Il vermocane, una specie invasiva che mette a rischio l’economia della pesca artigianale

Lo studio dei ricercatori Unict pubblicato sulla rivista scientifica Marine Environmental Research

Francesco Tiralongo

Le specie invasive, anche quelle non aliene, possono causare, sotto particolari condizioni ambientali, gravi alterazioni degli ecosistemi e danni economici, minacciando persino la salute umana. 

Nel contesto del riscaldamento globale, che può agire come forza trainante per l'espansione delle specie termofile, aliene e non, abbiamo indagato per la prima volta i danni economici causati dal vermocane (scientificamente noto come Hermodice carunculata e anche comunemente detto “verme di fuoco” a causa delle sue setole in grado di causare fastidiose e doloranti irritazioni) al palamito leggero che ha come specie target sparidi pregiati nel Mar Mediterraneo.

Ci siamo concentrati sulla pesca con palamito di fondo che mira alla cattura del sarago maggiore (Diplodus sargus), investigando la composizione delle catture dell'attrezzatura da pesca e il rendimento in termini economici e di catture per sforzo delle specie catturate.

Il vermocane mentre attacca una preda (foto di Gianfranco Alemanno)

Il vermocane mentre attacca una preda (foto di Gianfranco Alemanno)

I nostri risultati hanno chiaramente indicato danni economici diretti e indiretti di rilievo alle attività di pesca praticate lungo la costa sud-orientale della Sicilia (Mar Ionio). È importante notare che i danni aumentano in corrispondenza del periodo più caldo, sebbene la presenza del vermocane sia stata riscontrata durante tutti i mesi di indagine.

In questo studio – dal titolo Impact of Hermodice carunculata (Pallas, 1766) (Polychaeta: Amphinomidae) on artisanal fishery: A case study from the Mediterranean sea - appena pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Marine Environmental Research, si evidenzia l’entità dei danni causati dal vermocane alla piccola pesca costiera in relazione alla scala temporale e ai rendimenti complessivi ottenuti da questa pesca artigianale tradizionale, e sono state proposte alcune soluzioni. 

Tuttavia la situazione attuale richiede particolare attenzione poiché ci si aspetta che peggiori nel contesto dei futuri scenari di riscaldamento globale, pertanto sono necessari urgentemente ulteriori studi.

Esemplari di vermocane presenti nelle reti dei pescatori (foto di Enzo e Alberto Aricò)

Esemplari di vermocane presenti nelle reti dei pescatori (foto di Enzo e Alberto Aricò)

A tal riguardo e in risposta a questa emergenza è stato recentemente lanciato il progetto Worms Out dall'ente capofila OGS, in collaborazione con gli atenei di Catania, di Messina, di Modena e Reggio Emilia, l'Ispra e l'Area marina protetta Capo Milazzo. Il progetto ha come obiettivo quello di continuare ad approfondire la distribuzione e l'abbondanza del vermocane soprattutto lungo le coste siciliane tirreniche e ioniche, utilizzando trappole idonee a catturare la specie e avvalendosi dell'esperienza e della conoscenza dei pescatori.

I danni economici che questa specie fa alla pesca artigianale sono a noi noti già da parecchi anni, sebbene solamente in alcune località del sud Italia, dove la presenza del verme è massiccia. Obiettivo di questo studio è anche quello di portare l’attenzione della comunità scientifica su questa specie, altamente invasiva e potenzialmente pericolosa, non solo per l’economia della piccola pesca, che rischia seri danni economici, ma anche per l’ecosistema e la salute umana.

Il vermocane mentre attacca una preda (foto di Gianfranco Alemanno)

Il vermocane mentre attacca una preda (foto di Gianfranco Alemanno)

La ricerca è stata condotta dall'Università di Catania, in particolar modo dal prof. Francesco Tiralongo che ha svolto le indagini sul campo con la collaborazione di altri ricercatori dell’ateneo catanese – la prof.ssa Bianca Maria Lombardo e la dott.ssa Sara Ignoto – e anche di vari istituti di ricerca. Tra i ricercatori afferenti agli istituti di ricerca figurano Sebastiano Marino dell'Ente Fauna Marina Mediterranea, Riccardo Martellucci dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale, Umberto Scacco dell'Ispra e Emanuele Mancini dell'Università del Salento.