Il sogno di una cosa

Elio Germano, con l’accompagnamento musicale di Teho Teardo, ha messo in scena al Palazzo della Cultura uno spettacolo tratto dal romanzo di esordio di Pier Paolo Pasolini

Ludovica Rinciani (foto Roberto Viglianisi/Catania Summer Fest)
Il pubblico presente al Palazzo della Cultura
Elio Germano in un momento dello spettacolo
Elio Germano e Teho Teardo in un momento dello spettacolo
Elio Germano e Teho Teardo ringraziano il pubblico alla fine dello spettacolo

Davanti ad una platea gremita, Elio Germano – uno degli attori più versatili e impegnati del cinema italiano contemporaneo – mette da parte il ruolo di interprete e, con la sua sola voce , guida il pubblico in un viaggio a ritroso nel tempo, fino a giungere nella drammatica realtà rurale del Friuli-Venezia Giulia.

Lo spettacolo Il sogno di una cosa, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di esordio di Pier Paolo Pasolini pubblicato nel 1962, è stato messo in scena dall’attore e regista teatrale romano venerdì scorso all’interno della cornice del cortile di Palazzo della Cultura di Catania. 

Ad organizzarlo Zō Centro Culture Contemporanee nell’ambito del fitto cartellone di appuntamenti di Catania Summer Fest.

L’anno è il 1948, la Seconda Guerra Mondiale è un ricordo ancora vivo nella mente di un popolo che vive di stenti e non possiede gli strumenti per elevarsi dalle macerie del conflitto appena concluso. 

Su un essenziale palco dove nulla, ad eccezione dei giochi di luce intermittenti e l’ipnotico accompagnamento musicale di Teho Teardo, può distogliere l’attenzione degli spettatori, Germano introduce i tre giovani protagonisti: Milio, Nini ed Eligio, figli di braccianti, accomunati da una travolgente voglia di riscatto e una cieca ammirazione verso gli ideali del comunismo che convincerà due dei tre ragazzi ad abbandonare la loro terra per emigrare in Jugoslavia. 

È in questo paese altrettanto povero e ingiusto che Nini ed Eligio credono di trovare quella giustizia sociale della quale credono siano manchevoli Ligugnana, Rosa e San Giovanni, i loro paesi. 

Elio Germano e Teho Teardo in un momento dello spettacolo

Elio Germano e Teho Teardo in un momento dello spettacolo

Questo sogno di gioventù verrà infranto dalla loro cattura e il loro successivo imprigionamento da parte della polizia del regime di Tito, che, condannandoli ad un digiuno forzato, li condurrà negli abissi di una disperazione mai conosciuta prima di allora. 

Una volta riusciti, miracolosamente, a scappare dalla Jugoslavia, il trio di amici si ricompone e mette a servizio della propria comunità gli ultimi scampoli della loro vitalità fanciullesca, lottando strenuamente fianco a fianco dei contadini. La morte di Eligio, causata da una malattia a lungo trascurata e provocata dal suo logorante lavoro nelle cave, segnerà l’ineludibile passaggio alla vita adulta.

La cruda realtà di Milio, Nini ed Eligio si compone di un unico atto, intervallato dagli interventi musicali di Teardo e il rintocco di alcune campane tubolari che segnano il passaggio da un episodio all’altro del romanzo. Quella narrata da Elio Germano è una vicenda buia, sconfortante, che rifiuta di confermare la credenza di quel pubblico che non si sente toccato dalla vicenda, considerata l’ampia distanza temporale che intercorre tra il dopoguerra e il nuovo millennio. 

È davvero possibile credere che realtà disagiate come quella di Milio, Nini ed Eligio siano soltanto spettri del passato? L’Italia di oggi è davvero una nazione in cui a tutti, dal più povero al più ricco, è garantita la possibilità di una vita dignitosa e soddisfacente? E ancora: quanti lavoratori sono ancora vittime del lavoro come Eligio?

Queste sono alcune delle toccanti domande e riflessioni che scaturiscono al termine dell’adattamento di Germano e Teardo, ai quali va riconosciuto il merito di aver riacceso i riflettori su un testo pasoliniano capace di raccontare, senza fare sconti, la società italiana e le sue problematiche ataviche nonostante i sei decenni trascorsi dalla pubblicazione del romanzo. 

Allo stesso modo dei tre friulani, i giovani italiani – le aspirazioni dei quali vengono stroncate di continuo dalle interminabili crisi – non hanno interrotto il loro sogno di una cosa: una società più equa che si prenda cura di chi è rimasto indietro e permetta ai lavoratori di venir nobilitati dal proprio lavoro anziché uccisi da esso.