Intelligenza artificiale e ricerca scientifica nel resto del XXI secolo

Al Palazzotto Biscari è intervenuto Salvatore Scellato, Director of Software Engineering di Google DeepMind in occasione del “Caffè scientifico” dell’Accademia Gioenia

Calogero Genco, Martina Giuffrida, Giuseppe Rasconà e Marta Maria Robusto

L’intelligenza artificiale e il suo impatto, presente e futuro, sulla ricerca scientifica. È il tema dell’incontro – dal titolo Intelligenza artificiale e ricerca scientifica nel resto del XXI secolo – che si è svolto al Palazzotto Biscari nell’ambito del ciclo “Caffè scientifico”, promosso dall’Accademia Gioenia in collaborazione con la Scuola Superiore dell'Università di Catania.

Protagonista dell’incontro - coordinato dal prof. Vito Latora del Dipartimento di Fisica e Astronomia all’Università di Catania - Salvatore Scellato, Director of Software Engineering di Google DeepMind, dove coordina i team che progettano le infrastrutture computazionali dei più avanzati modelli d’intelligenza artificiale.

Nato a Nicosia, ex allievo della Scuola Superiore di Catania, l'ing. Salvatore Scellato ha conseguito un PhD in Computer Science all'Università di Cambridge e da lì fino ai vertici della ricerca applicata in una delle realtà più avanzate del pianeta in questo campo. Il contesto del suo intervento è stato reso ancor più significativo dall’assegnazione, pochi mesi fa, del Premio Nobel per la chimica a Demis Hassabis, co-fondatore di DeepMind, insieme con John Jumper e David Baker, per i progressi pionieristici nella predizione e progettazione delle proteine grazie all’AI. Ma se il riconoscimento della comunità scientifica internazionale rappresenta un punto d’arrivo indimenticabile, il dialogo con Scellato ha voluto guardare oltre, cercando di delineare ciò che verrà.

Dopo i saluti istituzionali del presidente dell'Accademia Gioenia, Daniele Condorelli, e del presidente della Scuola Superiore di Catania, Daniele Malfitana, che ha sottolineato con orgoglio «il ruolo della scuola nel formare eccellenze capaci di brillare in contesti globali», la parola è passata al professor Vito Latora che, con rigore e passione, ha ricostruito le radici teoriche del machine learning, conducendo il pubblico lungo un viaggio che dai primi modelli matematici di reti neurali arriva ai transformer di ultima generazione. 

Un excursus che ha incluso i lavori di Hopfield, Hinton e LeCun, fino ai modelli alla base di ChatGPT, mostrando come l’apprendimento automatico consista nell’adattare funzioni matematiche complesse a dati incerti e rumorosi, per costruire rappresentazioni del mondo capaci di “funzionare” meglio di quelle umane.

Nel suo intervento Salvatore Scellato ha raccontato con chiarezza e profondità cosa accade oggi dentro un laboratorio d’avanguardia come DeepMind.

«L’intelligenza artificiale - ha spiegato - sta attraversando una trasformazione radicale: da semplice tecnologia a vero e proprio strumento scientifico universale, capace di generare ipotesi, analizzare enormi quantità di dati, formulare modelli e persino scoprire soluzioni matematiche inaccessibili all’intuito umano».

E nel proseguire ha illustrato tre esempi chiave. «Il primo è AlphaFold – ha detto - già noto per aver risolto la sfida decennale del protein folding attraverso una tecnologia che consente di predire la forma tridimensionale delle proteine a partire dalla loro sequenza genetica, rivoluzionando completamente la biologia strutturale e farmacologia. Il secondo è AlphaEvolve, un sistema che ottimizza algoritmi di base come la moltiplicazione tra matrici, migliorando radicalmente l’efficienza computazionale. Il terzo è AlphaGeometry, capace di risolvere problemi complessi di geometria olimpica, e di superare, in certe prove, le prestazioni dei migliori studenti umani».

Ma non si è parlato solo di successi e di algoritmi. Scellato, infatti, ha voluto mettere in luce la sfida epistemologica che l’AI pone: cosa succede quando una macchina contribuisce direttamente alla conoscenza scientifica? E come cambia il ruolo dello scienziato? La risposta, per quanto parziale, passa da un concetto chiave: collaborazione. «L’AI - ha spiegato -, non sostituirà il pensiero umano, ma ne potenzierà le capacità. Non serve un nuovo supereroe, ma una nuova tuta da Iron Man: uno strumento che amplifica chi lo usa».

Un momento dell'intervento dell'ing. Salvatore Scellato

Un momento dell'intervento dell'ing. Salvatore Scellato

A suscitare particolare interesse è stata la riflessione su GenCast, un nuovo sistema di previsione meteorologica sviluppato con tecniche di deep learning, capace di fornire stime più rapide e accurate degli eventi estremi rispetto ai modelli tradizionali.

«Questa rappresenta una dimostrazione di come l’intelligenza artificiale possa, non solo affiancare, ma migliorare le metodologie esistenti, specialmente in contesti ad alta complessità dinamica come il clima, la genomica o l’economia», ha detto.

Non sono mancati ovviamente dubbi e domande che l’argomento naturalmente scaturisce. Dal pubblico, per esempio, alcuni docenti hanno sollevato il problema dell’affidabilità: come fidarsi di modelli che, pur producendo output coerenti, possono generare risultati errati o addirittura fisicamente impossibili? La risposta, ha chiarito Scellato, sta «nell’autonomia controllata». «Modelli capaci di argomentare le proprie soluzioni, ma sempre affiancati da criteri di verifica, simulazione e validazione», ha spiegato.

Altri interventi hanno, invece, toccato il problema dell’accessibilità: sarà possibile, per i piccoli centri di ricerca o le università, accedere a queste tecnologie? Anche qui, la risposta è stata cautamente ottimista.

«I costi degli hardware sono più bassi – ha detto -, i modelli open-source, infatti, si stanno diffondendo e l’equilibrio tra innovazione proprietaria e conoscenza condivisa è oggi più dinamico che mai».

Uno spazio importante è stato dedicato anche alla questione educativa, troppo spesso lasciata ingiustamente da parte quando si parla di questi argomenti. Giovanni Gallo, docente di informatica, ha posto il problema della formazione: come preparare i futuri scienziati in un mondo in cui l’AI può essere usata per copiare, ma anche per esplorare?

«L’AI non è un nemico - ha ribadito Scellato -, ma uno strumento potentissimo che le istituzioni devono imparare a conoscere per guidarne l’uso; l’università, insomma, non può più permettersi il lusso dell’attesa, ma deve cambiare, aggiornarsi e accettare la sfida, come è giusto che faccia un organo indispensabile per lo sviluppo umano come quello universitario».

In chiusura è stato affrontato anche l’aspetto filosofico. E a chi ha evidenziato come l’AI, priva di esperienza incarnata, rischi di restare intrappolata in un pensiero puramente computazionale, Scellato ha ricordato che «molti ambiti di ricerca stanno già integrando dati sensoriali nel training dei modelli: audio, video, immagini, letture chimiche e persino olfattive». «L’obiettivo, in fondo, è sempre lo stesso: costruire strumenti capaci di dialogare con la complessità del mondo reale, senza mai dimenticare che la conoscenza resta, almeno per ora, un’impresa umana», ha aggiunto.

«L’AI - ha ricordato Scellato - non renderà gli scienziati superflui; al contrario renderà la loro presenza ancora più necessaria, perché, se i modelli imparano dai dati, solo gli esseri umani possono scegliere quali domande vale la pena porsi».

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