Il ruolo della Chiesa per combattere la Mafia

«Oggi è importante la nostra azione educativa verso la comunità cristiana, promossa soprattutto nelle periferie», ha detto l’arcivescovo Luigi Renna in apertura dei seminari interdisciplinari d’ateneo in memoria di Giambattista Scidà 

Allegra Francesca Hardt

Sono stati più di quattrocento gli studenti e i cittadini che hanno partecipato, in presenza e da remoto, al seminario Le chiese di fronte alla mafia, organizzato, nell’ambito del ciclo di incontri Dall’analisi del fenomeno mafioso alla cittadinanza attiva, dall’ateneo catanese in collaborazione con numerose associazioni e con l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università Statale di Milano.

Ad introdurre i lavori è stata Rossana Barcellona, docente di storia del cristianesimo e delle chiese, prima di lasciare la parola a Francesca Longo, prorettrice dell’Università di Catania che, dopo aver ringraziato il prof, Antonio Pioletti, “creatore” undici anni fa del ciclo di seminari, ha evidenziato come questi incontri rappresentino «un momento di rilevanza morale e sociale di altissimo impegno».

«Un momento di confronto importante che permette di riproporre, annualmente, un tema di fondamentale importanza», ha aggiunto.

«Questi incontri - ha spiegato la prof.ssa Marina Paino, direttrice del Dipartimento di Scienze umanistiche, - danno spessore civile a ciò che facciamo come università e come dipartimento. È, infatti, solo attraverso un’opera di diffusione della cultura in una terra travagliata come la nostra, che si può tentare un riscatto nei confronti di questi fenomeni».

A seguire il prof. Roberto Cellini, direttore del Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania e moderatore dell’incontro, ha messo in evidenza l’importanza di questi incontri che permettono di «contrastare la mentalità mafiosa in maniera non retorica, ma attiva, dando la possibilità ai presenti di confrontarsi sul tema per cercare di far maturare coscienza e consapevolezza ai nostri studenti».

«L’Università non serve solo ad acquisire conoscenze disciplinari ma deve contribuire, con tutte le attività che prevede, alla maturazione degli studenti in quanto persone», ha ricordato.

Per il docente, il fatto che la mafia continui a riscuotere grande successo è probabilmente dovuto «ad una scarsa cultura economica, necessaria per una corretta analisi di costi e benefici in un contesto sociale e culturale molto ampio».

Un momento dell'incontro

Un momento dell'incontro

Per concludere il proprio intervento, il prof. Cellini ha posto ai conferenzieri alcune domande, per cercare di capire in che modo la chiesa debba reagire per combattere e contrastare i comportamenti mafiosi affinché non si ripresentino, come si possa fa capire ai mafiosi che i loro comportamenti non sono aderenti allo spirito religioso e infine ha chiesto quando l’impegno sociale messo in campo dalla chiesa possa essere messa in pericolo dalla sempre minore partecipazione alla vita religiosa del fedele. 

Il primo intervento è stato quello di mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, che si è approcciato al tema della serata citando due testi di Leonardo Sciascia: Il giorno della civetta e Todo modo, che bene si prestano per far comprendere l’atteggiamento del mafioso nei confronti della chiesa.

Leggendo alcuni passi dei due libri, l’arcivescovo ha puntato l’attenzione su alcuni aspetti centrali che caratterizzano il mafioso: per lui non è importante l’etica della religione, bensì la sua estetica, la solidarietà è solo assistenzialismo, il vangelo non è altro che un insieme di belle parole e si approfitta delle situazioni che si presentano per addentrarsi nel mondo della politica, «ma purtroppo, per molto tempo - ha aggiunto mons. Renna - la chiesa non si è accorta di questi problemi».

Ha poi ricordato la figura di Roberto Cipriani, che negli anni ’90 poneva l’attenzione sulla funzione protettrice della Mafia, a cui si ricorrere in caso di necessità per ottenere dei benefici, e quella di Don Luigi Sturzo che aveva presentato un quadro spaventoso della situazione, soprattutto meridionale, in cui il clero era succube delle grandi famiglie mafiose.

«Il cambio di passo - ha aggiunto - si è avuto quando i vescovi hanno iniziato a collaborare, e in special modo con la prima lettera pastorale collettiva dei vescovi dell’Italia meridionale del 25 gennaio 1948: per la prima volta si parlava di una religione invischiata in situazioni in cui lo stesso vizio si pone sotto le ali della religione e del clero». 

Un momento dell'intervento di mons. Luigi Renna

Un momento dell'intervento di mons. Luigi Renna

Ha citato poi le lettere collettive dei vescovi italiani del 1989 e del 2010, al cui centro era posta l’importanza della solidarietà, fino ad arrivare al 2014 quando Papa Francesco scomunica i mafiosi, facendo capire ancora di più che la chiesa ha recepito la pericolosità di questa istituzione da cui vuole tenersi a distanza.

«Oggi - ha tenuto a precisare - siamo all’azione, una azione educativa della chiesa verso la comunità cristiana, promossa soprattutto nelle periferie, dando valore all’aspetto educativo, all’aiuto ai migranti, alle donne avviate alla prostituzione, ai lavoratori in nero e alle vittime del caporalato».

L’intervento successivo del prof. Augusto Cavadi, docente di Storia della Filosofia e presidente della Casa dell’Equità e della Bellezza di Palermo, ha messo in evidenza come il problema principalmente non sia quello delle minoranze a favore o contro la mafia, ma la maggioranza dei siciliani che si pone su un’illusoria equidistanza dal fenomeno, «ed è proprio in questa zona grigia che si decide il futuro della Sicilia, in questo comportamento distante di tutti coloro che pensano che la cosa non li riguarda».

«L’arma più potente che abbiamo a disposizione è quindi quella dell’intelligenza, dobbiamo sfruttare le nostre competenze e professionalità per provare a tradurre un argomento così complesso, quello mafioso, in parole semplici, per renderlo comprensibile ai più - ha aggiunto -. La mafia è un soggetto sociale, politico, economico e pedagogico e per contrastarlo dobbiamo usare anche la matita del seggio elettorale».

Riprendendo gli insegnamenti di don Pino Ruggieri, ha ricordato che solo una chiesa povera può essere una chiesa libera, perché «finché si continuerà ad accettare denaro sporco non si avrà la libertà di denunciare» e, per combattere le capacità pedagogiche della mafia, «bisogna provare a stappare dalle sue grinfie almeno una generazione, come diceva don Cosimo Scordato, per non permettergli di far crescere i giovani seguendo i suoi principi sbagliati».

Il tavolo dei relatori

Il tavolo dei relatori

Quindi, conclude Cavadi «ciò che più di tutto bisogna provare a fare è rendere la chiesa un ambiente scomodo ai mafiosi, in modo che non sia necessario scomunicarli ma che siano loro stessi a non volerne più fare parte». 

Francesco Sciotto, pastore della Chiesa Valdese di Messina, ha ricordato che «fino a quando le chiese restano chiuse tra le loro mura, non si rendono conto di cosa c’è fuori, ed è per questo che devono diventare permeabili alla società, stando però attente a non diventare permeabili anche alla mafia, soprattutto a causa della grande quantità di soldi pubblici che si trovano a gestire».

«Dovremmo tornare all’etica, quella biblica - ha esortato Sciotto - bisognerebbe tornare ad aiutare l’orfano, la vedova, gli esclusi della società, in modo da prendere le distanze da ciò che cerca di fare la mafia: escludere gli ultimi».

A concludere gli interventi è stato Antonio Fisichella del Comitato contro la dispersione scolastica, che ha mostrato all’auditorio alcuni titoli di giornale che riguardavano lo sport come antidoto alle devianze giovanili, le corse abusive di cavalli nel quartiere di San Cristoforo, e infine la partecipazione attiva di Monsignor Renna nella lotta contro la povertà educativa. 

«Si tratta - ha spiegato - di fatti quotidiani che sono irrimediabilmente legati tra loro: mafia, criminalità, dispersione scolastica e devianza giovanile crescono l’una con l’altra. Si tratta di fenomeni da combattere, soprattutto nella nostra città».

Fisichella ha poi ricordato la figura di Giambattista Scidà che, già 40 anni fa, era stato isolato per le sue idee in fatto di mafia, e ha ricordato che oggi bisogna insistere sui temi legati alla formazione scolastica, «integrando e concentrando gli investimenti pubblici in modo da creare nuove comunità educanti per strappare almeno una generazione di giovani alla mafia», ha concluso riprendendo le parole di Augusto Cavadi.

Il pomeriggio, dunque, si è concluso consegnando al pubblico tanti spunti di riflessione che saranno arricchiti dai prossimi incontri sul tema.