Intervento della docente Claudia Cantale nell’ambito del convegno “Nuove narrazioni e sfide della vita digitale”
Il nostro agire quotidiano è segnato in maniera pervasiva da pratiche comunicative che risentono degli ambienti mediali in cui operiamo e viviamo, e che queste pratiche contribuiscono a trasformare. Interrogare i fenomeni di mediatizzazione vuol dire, almeno da un certo punto di vista, analizzare, descrivere e spiegare modi, abitudini e credenze che sostanziano i comportamenti culturali, ma anche (forse soprattutto) gli ambienti mediali stessi.
Nell’ambito dei media studies si conviene ormai da più parti che gli ambienti mediali possano essere descritti come generatori di comportamenti, stili e abitudini (Kraemer 2020), e al contempo in quanto cassa di risonanza comportamentale (Kittler 1999): essi amplificano alcune dinamiche o tendenze comportamentali, ne rendono obsolete delle altre, e ciò a velocità fra loro che a volte risultano parecchio diverse fra loro, fino all’esplosione di configurazioni o momenti critici.
In un siffatto contesto, la centralità che ha assunto la dimensione digitale nella strutturazione del comportamento sociale pare un dato poco contestabile.
Anzi, ha probabilmente ragione Andreas Hepp (2017), quando afferma che i processi di deep mediatization hanno una capacità senza pari di modellamento delle nostre vite, nonché di orientamento strutturale in tutti gli ambiti della società.
In effetti, sia le nostre abitudini e le attività più routinarie, sia le attività più inconsuete e straordinarie sono caratterizzate dal fatto che le conduciamo attraverso i media, insieme ai media, a volte dentro i media.
In questo senso il ruolo giocato dai mezzi di informazione, sia dalla stampa, sia dalle piattaforme che hanno riorganizzato flussi di informazione e circolazione dei saperi è centrale: da una democratizzazione dell’accesso all’informazione all’inquinamento dell’infosfera tramite la proliferazioni di fake news, valorizzate ed elevate a forme di senso comune che innervano i regimi di credenza sostenendo battaglie ideologiche prima imprevedibili, o comunque ascrivibili a settori sociali minoritari e ininfluenti, tutti questi fenomeni fanno parte di un sistema di narrazioni che definiscono l’identità digitale fotografabile in questi anni, ma anche, e più profondamente, pongono delle sfide ai saperi umanistici, tanto in termini di descrizione e apparati analitici, tanto in termini di sfida interpretativa e discorso critico.
Per queste ragioni ci sembra necessario analizzare la diversità degli ambiti in cui le forme di deep mediatiazion sono diffuse.
Tuttavia, ci pare necessario osservare come questa permeabilità non si limiti a un’occupazione di regioni della vita sociale (sanità, educazione, consumo, finanza, relazioni ludiche), ma sia uno dei responsabili principali delle dinamiche di modellamento e orientamento che stanno riscrivendo i confini stessi dello stare insieme.
Nel corso delle giornate di studio del convegno Nuove Narrazioni e Sfide della vita digitale ci si è soffermati su fenomeni diversi e vari, ma soprattutto sul loro impatto sulle metamorfosi che il digitale sta generando o stabilizzando. Per non fare che qualche esempio, da un lato è stato il ruolo delle strategie d’interpretazioni attivate dai lettori di quotidiani online, o di contenuti digitali tout court, che innervano e irrobustiscono non solo le polarizzazioni ideologiche alla base degli scambi pragmatici in rete, ma irrobustiscono i valori sociali e culturali dei membri community ospitate dalle piattaforme.
La natura relazionale dell’oggetto digitale, dunque, apre un campo di possibilità che fa della “notizia”, il “polo emergente” di una molteplicità di strategie e tattiche di falsificazione o di fact-checking che aprono i confini della professione giornalistica e diventano strategie di diffusione e condivisione del sapere orientata, a volte, all’azione politica.
Lasciando dunque aperti i campi di applicazione e i temi su cui i partecipanti hanno presentato i lavori, ci interessa focalizzare e approfondire la natura relazionale dell’oggetto digitale, generatore di pattern discorsivi, totem fluttuante attorno a cui strutturare le polarizzazioni discorsive e delle posizioni, capace di dirigere tanto l’attenzione cognitiva quanto le credenze culturali.
Per questa ragione, l’analisi delle “narrazioni digitali” ci fornisce certamente una radiografia dell’ecosistema informativo nelle sue articolazioni (medialità, infodemia, emerging news, fake news, eco-chamber effects). L’ambizione della giornata di studi, tuttavia, è stata anche di discutere, partendo da questa radiografia ampia e plurale, dell’interazione fra design cognitivo di piattaforme, cambiamenti sociali e cambiamenti cognitivi degli utenti e, di conseguenza, metamorfosi socio-antropologiche possibile, senza cedere alle “narrazioni” su queste metamorfosi, che sono “oggetto collaterale” dell’inchiesta, e non conclusione ideologica, come purtroppo a volte risulta in alcuni studi sul tema.
Claudia Cantale - Ricercatrice di Sociologia dei processi culturali e comunicativi al Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania