Il vangelo cinematografico secondo Martin Scorsese

Il regista italo-statunitense ha incontrato il pubblico del Taormina Film Festival 2025 per una conversazione tra cinema e fede religiosa

Stefano Zito

Tra gli ospiti della 71ª edizione del Taormina Film Festival spicca la straordinaria presenza del regista statunitense con cittadinanza italiana, premio Oscar, Martin Scorsese.

L’evento si è articolato in due momenti: al Palazzo dei Congressi, il regista ha incontrato il pubblico e risposto alle domande in sala; al Teatro Antico, ha ricevuto il prestigioso premio alla carriera Taormina Lifetime Achievement Award, seguito dalla proiezione della nuova versione restaurata del suo film Taxi Driver (1976).

Durante la conversazione, il regista ha affrontato temi come il rapporto con la tecnologia, l’identità culturale, la fede religiosa e i ricordi di un’infanzia segnata da difficoltà. Ha rievocato con emozione le sue origini siciliane, parlando di Polizzi Generosa, il paese in provincia di Palermo da cui provenivano i suoi genitori.

«È fondamentale sostenere i giovani, aiutandoli a prendere coscienza del mondo che li circonda». Ha esordito Martin Scorsese, aprendo così il dibattito sulle nuove generazioni e sui nuovi registi cinematografici. In seguito, ha espresso preoccupazione per il ruolo crescente dell’intelligenza artificiale, affermando: «Non sappiamo più cosa sia reale. Vedo una foto e mi chiedo se sia autentica o creata artificialmente. A volte non riesco nemmeno a distinguere. Questo compromette profondamente la nostra percezione del vero».

Martin Scorsese durante la conversazione al Palazzo dei Congressi di Taormina

Martin Scorsese durante la conversazione al Palazzo dei Congressi di Taormina

Il regista ha criticato in maniera decisa la situazione politica americana, con affermazioni simili a quelle di Michael Douglas durante la prima giornata. «Sono deluso da Donald Trump - ha detto -. Non sono un filosofo politico, ma credo che un atteggiamento come il suo, basato su rabbia e odio, finisca per essere controproducente perfino per sé stesso. E tutto questo fa male alle persone. È profondamente tragico». «A volte penso: Sì, questa potrebbe essere la fine della democrazia, ma successivamente penso che No, forse sta solo venendo messa alla prova».

Nel corso del suo intervento ha spiegato le ragioni che da giovane lo spingevano a voler diventare prete. «Ricordo la mia infanzia nei Five Points di New York, un quartiere molto povero - ha detto -. Quello che mi ha salvato in quel contesto difficile è stata la fede. Anzi, più precisamente, l’incontro tra spiritualità e cultura. Per un anno provai anche a diventare un prete, pensavo fosse la mia strada. Ma poi, con il tempo, capii che non era quella la mia vocazione. La mia vera vocazione, in realtà, era raccontare storie». Ha inoltre commentato il ruolo del nuovo Papa americano Leone XIV: «È importante che il Papa parli di pace ed è l’unico a farlo. Credo che possa riuscire a guidarci verso la rappacificazione, ma deve essere lui a dare l’esempio e a dimostrarci che si può fare e come farlo».

Guardando al futuro, ha annunciato i suoi prossimi progetti: «Sto lavorando ad un film su Gesù. Se il tempo me lo permetterà, vorrei davvero portarlo a termine. Ma credo ci vorrà almeno un altro anno». Ha inoltre accennato alla possibilità di realizzare una serie TV dedicata ai santi e ha raccontato di aver quasi completato il suo nuovo documentario su Papa Francesco, intitolato Aldeas: A New Story, che includerà l’ultima intervista concessa dal Pontefice. Il film seguirà da vicino l’organizzazione voluta dal Papa per promuovere una “cultura dell’incontro” tra giovani provenienti da ogni parte del mondo.

Martin Scorsese sul red carpet con la figlia Francesca

Martin Scorsese sul red carpet con la figlia Francesca

Dagli esordi, Scorsese ha raccontato storie di uomini in lotta con i propri demoni, sospesi tra colpa e redenzione, perdizione e speranza. I suoi personaggi vivono spesso ai margini della società, immersi in ambienti dominati dalla violenza, dall’ambiguità morale e dal caos urbano. Eppure, anche nel più feroce dei gangster, il regista cerca un varco, una possibilità di salvezza o almeno di consapevolezza. Questo desiderio di redenzione non è solo narrativo, ma esistenziale, e affonda le radici nella sua formazione religiosa. La tensione tra vocazione spirituale e artistica si riflette nei suoi film più intimi e religiosi, come L’ultima tentazione di Cristo (1988) e Silence (2016), dove la figura di Cristo e il tema del martirio si intrecciano con dubbi profondi sulla fede e sul sacrificio.

L’influenza del neorealismo è evidente già nei suoi primi lavori, girati con budget ridotti e una fotografia quasi documentaria. Durante la premiazione al Teatro Antico di Taormina, il regista ha raccontato come Paisà (1946) di Roberto Rossellini occupi un posto speciale nel suo cuore, e del modo in cui lo ha ispirato nella sua visione cinematografica. Infatti, il suo è un “cinema-verità” reinventato, capace di fondere la forza evocativa della fiction con l’immediatezza del reale, e di raccontare l’anima umana con crudezza e pietà.

In un mondo in cui il cinema è sempre più dominato da formule e algoritmi, Martin Scorsese resta un autore necessario. Non solo per la maestria registica, ma per il modo in cui ha sempre difeso la libertà dell’artista e la profondità della settima arte come un mezzo di conoscenza. In un tempo in cui le immagini sono spesso manipolate, prodotte in serie o generate da intelligenze artificiali, Scorsese insegna che i valori fondamentali si trovano nella visione personale, nella sincerità dello sguardo e nel coraggio di raccontare storie scomode, vere e necessarie. Il cinema non cambia il mondo, ma può cambiare il modo in cui lo guardiamo. E cambiare lo sguardo, a volte, rappresenta già cambiare tutto.

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