Il teatro per i giovani, la cultura e il territorio attraverso le arti digitali

Andrea Paolucci, direttore artistico del Teatro dell'Argine, illustra la realtà virtuale, la cittadinanza attiva, la generazione Z e risvolti politici degli spettacoli teatrali

Giorgia Coco

La compagnia Teatro dell’Argine lavora da trent’anni all’insegna di un proficuo rapporto tra territorio e arte scenica, realizzando spettacoli rinomati a livello internazionale senza perdere la sua dimensione di collettore sociale.

La realtà bolognese ha proposto a Catania il format Politico Poetico in occasione di Palcoscenico Catania. La Bellezza senza confini e all’interno della rassegna  DEMO, Dreamaturgy Zone: D.e-Mo 2023 (Democracy & Electronic Movement) - esperienze immersive di “civiltà aumentata”, progetto realizzato e condotto dalla compagnia catanese Retablo.

Abbiamo avuto il piacere di discutere con loro a proposito de Il Parlamento e Il Labirinto

Nel primo, ragazzi e ragazze adolescenti si sono interrogati sugli obiettivi dell’agenda Europea 2023. Nel secondo si snodano 14 storie di 7 ragazzi e 7 ragazze, tanti quanti i fanciulli immolati al Minotauro rinchiuso nella struttura costruita da Dedalo per ordine di Minosse, sono raccontate in forma di arte digitale. 

Ma il progetto è più ampio. Compongono Politico Poetico made in Catania: un laboratorio teatrale; uno spettacolo “post-teatrale” (il Labirinto, appunto) andato in scena dal 26 al 29 settembre 2023 presso l’Istituto Omnicomprensivo Angelo Musco; e un flash mob, nella forma degli “Speakers’ Corners” (gli storici pulpiti improvvisati in Hyde Park a Londra, da cui chiunque poteva improvvisare comizi per chi aveva voglia di ascoltarli), il 30 settembre in Piazza Teatro Massimo.

Per conoscere meglio i lavori e le idee dietro la loro realizzazione abbiamo intervistato Andrea Paolucci, regista, fondatore della compagnia e direttore artistico della stessa.

Il Labirinto (foto Politico Poetico, Teatro dell'Argine)

Il Labirinto (foto Politico Poetico, Teatro dell'Argine)

Cos’è Politico Poetico?

«Politico poetico nasce nel 2019, subito prima della pandemia. Volevamo avere, attraverso gli strumenti del teatro, un orecchio, un occhio vicino alle nuove generazioni, chiedere ai ragazzi tra i 14 e i 20 anni di Bologna e provincia, quale fosse per loro la città che avrebbero voluto vivere da grande. Un’analisi dei bisogni e dei desideri, ma anche delle proposte concrete. È nato così un lavoro di laboratorio nelle scuole superiori di Bologna che ha prodotto poi più di 500 piccoli progetti per migliorare la città: dalle piste ciclabili ai diritti, dai bagni gender fluid ai temi legati al lavoro. Insomma, una mappatura delle priorità dei ragazzi. È diventato un format e abbiamo iniziato a proporlo anche in altre città per lavorare su altri ragazzi. Ed eccoci qui a Catania per lavorare con i ragazzi attraverso dei laboratori condotti nel quartiere di Librino», racconta Andrea Paolucci.

«Però Politico Poetico, non è solo un progetto di cittadinanza attiva, ma anche uno sguardo attraverso l'arte, e in questo caso l'arte digitale, su tutte quelle fragilità del mondo giovanile che spesso non sono sotto i nostri occhi. Ragazzi e ragazze hikikomori, ragazzi che si danno alla prostituzione giovanile, alle dipendenze. Ci sono situazioni di degrado in cui spesso ragazzi veramente piccoli si trovano a vivere la loro quotidianità. Con lo spettacolo Il Labirinto abbiamo voluto raccontare all'interno di Politico Poetico questa nuova generazione», aggiunge il regista.

Il Labirinto (foto Politico Poetico, Teatro dell'Argine)

Il Labirinto (foto Politico Poetico, Teatro dell'Argine)

Come si è sviluppato lo spettacolo esperienziale il Labirinto e in che relazione è con il lavoro laboratoriale condotto con gli adolescenti?

«Siamo partiti con l’intervistare istituzioni, enti, persone che quotidianamente si occupano di questi ragazzi e di queste ragazze in stato di fragilità o pericolo. Siamo andati negli istituti di pena minorile abbiamo parlato con gli avvocati che si occupano di casi che hanno minorenni come protagonisti. Siamo andati negli ospedali, siamo andati nei centri di recupero delle tossicodipendenze», sottolinea Andrea Paolucci.

«Poi abbiamo scelto 14 storie vere di ragazzi e ragazze tra i 9 e i 18 anni. Ragazzi che hanno vissuto diverse esperienze: dal bullismo alla dipendenza, dalla prostituzione all’autolesionismo. Storie dure, storie difficili, storie che il teatro, così come la letteratura e il cinema, hanno saputo raccontare», aggiunge il fondatore del Teatro dell'Argine.

«In più abbiamo voluto fare un esperimento, usare la realtà virtuale. Quindi usiamo dei visori che mettono lo spettatore in una condizione molto particolare, quella di entrare letteralmente nelle vite di questi ragazzi – sottolinea il direttore artistico – All'interno dello spettacolo che racconta queste 14 storie, lo spettatore potrà diventare letteralmente uno di questi ragazzi e quindi vedere il mondo con gli occhi di un dodicenne con una lametta in mano pronto ad incidersi, e nello stesso tempo però potrà essere anche nella stanza di un ragazzino hikikomori quando discuterà violentemente con la propria madre che vuole portarlo fuori da lì, dalla stanza in cui si è rinchiuso. Ecco, attraverso i visori noi spettatori siamo in un percorso privilegiato. Entriamo nella loro vite e forse capiamo qualcosa di più del loro mondo».

Rispetto alla dimensione rituale, cosa la tecnologia può integrare o potenziare rispetto al medium teatro? Cosa, invece, depotenzia?

«Sicuramente è un linguaggio radicale rispetto alle pratiche del teatro. Di fatto, almeno nel nostro caso, non c'è la presenza qui e ora di attori. L’esperienza che fa lo spettatore ne Il Labirinto in questo senso è forse più assimilabile al cinema», racconta Andrea Paolucci.

«Quindi sicuramente si perde qualcosa. Si acquista in quella immersività di cui parlavo prima, che mette davvero lo spettatore da solo al centro di una umanità, di una realtà difficilmente intercettabile nel reale, a meno che non diventiamo anche noi in qualche modo, operatori, educatori, assistenti sociali  – aggiunge il fondatore della compagnia  – E allora quello che si guadagna, almeno in questo progetto mi sembra che sia decisamente più forte e più importante di quello che perdiamo, che è la parte poi rituale del teatro, dello stare insieme qui e ora. Nel nostro spettacolo si è da soli nella catarsi finale che in qualche modo, con l'applauso collettivo tutto cheta, tutto ricompone. Invece qui quando ti togli il visore sei da solo con le 14 storie ancora sul groppone».

«È un’esperienza più che uno spettacolo e penso valga la pena di farla», conclude Andrea Paolucci.