Il musical come "summa" della performatività e chiave d’accesso ai giovani

Alessandro Incognito - attore, cantante, regista e direttore artistico di Poetica Produzioni - si racconta e commenta la ‘sua’ realtà teatrale catanese contemporanea

Marielena Greco

Una grande porzione del pubblico teatrale è rappresentata dai giovani e dalle scuole. È un pubblico spesso invisibile e meno consapevole nella scelta rispetto al corrispettivo serale, perché sono gli stessi istituti scolastici a scegliere per gli studenti il repertorio degli spettacoli mattutini da seguire.

Ma se invece rappresentassero la chiave di volta per la scoperta del teatro prima dell’età adulta? Se si orientassero le scelte produttive proprio su di loro?

Di interrogativi e obiettivi del genere abbiamo discusso con Alessandro Incognito, attore, cantante, regista e direttore artistico di Poetica Produzioni.

Il cast de I Promessi sposi con il regista Alessandro Incognito

Il cast de I Promessi sposi con il regista Alessandro Incognito

Come e quando nasce Poetica Produzioni? E come mai questo nome?

«Poetica nasce nove anni fa, nel 2015, in concomitanza con la nostra presa in gestione del Teatro Ambasciatori – spiega Alessandro Incognito -. Inizialmente, nata come società di gestione del Teatro, presto si è però evoluta ben oltre. Il nome originale era Poetica Eventi, il cambio con Produzioni – e la scelta del nuovo marchio –, deriva dalla volontà di porre enfasi sulla produzione teatrale e non su eventi in generale. Poetica, invece, deriva da un ossequio alla Poetica di Aristotele, la quale tratta del teatro, della tragedia e anche della commedia nel famoso volume di incerta stesura. Inoltre, è un nome abbastanza evocativo e che trovo anche rispondente al nostro modo di lavorare e di essere; cosicché tutto è combaciato alla perfezione».

Qual è l’obiettivo che muove le vostre azioni e le vostre scelte, sia da un punto di vista produttivo che narrativo?

«Sembrerà una cosa scontata. L’obiettivo è dare emozioni alle persone – racconta Alessandro Incognito -. Questo è quello che noi vogliamo fare e su cui cerchiamo sempre di lavorare. Come se fosse la luce di un faro che ci guida, quando facciamo le regie, quando scriviamo le musiche, quando lavoriamo con gli artisti, cerchiamo di non perderla mai. Tentiamo sempre di metterci nei panni dello spettatore, in modo tale da donargli un mondo all'interno del quale potersi immergere totalmente e – di conseguenza – dal quale lasciarsi emozionare. Per tutta la compagnia è chiaro che ciò che facciamo non avrebbe nessun senso se l’obiettivo non fosse questo».

«Il teatro non è un mondo a cui è possibile approcciarsi per il proprio soddisfacimento personale o economico; diversamente, io credo che questa sia una missione, ed è proprio questo che rende estremamente serio il nostro lavoro – aggiunge -. È una cosa di cui le persone hanno bisogno e dobbiamo cercare di dar loro qualcosa che sia di più della nostra vita quotidiana. Io questo lo sottolineo sempre quando ci prepariamo: noi siamo qua perché le persone che vengono a vederci devono vedere più di quello che sono loro. Questo ovviamente non vuol dire che noi siamo gente superiore, – fuori dal palco siamo tutti uguali, ognuno con le sue bellezze, ognuno con le sue meschinità – bensì che sul palco dobbiamo sembrare altro. E per riuscirci dobbiamo dare tutto di noi».

«Potrebbe sembrare una teoria campata per aria, ma non lo è; le persone si devono sedere, non si devono più alzare e alla fine, quando andranno via, è lì che deve rimanere qualcosa – ha aggiunto -. Poi potremmo riuscirci o magari no; di questo non si è mai certi. Però il nostro obiettivo è sicuramente questo; dare emozioni alle persone è assolutamente fondamentale».

Un momento dello spettacolo Dracula

Un momento dello spettacolo Dracula

Tu nasci come cantante e attore. Quando è nato in te il desiderio di fare altro, di spostarti da questo ruolo a quello del regista?

«La mia passione principale è il palcoscenico e se un giorno dovessi rendermi conto che il lavoro fuori da esso mi prende a tal punto da non poter più stare sul palco, non so se continuerò a farlo – risponde il regista -. Il mio posto è quello. Ne I Promessi Sposi ero l’attore protagonista, ma quest’anno – soprattutto per una questione organizzativa – mi sono fatto da parte. Ovviamente l’ho fatto con grande dolore, tuttavia, amo talmente questo mondo da essermi reso conto della necessità che qualcuno ricopra questo ruolo. Tra l’altro, credo che questo sia anche un esempio importante, affinché non ci siano primati all’interno della nostra realtà. Se io dirigo, ma sono il primo che fa un passo indietro per fare in modo che la macchina rimanga in moto, lo stesso mi aspetto da tutti gli altri e al momento funziona; c’è un clima straordinario all’interno della compagnia. Ma sono in attesa, spero presto di ritornare anche sul palcoscenico».

Continuiamo a parlare di te. Che formazione hai seguito all’inizio della tua carriera?

«Ho sempre studiato canto privatamente con un insegnante che ritengo geniale, Armando Nilletti – spiega il direttore artistico di Poetica Produzioni -. In seguito, ho seguito dei corsi in una scuola di musical a Bologna e poi ho frequentato una scuola di teatro a Catania, il Teatro degli Specchi, diretta a suo tempo da Marco Tringali. Per non parlare di stage, corsi e workshop vari. Anche in questo caso ho poi le mie idee, le accademie possono insegnarti varie cose, ma l’energia, la presenza scenica, la forza non te la può insegnare nessuno. Per questo motivo, quando facciamo i provini i curriculum contano fino a un certo punto, l’attenzione è posta su quello che una persona riesce a dare in quel momento. Magari non ha mai fatto niente, ma risulta ugualmente geniale».

«Tornando a noi, questo è quello che ho studiato, poi però c’è tanta esperienza sul campo – aggiunge -. Sono sul palco da quando avevo nove anni e penso che questa sia veramente una delle cose che mi ha formato di più. Perché poi, secondo me, quello di cui bisogna andare alla ricerca quando si fa questo lavoro sono maestri, cioè delle persone a cui poter rubare il più possibile. Io sono stato fortunato, ne ho incontrati tanti e ne ho ancora accanto diversi come il maestro Franco Lazzaro, che lavora a fianco a me da anni e che, oltre ad essere un fraterno amico, è uno straordinario professionista».

Un momento dello spettacolo Dracula

Un momento dello spettacolo Dracula

Abbiamo assistito a due date (Dracula e Promessi Sposi) in cui il pubblico era formato da giovani studenti. Perché proprio questo pubblico? Di solito avete anche altri target d’età?

«Abbiamo realizzato vari spettacoli serali, però nel pubblico delle scuole ci credo tantissimo e investo altrettanto su di esso – risponde l’attore -. Spesso gli spettacoli per le scuole vengono considerati in modo inferiore, ma non c’è niente di più sbagliato. Innanzitutto, i giovani rappresentano una sorta di investimento imprenditoriale – se così si può definire – per il teatro, scommettendo su di un pubblico che speriamo possa seguirci per gli anni a venire. Ma i giovani rappresentano anche una missione. Purtroppo, infatti, i giovani sono molto disaffezionati al teatro; quindi, il tentativo è quello di realizzare dei prodotti che possano essere fruiti da chiunque, ma con l’obiettivo primario di colpire i ragazzi».

«Il novantanove per cento di quelli che vengono da noi, dopo aver assistito a uno spettacolo dicono “non me l’aspettavo” – aggiunge -. Loro sono il pubblico futuro, il pubblico che tornerà, magari non tutti ovviamente ma la maggior parte di loro capirà che il teatro non è quello che pensavano che fosse, che è qualcosa che li può coinvolgere ed emozionare. È questa la soddisfazione più grande in assoluto, che possano comprendere che si può entrare in contatto con una forma di approvvigionamento emotivo non solo con la musica o il cinema».

Un momento dello spettacolo I Promessi sposi

Un momento dello spettacolo I Promessi sposi

Mi parli della produzione de I Promessi Sposi e di Dracula?

«I Promessi Sposi è un progetto ormai ‘vecchio’, perché ha debuttato nel 2017, ma è anche il progetto più ingenuo, perché rappresenta la prima volta in cui mi sono cimentato nella regia – risponde il regista -. E sono contento di averlo fatto con un’opera letteraria che amo visceralmente, sia perché è incredibilmente bella, ma anche perché ogni volta che la rileggo mi lascia qualcosa di nuovo. Per questo trovo sia un peccato il modo in cui si studia a scuola, che rimane legato alle interrogazioni, alla storia della lingua italiana, ma non dobbiamo mai dimenticarci delle emozioni che Manzoni ci dona scrivendolo».

«Del resto, lui era un artista, quindi credo che il suo intento fosse quello di creare una storia che emozionasse i lettori – aggiunge -. Credo che sia proprio per questo che, in base ai feedback ricevuti, tantissimi ragazzi dopo aver visto lo spettacolo in scena hanno rivalutato anche l’opera. Quindi, lo spettacolo nasce dalla mia passione per l’opera letteraria, che mi ha permesso di realizzarne l’adattamento e la costruzione di questo mio primo spettacolo si è rivelata più bella di quello che mi aspettassi. Sono nate tantissime collaborazioni ed è meraviglioso vedere come possano lavorare bene circa trentaquattro persone sul palco e altrettante fuori da esso. Sono felicissimo del fatto che abbiamo potuto replicarla tantissime volte e che solo a Catania è stata vista da circa cinquantamila persone; un numero importante considerando che la gente a teatro ci va poco».

«Dracula, invece, è un progetto diverso – continua -. Nasce perché facciamo da diversi anni spettacoli in inglese per le scuole. Anche in questo caso il teatro in lingua non ha per noi un mero fine didattico, ma cerchiamo di rendere lo spettacolo una vera e propria esperienza emotiva, non legata al perfezionamento della lingua. Quindi, Dracula ha questo importante intento alla base, far dimenticare ai ragazzi che stanno guardando uno spettacolo in un’altra lingua e di coinvolgere tutti i loro sensi. Concretamente gli saliamo addosso, gli passiamo in mezzo, è difficile non essere coinvolti in questo genere di prodotti. Ed è importante, perché l’esperienza teatrale non deve per forza centrare con i programmi didattici, ma è prima di tutto Teatro. I Promessi Sposi ha il vantaggio di essere entrambe le cose, Dracula no. In entrambi i casi, tuttavia, si cerca di indugiare l’aspetto umano dei personaggi, le loro tragedie e le loro gioie».

«Sono entrambi lavori di cui siamo abbastanza contenti, non soddisfatti perché credo che ci sia sempre la ricerca di un punto più alto e mai la sensazione di sentirci arrivati. Ciò che conta è metterci tutto l’amore possibile, tutte le nostre capacità e i nostri doni, poi quello che riusciremo a fare si vedrà con il tempo», aggiunge.

Un momento dello spettacolo I Promessi sposi

Un momento dello spettacolo I Promessi sposi

Quali sono i vostri obiettivi e progetti per il futuro?

«Ce ne sono tanti – ci tiene a precisare il direttore artistico -. Senza svelare troppo posso dire che stiamo lavorando per provare a realizzare qualcosa che ci identifichi; non in modo univoco e definitivo, ma di certo in modo incisivo. Qualcosa che dia il senso di ciò che siamo e di quello che vogliamo realizzare. L’augurio è che questi progetti si concretizzino come noi li desideriamo e che ci portino a realizzare gli obiettivi che ci siamo imposti; sempre – spero – con la nostra coerenza».

Dopo aver assistito a due spettacoli di Poetica Produzioni (I Promessi Sposi. Amore e Provvidenza e Dracula. A new vampiric musical) questa conversazione trova molti punti di contatto con le riflessioni che l’entusiasmo e la risposta del pubblico composto da studenti ha suscitato in noi. E forse, il mondo del musical, in cui movimento, canto e recitazione si sposano creando un’organicità perfetta (prodotta in maniera simile solo dal repertorio operistico), è proprio quello più adatto a coinvolgere tutti i sensi di un pubblico giovane e dinamico, una tipologia di pubblico sempre più difficile da conquistare e da ammaliare, che ha bisogno di essere trascinata all’interno dello spettacolo, come la storia del teatro del Novecento ci ha insegnato ad apprezzare.