Immagini che leggono parole

Le novelle del Verga nelle interpretazioni visuali di Bruno Caruso. Giuliana Fiori, curatrice della mostra, ci racconta la nascita e la realizzazione di un affascinante progetto verbo-visivo

Corinne Pontillo e Viviana Triscari

È allestita nelle sale della Villa Ardizzone, fino al prossimo 21 maggio, la mostra "Giovanni Verga e Bruno Caruso: dalla parola all’immagine". L’esposizione si sviluppa lungo un percorso lineare, scandito dall’accostamento tra le opere a colori e le incisioni in bianco e nero che l’artista ha realizzato ispirandosi alle novelle di Verga. 

Parte integrante del progetto espositivo sono anche le didascalie costituite da citazioni dei testi dello scrittore siciliano scelte dalla curatrice, Giuliana Fiori. Già docente di Storia dell’arte contemporanea al Dipartimento di Scienze umanistiche dell'Università di Catania, la professoressa Fiori ci mostra subito una fotografia scattata nello studio dell’artista a Piazza del Colosseo 2, insieme ad una lettera scrittale dal Maestro, parte di un più ampio carteggio che testimonia la relazione di amicizia e stima tra lei e Caruso.

Com’è nato il progetto di un’esposizione delle opere di Bruno Caruso ispirate alla narrativa di Giovanni Verga?

«L’idea di mettere in mostra le opere di Bruno Caruso che illustrano le novelle di Verga risale a tanto tempo fa. Ho conosciuto il Maestro quando collaboravo con la direzione artistica di una importante galleria d’arte a Catania (Arte Club); sin da subito è scattato un feeling da cui è poi nata una duratura amicizia. Successivamente ci siamo rivisti a Roma, nel suo studio, poi nella sua casa sull’Appia dove viveva con la moglie Lidia Olivetti, e infine per i suoi ottant’anni, a Capri. Questo rapporto di fiducia umana sul piano professionale si è tradotto, ad esempio, nel fatto che l’artista in occasione di alcune esposizioni di sue opere abbia preferito inviare i materiali soltanto a me, piuttosto che in galleria, per paura che potessero smarrirsi o danneggiarsi» spiega la curatrice Giuliana Fiori.

«Ho visto per la prima volta questi disegni una trentina di anni fa e in quell’occasione il Maestro mi disse che li avrebbe venduti solo a patto che fossero stati esposti tutti insieme, poiché scissi l’uno dall’altro avrebbero perso di significato - aggiunge -. Così nella loro stessa genesi portano insito il concetto di mostra, vanno letti come un insieme. Caruso in persona mi raccontò come nacque l’idea di fare queste tavole: appena ventenne rientrava in Sicilia da un viaggio a Vienna e passando per la parte orientale dell’isola capitò ad Acitrezza mentre Visconti stava girando La terra trema e gli si avvicinò con la sfrontatezza tipica della gioventù». 

«Durante la loro conversazione il regista gli confidò che per lui il più grande maestro del realismo era stato proprio Giovanni Verga; questo fu l’input che portò l’artista a rileggere le storie verghiane, sfogliate solo distrattamente e sbadigliando ai tempi della scuola - continua la curatrice -. Fu allora (siamo nel 1947) che iniziò a fare i primi schizzi in bianco e nero, dando concretezza alle immagini mentali che le novelle avevano generato in lui. Solo in seguito Caruso decise di ampliare il progetto; rilesse tutte le novelle, prediligendo quelle di ambientazione siciliana, e decise di tradurle in immagini in un nuovo ciclo a colori, compiuto intorno agli anni Sessanta. Le serie sono evidentemente l’esito di due letture fatte in momenti diversi e pertanto mettono l’accento su aspetti differenti dei medesimi testi». 

mostra verga

Una sala che ospita la mostra a Villa Ardizzone 

Volendo intanto soffermare l’attenzione sulla dimensione figurativa, le opere – a colori e in bianco e nero – che danno vita a questa doppia declinazione visiva quale rapporto intrecciano reciprocamente?

«L’idea di accostare i disegni tratti dai due cicli riferiti alla stessa novella è stata spontanea, essa consente di mostrare come in momenti diversi si provino emozioni diverse e testimoniano come la facoltà immaginativa dell’artista possa di lettura in lettura essere sollecitata da certi elementi piuttosto che da altri, seppur desunti dallo stesso motivo ispiratore - spiega la docente -. A mio avviso, quelle in bianco e nero posseggono un carattere più immediato mentre quelle a colori appaiono più concettuali ed elaborate». 

Le due soluzioni espressive sembrano instaurare dunque una diversa relazione con la parola verghiana.Quali sono per Lei i tratti salienti dell’una e dell’altra maniera? Si è trattato di una scelta curatoriale o ha seguito la volontà dell’autore?

«In realtà non c’erano indicazioni in merito - ci tiene a precisare -. Però, se guardiamo ad esempio le illustrazioni di Fantasticheria, l’intenzione dell’artista emerge in maniera più evidente: nell’opera a colori c’è un mondo incantato, il paesaggio di Acitrezza, dove non sono presenti le figure umane; ed è un luogo, questo, che incanta fino a quando si guarda a distanza, fino a quando non si percepisce nella sua realtà. Nel momento in cui si vedono le persone e le condizioni in cui esse vivono, o meglio sopravvivono, si perde quella visione idealizzata. È un impatto con la realtà – simboleggiato nella novella dal personaggio principale femminile – che l’artista ha messo qui in evidenza. Nel disegno in bianco e nero è raffigurata una barca e, in primo piano, si scorge un autoritratto dell’artista. Caruso, in questo caso, sembra volersi identificare con il punto di vista di Verga, con la sua stessa Weltanschauung».

opere in mostra

Alcune opere in mostra nelle sale di Villa Ardizzone

Nel corso della visita, testi e immagini entrano inevitabilmente in relazione. Quali sono le motivazioni alla base della scelta delle didascalie e come possiamo interpretare il dialogo tra le parole e la componente visiva?

«Il linguaggio verbale e il linguaggio visivo sono due mezzi espressivi che impiegano strumenti diversi: il codice verbale si avvale delle descrizioni, dei dialoghi, della punteggiatura, eccetera; quello visivo, invece, del colore, delle linee, della prospettiva, della colorazione e della scelta delle figure - spiega Giuliana Fiori -. Quindi è chiaro come nel passaggio dalla parola all’immagine ci siano delle modifiche. Non si tratta di una semplice traduzione da una lingua a un’altra e con le didascalie ho voluto sottolineare proprio questo passaggio, ho recuperato il brano al quale verosimilmente, secondo me, l’artista si era ispirato o che lo aveva colpito di più nel momento in cui aveva realizzato i disegni. Chiaramente si tratta di una scelta soggettiva». 

Dotare le immagini di un preciso rimando testuale non potrebbe avere forse l’effetto di vincolarle eccessivamente alla narrazione verghiana, generando il rischio di ridurre l’illustrazione a una questione di mera fedeltà al testo?

«La didascalia non è un vero e proprio brano, è molto breve e si rivolge soprattutto a chi non ha una conoscenza approfondita di Verga - precisa la docente -. Dobbiamo anche tenere presente che Giovanni Verga e Bruno Caruso: dalla parola all’immagine vuole essere una mostra divulgativa, una mostra che si apre a tutti e avvicini il pubblico sia all’artista che allo scrittore». 

È anche un modo di tendere la mano al lettore…

«Certamente - spiega sorridendo la curatrice -. Per molti può essere molto importante, per cogliere aspetti che altrimenti potrebbero passare inosservati. Per altro, a visitare la mostra verranno, o sono già venuti, gli studenti e le studentesse di scuole di tutti i livelli. Mentre il ragazzo del liceo ha magari già approfondito Verga, il bambino della scuola elementare può al massimo aver letto le novelle, per cui l’esperienza di visita lo porta un gradino più su rispetto alle attività che svolge abitualmente. E questo è importantissimo: vedere come comunicano la parola letteraria e l’universo visivo».

mostra verga

Alcune immagini in esposizione alla mostra 

Qual è il legame tra il luogo che ospita temporaneamente l’esposizione e il concept della stessa? Le andrebbe di raccontarci qualcosa sul backstage?

«La mostra è stata già stata esposta a Noto, sotto richiesta del sindaco Corrado Figura che mi chiese di fare qualcosa per celebrare il centenario verghiano - racconta -. L’allestimento è stato fatto nei locali dell’ex Monastero di Santa Chiara e proprio in quell’occasione è nato il dialogo con le sorelle Ardizzone, che si sono offerte di ospitare le opere nella cornice della loro villa. Mi è piaciuta molto fin da subito, mi sembra la location ideale e poi è tenuta benissimo».  

«Per quanto riguarda la disposizione e l’ordine di ‘lettura’ dei quadri, non ho seguito la cronologia di composizione di Verga, tranne che per l’avvio della visita - continua -. Idealmente, infatti, si può cominciare il percorso con Fantasticheria – prima novella della raccolta Vita dei campi – mentre ho preferito concludere con Jeli il pastore e Rosso Malpelo, che rappresentano per Verga i due momenti estremi della sua concezione del mondo. Rosso Malpelo conosce la cattiveria degli uomini, le forme di prevaricazione sul più debole; invece Jeli è l’ingenuo, colui che non conosce il male». 

«Per il resto, le opere legate ai testi più noti sono disposte nel salone principale, le altre sono distribuite nelle stanze attigue. Io spero che a qualcuno, visitando la mostra, sia venuta la voglia, come venne a Bruno Caruso, di andare a rileggere le novelle di Verga» conclude la curatrice Giuliana Fiori.