, anche il luogo privilegiato per la crescita dei giovani ricercatori, alla cui formazione ha dedicato impegno e passione. Numerosi siamo gli allievi che oggi ci riconosciamo nella sua scuola. Consentitemi di ricordare soltanto quello tra noi che purtroppo non è più presente, Rino Battiato, di cui quest’anno ricorre il ventesimo anniversario della scomparsa e al quale, a nome di tutto il nostro gruppo, rivolgo un pensiero deferente e affettuoso.

Ma, nell’impegno per la crescita di giovani ricercatori, Emilio è andato oltre i confini locali: insieme ad altri illustri studiosi di Scienza delle finanze (tra i quali Gilberto Muraro), fu tra i promotori della fondazione della SIEP, di cui fu anche il primo Presidente (con Petretto e Brosio, quest’ultimo nominato anche vicepresidente, nel primo consiglio direttivo), con l’obiettivo di offrire ai giovani studiosi di economia pubblica uno spazio di confronto scientifico e umano. Nel rapporto con gli studenti, Emilio ha sempre dimostrato rispetto, disponibilità e attenzione alle loro difficoltà, anche in momenti complessi come l’occupazione della Facoltà nel 1968, durante la quale fu incaricato di gestire una situazione delicata con equilibrio e comprensione.

Emilio concluse la giornata a lui dedicata quando andò in pensione con queste parole: “Sono stato un buon preside, un buon professore? Non spetta a me dirlo. Ma mi sento di potere affermare che ce la ho messa tutta. Non mi sono risparmiato. Avrò pure fatto sbagli, come è nella natura umana. Avrò pure sottovalutato qualcuno, non sostenuto adeguatamente qualche altro giovane. Ma invoco la buona fede. Ho sempre cercato di capire le ragioni di chi ha avuto idee e posizioni diverse dalle mie. Ho sempre cercato di tutelare i diritti di ciascuno”.

Non spetta neanche a me, oggi, dare una risposta a quelle domande. Ma chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo, certamente può farlo. Io posso solo dire, con certezza, ciò che lui stesso affermava parlando dei suoi maestri: che Emilio ha saputo esercitare il suo ruolo di maestro come il faut, secondo i canoni della libera ricerca, senza vincoli di appartenenza ad una scuola di pensiero o obblighi di servo encomio. Vero maestro che ha fatto scuola come scuola di libertà intellettuale.

Emilio ha sempre difeso con coerenza la libertà delle preferenze e del tempo di ciascuno. Non ha mai chiesto a qualcuno di fare al posto suo ciò che era di sua competenza, né ha mai imposto una scelta, accademica o politica che fosse. Non diceva cosa bisognava fare, né avanzava richieste: si limitava a esprimere con chiarezza il proprio pensiero, ed era sempre disponibile al confronto, senza mai cercare di prevalere. Era il rispetto che orientava le scelte, la forza delle idee che persuadeva – mai l’autorità, mai la gerarchia.

A nome mio, e di tutti noi, suoi allievi, desidero dire solo una cosa, semplice e profonda: Grazie, Emilio. Resterai per sempre memoria viva di affetto, stima e profonda riconoscenza.

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