Fare I Pupi. Il maestro Mimmo Cuticchio all’opera

Un pomeriggio alla scoperta dell’arte dell’oprante e del puparo, attraverso i racconti e lo spettacolo del Maestro Mimmo Cuticchio e le emozionanti fotografie di Dilio Lambertini

Chiara Fichera (video di Giuliano Severini e Dario Grasso)

Il grande oprante Mimmo Cuticchio, apprezzato nel panorama culturale nazionale e internazionale per la sua opera dei pupi e l’arte del Cunto, ha dato nuova vitalità a questo genere teatrale, valorizzando la tradizione con nuovi linguaggi e forme, in costante dialogo con la contemporaneità.

L’artista, il 10 maggio scorso, è stato ospite del Dipartimento di Scienze Umanistiche per l’inaugurazione della mostra fotografica Fare i Pupi – Il Maestro Mimmo Cuticchio all’opera, immagini del fotografo Dilio Lambertini. 

La mostra fotografica, allestita dal 10 al 24 maggio lungo il corridoio dell’Orologio del Monastero dei Benedettini, è il frutto di un servizio fotografico che Dilio Lambertini ha realizzato riprendendo Cuticchio mentre, nel suo laboratorio a Palermo, costruiva dei pupi per uno spettacolo che si sarebbe intitolato O a Palermo o all’Inferno. Lambertini coglie e restituisce l’atmosfera calda e immaginifica del piccolo laboratorio del maestro, trasformando gli scatti fotografici in vere e proprie illustrazioni di un reportage sui generis.

Dopo i saluti del direttore del Disum Marina Paino, e l’introduzione della docente Simona Scattina, Cuticchio e Lambertini, nell'auditorium del Monastero dei Benedettini, hanno presentato il percorso visivo che racconta la costruzione dei pupi in circa 90 scatti. 

mimmo cuticchio

Il maestro Mimmo Cuticchio nell'auditorium del Monastero dei Benedettini

In prima battuta, così è intervenuto Lambertini: «Nonostante il laboratorio del maestro Mimmo sia di pochi metri quadri, è come entrare in un mondo incantato, qualcosa tra la grotta di Alì babà e il paese di Alice. Ho seguito con grandissimo piacere il lavoro del maestro mentre costruiva i pupi per il suo spettacolo. Mentre guardavo non dicevo una parola, tanto ero incantato. Volevo catturare in immagine un adulto impegnato in quello che sembra un gioco ma che in realtà è arte. Non ho potuto che scattare molte centinaia di foto». 

La riscoperta delle fotografie realizzate avviene durante il periodo del lockdown della pandemia, e la laurea honoris causa presso l’Università Roma Tre che Cuticchio ha ricevuto nel novembre dello scorso anno è diventata un’ulteriore sollecitazione per realizzare la mostra. 

Non si tratta di un reportage giornalistico, piuttosto, sottolinea Lambertini, «il mio obiettivo finale è creare emozioni e ogni aspetto del mio lavoro, dalla sistemazione del colore alla grafica, si orienta verso questa domanda: quali emozioni voglio suscitare?».

il maestro mimmo cuticchio

Il maestro Mimmo Cuticchio nell'auditorium del Monastero dei Benedettini

Il pomeriggio è continuato con le parole dedite e appassionate del maestro, che ha ricordato un altro momento di ripartenza durante un tragico periodo storico, quello della Seconda Guerra Mondiale: «Nel ’43 ci fu un bombardamento che sventrò la città di Palermo, era stata completamente distrutta. Mia mamma e mio papà non poterono far altro che emigrare. Mia mamma, che aveva solo 15 anni, propose di andare nei paesi e così fu. I paesi erano abitati da anziani, per lo più contadini e pastori».

Il teatro, in questo contesto, diventa un fondamentale luogo di aggregazione sociale dove trascorrere interi pomeriggi: «In questi paesini sperduti dell’entroterra l’unica attrazione erano i pupi, l’unico posto in cui i pochi giovani che rimanevano potevano incontrarsi e ritrovarsi era il teatro, dove si assisteva alla rappresentazione e nel frattempo si socializzava. Era l’unica cosa da fare per chi non andava a ubriacarsi o a giocare a carte. Gli spettacoli, all’epoca, duravano tre ore, la concezione del tempo era molto diversa», ha raccontato il Maestro.

Dopo l’intesa conversazione tra Lambertini e Cuticchio, l’inaugurazione della mostra è culminata con la messa in scena di un Cunto che il maestro ha realizzato nell’auditorium del Disum, in un incontro – quasi una lezione performativa – aperto alla comunità studentesca e al territorio.

Prima di andare in scena Mimmo Cuticchio ha risposto ad alcune domande che gli abbiamo rivolto per conoscere dalla sua diretta voce la sua attività di oprante, puparo e contastorie, tra tradizione e innovazione.

Rivedi l'incontro

Lei è figlio di un puparo. Come è avvenuto l’incontro con il mondo dell’opera dei pupi? 

«Mio papà era un oprante, non un vero e proprio puparo. Puparo è colui che costruisce i pupi; quello che recita, dirige ed è in possesso di un teatrino si chiama oprante, da teatro dell’opra

Durante la sua infanzia – lui è del 1917 – mio papà frequentò il teatro dei fratelli Greco che si trovava vicino a dove abitava, e come diceva mia nonna «‘sti pupi ci ficiru perddiri a testa a topatri», tant’è che decise di non fare nessun altro mestiere che non fosse quello di oprante.

Ha cominciato lui, portando le tecniche della famiglia Greco che appartenevano alla terza generazione di opranti, io ho continuato e con mio figlio siamo arrivati alla sesta generazione».

Le storie e le modalità di rappresentazione che lei utilizza fanno parte della tradizione o vanno anche verso la sperimentazione?

«Quando nel ’73 ho aperto il mio teatro dei pupi a Palermo – teatro che ho dedicato a Santa Rosalia – volevo portare avanti la tradizione perché, forse, pensavo che questa fosse qualcosa che bisognava difendere, mantenere e conservare. Durante tutti gli anni Settanta ho potuto notare come il pubblico tradizionale aveva ormai il televisore in casa e veniva sempre meno a teatro. Fu allora che cominciai a lavorare per le scuole di ogni ordine e grado. Cominciai a capire che bisognava che cambiassi anche le storie affinché i ragazzi tornassero nel nostro teatro, e così passai dai racconti delle Chanson de geste all’Iliade, all’Odissea, e a tantissimi spettacoli nuovi: ho scritto circa un’ottantina di copioni e costruito più di 700 pupi.

Avevo capito che per conservare tutto bisognava che tutto cambiasse, almeno nell’apparenza. In realtà poi, facendo spettacoli nuovi e costruendo pupi nuovi, ho risollevato le sorti dell’opera dei pupi, l’ho portata avanti per altri 50 anni. Proprio quest’anno a luglio il mio teatro dei pupi, l’ultimo che è nato a Palermo, compirà mezzo secolo».

il maestro mimmo cuticchio e il folto pubblico

Un momento della lezione performativa del maestro Mimmo Cuticchio

Rispetto a quando lei ha iniziato, com’è cambiato il rapporto con il pubblico durante la messa in scena dei suoi spettacoli?

«Il pubblico di mio padre io l’ho conosciuto finché sono rimasto con lui, cioè fino ai 23 anni; si trattava di un pubblico tradizionale. Negli anni successivi le cose si complicarono perché non veniva più nessuno e mio padre cominciò a lavorare per i turisti. 

Io non mi sono accontentato di lavorare per i turisti, così ho cominciato a sperimentare spettacoli nuovi e soprattutto ad uscire fuori dalla Sicilia e a portare i pupi nel mondo. Così ho potuto avere un pubblico sempre nuovo ed eterogeneo».

Quali strumenti utilizza per creare particolari effetti sonori durante le messe in scena? 

«Io possiedo tutte le macchine sceniche della tradizione. Ho la macchina del vento, quella per il rumore dei tuoni, le lamiere, vari tricchi-tracchi… Trombe, tromboni e trombette ne ho di tutti i tipi, dato che sono un appassionato di questi oggetti e della parte musicale delle storie.

Ovviamente per quanto riguarda gli spettacoli classici che portiamo nelle scuole usiamo ancora il piano a cilindro e tutta una serie di oggetti di scenotecnica che ho appreso da mio padre. Per quanto riguarda gli spettacoli nuovi che affrontano temi diversi – vanno dal madrigalista della fine del Cinquecento al Macbeth di Shakespeare – utilizzo anche i cantanti dal vivo, piccoli ensemble di musicisti. Ad esempio, tre giorni fa siamo tornati da Boston dove abbiamo presentato l’Histoire du Soldat di Stravinskij. Ormai, quindi, non c’è più limite: lavoro a scena aperta come si fa nei grandi teatri e utilizzo tecniche e saperi dove il tradizionale e il moderno si mescolano».

il maestro mimmo cuticchio

Il maestro Mimmo Cuticchio nell'auditorium del Monastero dei Benedettini

Cosa vuol dire essere un puparo e un oprante nel 2023? 

«Innanzitutto a puparo e oprante unirei anche la parola contastorie. Ho appreso quest’arte da Peppino Celano, ultimo contastorie di tradizione che raccontava storie di tipo cavalleresco senza pupi e soltanto con la voce e una spada di legno in mano. Io sono allievo anche di questo maestro, morto nel ’73. 

Ho cominciato a fare il Cunto nel modo classico, con tutte le sue cantilene e metriche, e da qui ho capito che ‘sapevo nuotare in questo mare’. Ciò che per anni avevo ascoltato dalla voce di Celano lo avevo incamerato, e poi l’ho ben elaborato nella pratica, giacché il teatro è una pratica.

Io mi sento un contastorie e dunque un narratore. Narratore è colui che può fare tutto, sia con i pupi che senza pupi, lavorando da solista o in gruppo. Quindi mi definisco più un contastorie, oprante, puparo».

Che Cunto metterà in scena oggi? C’è un motivo particolare per cui lo ha scelto?

«Non so bene che Cunto farò, ho un ‘sacco’ pieno di storie. Potrei scegliere tra un repertorio classico tratto dalle Chanson de geste: qualche anno fa ne ho pubblicate 180 nel libro Alle armi, cavalieri!; potrei anche scegliere di raccontare altre storie, ne conosco tante e inoltre lavoro ancora su improvvisazione. Conosco la storia però la racconto anche in base al pubblico che ho di fronte, a seconda che si tratti di un pubblico popolare, colto, di studenti, un pubblico gioioso pronto a ridere oppure uno più serio.

Diciamo che di tradizione ho la spada, e quella me la porto sempre appresso».