Al Dipartimento di Scienze politiche e sociali è stato proiettato il docufilm sui giorni che precedettero gli attentati di Capaci e via D’Amelio
“C’è una differenza tra uomini e topi. I topi sono consapevoli della fogna in cui si trovano. I mafiosi sono uomini, ma uomini che sono consapevoli della fogna in cui si trovano... quindi sono topi”. Con queste parole di Aldo Sarullo, regista del maxi processo, si apre il docufilm Falcone e Borsellino - Il fuoco della memoria. Una riflessione profonda e commovente sulla lotta alla mafia, che fa parte del progetto Officina Unipa per la Legalità e il Contrasto alle Mafie, promosso dal Dems e dal Dipartimento di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Università di Palermo.
Nino Blando, autore del docufilm, sottolinea che “l’università non è solo un luogo di didattica e ricerca, ma anche un punto di riferimento per la terza missione”. “Un impegno culturale – continua - che va oltre i confini accademici e si riflette nel contesto sociale, contribuendo alla diffusione della legalità. La legalità, infatti, non è semplicemente un concetto legato alla giustizia o alla pulizia delle istituzioni, ma riguarda le vite di ciascun individuo, l’essenza di una società che si rinnova continuamente”. Come ha spiegato Blando, “l’Officina Unipa è il luogo si fa manutenzione della legalità poiché senza di essa non può esistere l'attualità”.
Una delle riflessioni più rilevanti del documentario riguarda il concetto di memoria. Blando fa una distinzione netta tra memoria e storia. “La memoria è qualcosa di personale, intima, che riguarda l’individuo e le sue esperienze, spesso filtrate dalla propria soggettività o dalla narrazione di genitori e nonni – spiega l’autore del docufilm -. Le memorie, quindi, sono plurali e diverse, e ognuna è influenzata da un punto di vista specifico. La memoria non è mai pubblica, ma è essenziale che esista, perché senza di essa non ci sarebbe alcun rapporto con il passato”.

In foto da sinistra i docenti Alessia Fecineroso e Nino Blando
“È fondamentale che non ci sia una memoria collettiva uniforme, perché le memorie individuali e diverse sono ciò che permettono la costruzione di una storia più ampia – aggiunge -. La storia, infatti, non è solo appannaggio dei “vincitori”, come spesso si crede, ma è fatta dai “vinti”, da coloro che conservano la memoria di ciò che è accaduto. E questa è la missione della cultura e della storia: dare voce a tutte le memorie, farne una sintesi. Questo è quello che i ragazzi hanno cercato di fare nel docufilm. Raccontare la storia attraverso le varie memorie dei testimoni”.
Il titolo Il fuoco della memoria si allontana intenzionalmente dal “culto delle ceneri”, rappresentando la memoria come un qualcosa in continua trasformazione. Chi non ha vissuto gli eventi è portato a porsi delle domande sul passato, mentre chi li ha vissuti non sempre si è interrogato. È proprio questo il motivo per cui raccontare la storia è fondamentale: per far sì che le generazioni future si pongano quelle domande e agiscano diversamente.
Il docufilm si articola su più livelli di memoria. Il primo è quello degli studenti, che hanno ascoltato il racconto; il secondo livello è costituito dai testimoni diretti degli eventi. E un ulteriore livello è rappresentato dalla presenza di Falcone e Borsellino che parlano in prima persona attraverso clip di varie trasmissioni.
Spazio ai familiari delle vittime come Fiammetta Borsellino o a chi lavorava gomito a gomito con i due giudici: Piero Grasso, già Procuratore nazionale antimafia, e Giuseppe Di Lello, collega dei due magistrati e come loro nel “pool antimafia” palermitano. E ancora Carmelo Canale, braccio destro di Paolo Borsellino.
Nel docufilm anche i docenti dell’Università di Palermo, Paola Maggio e Antonino Blando, che illuminano la figura del terzo magistrato vittima delle infami bombe, Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone.
Proprio per dare questa idea di dialogo è stato scelto di legare questi momenti tramite il viaggio di una macchina. Come se fosse un vero viaggio della memoria. Inoltre è stata inclusa la voce di chi ha permesso a noi di cristallizzare quelle immagini nella mostra memoria, ovvero i giornalisti che hanno fornito gran parte delle fonti come il regista Aldo Sarullo, il video-reporter Vincenzo Traina e il fotoreporter Franco Lannino.

Un momento dell'incontro
I giornalisti, infatti, sono stati i primi a saperne la notizia, i primi ad arrivare. Il filo conduttore del docufilm è la domanda che ricorre: “Tu dov'eri quando hai visto quelle immagini?”. Una domanda a cui ognuno sapeva rispondere con certezza. E per la prima volta sugli schermi anche la borsa, in parte bruciata dall’onda di calore dell’esplosione, che era di Paolo Borsellino. Un aspetto significativo del documentario è che per tutta la sua durata non appaiono mai mafiosi. Questa scelta si discosta dalla narrazione sensazionalistica che spesso ha esaltato il fascino del male e dei protagonisti della mafia.
La Sicilia, però rifiuta questa narrazione. È curioso, infatti, come la proiezione del docufilm sia coincisa con l’uscita del film Iddu, sulla vita di Matteo Messina Denaro. Proprio a Castelvetrano, il luogo in cui si sono consumate quelle vicende, il gestore del cinema ha deciso di proiettare Il fuoco della memoria al posto di "Iddu", scegliendo di opporsi a una narrazione che celebra la figura del boss mafioso. Scegliendo di opporsi alla narrazione del male.
Il fuoco della memoria è il grido di una Sicilia che vuole cambiare, un grido di resistenza, di chi ha scelto di combattere la mafia e la corruzione. Un richiamo a non dimenticare, a non lasciarsi sopraffare dall'indifferenza o dal fascino distorto del male. È un atto di coraggio, una dichiarazione di guerra contro la mafia e tutto ciò che essa rappresenta. In un mondo che troppo spesso tende a dimenticare.
Il docufilm, quindi, ci esorta a tenere viva la fiamma della giustizia, della verità e della legalità. Come Falcone e Borsellino, che hanno scelto di lottare fino all'ultimo respiro, anche oggi abbiamo una scelta da fare: essere complici del silenzio o rispondere con un deciso “noi c’eravamo” a chi chiede dove eravamo quando la mafia ha provato a piegarci.
La memoria non è solo un ricordo del passato, ma un impegno per il presente e per il futuro. E, come dimostra questo straordinario documentario, il cambiamento inizia quando decidiamo di non voltare mai più lo sguardo.