Una immersione nel mondo delle arti minori tra storie del passato e identità territoriale grazie a Renato D'Amico
Un viaggio che comincia dalla fine dell’Ottocento e attraversa le generazioni di siciliani, restituendo al presente la memoria viva di antichi mestieri, oggetti dimenticati e gesti quotidiani che oggi sembrano appartenere a un’altra epoca. È questo il cuore pulsante della Fondazione Kalòs – Antichi mestieri d’arte, che nei giorni scorsi ha aperto le porte della sua nuova sede in via Conte Ruggero 79, proprio nel cuore di Catania.
Il piccolo Museo delle collezioni di arti decorative applicate si presenta come un autentico scrigno di memoria materiale e identità culturale: cartoni artigianali ad acquerello di Santi Cacciaguerra, allievo di Domenico Morelli e attivo nei primi anni del ’900, cartoline colorate, servizi di rosolio, giradischi a tromba, carillon, pianoforti, un armonium, orologi a cucù, poster scolastici d’altri tempi, ma anche strumenti musicali antichi, fotografie d’epoca e giocattoli che oggi sembrano reliquie di un’infanzia sospesa. E ancora, giocattoli di altri tempi, fotografie, strumenti dell’antica Catania liutaia, in un percorso alla scoperta delle nostre radici.
Ogni oggetto racconta una storia, custodita dal suo collezionista: Renato D’Amico, fondatore di Kalòs insieme con la moglie Anna Calderone. La sua passione per le arti decorative del passato inizia dall’infanzia, con un giradischi a tromba.
«Non era solo un oggetto antico: era una finestra su un mondo scomparso che, da bambino, mi affascinava e mi spingeva a capire come funzionasse – spiega il prof. Renato D’Amico dell'Università di Catania -. Smontavo, osservavo, cercavo di comprendere. Ma presto, quella curiosità per il meccanismo si trasformò in una passione più profonda: volevo sapere chi usava quegli oggetti, che musica ascoltavano, come vivevano. Così, l’oggetto diventava persona, contesto, storia».
Da allora la passione si è evoluta in un lavoro di ricerca, recupero e restauro che dura da decenni. «Qualcuno mi ha definito un collezionista di collezioni – racconta -, ma per me non è mai stato un semplice accumulare. Ogni oggetto è una traccia di memoria, un racconto di identità. Dopo una vita di insegnamento universitario e di impegno nel terzo settore, nel 2019 ho capito che era arrivato il momento di restituire qualcosa alla mia città».

Sezione del museo dedicata alla musica, da sinistra a destra: piano a cilindro da strada, pianoforti verticali, giradischi a tromba, jukebox, cartoline musicali alle pareti, dischi 45 giri
Così, nel 2021, nasce ufficialmente la Fondazione Kalòs: un progetto culturale e sociale che ha l’ambizione di promuovere la cittadinanza attiva attraverso la valorizzazione del patrimonio artigianale siciliano. «Catania, e più in generale la Sicilia, è stata una terra di straordinaria produzione artigianale e musicale – racconta il docente -. Tra Ottocento e primo Novecento, la città fu uno dei poli più importanti al mondo nella produzione di strumenti musicali a pizzico. Eppure, pochi oggi conoscono questa storia».
E proprio questa ignoranza del passato, dice D’Amico, è una delle forme più gravi di deprivazione culturale: «Se non conosciamo le nostre radici, non possiamo né custodirle né difenderle. E senza radici, l’albero della cultura non può che crollare al primo battito d’ali di farfalla». Il fondatore di Kalòs ricorda anche la figura del triscele, simbolo della Sicilia. «Il triscele possiede tre gambe, ognuna di esse rappresenta un’arte: la musica, il teatro e l’artigianato – spiega -. Queste sono le tre gambe sulle quali il povero Colapesce regge la Sicilia».
Il museo ospita, tra l’altro, mandole e mandolini restaurati con la consulenza dell’ultimo maestro liutaio catanese, Vincenzo Maravigna. «Mi ha spiegato come si costruivano e restauravano. Ci ho messo due mesi per riportare in vita il primo. Oggi è tra i pezzi esposti e di cui vado più orgoglioso».
Il professore si è occupato per anni degli strumenti a pizzico, tanto che le sue ricerche, insieme al maestro Maravigna, hanno portato nel 2022 alla pubblicazione di un libro, intitolato Identità dimenticate: la liuteria a Catania e dintorni tra Ottocento e Novecento: «Ricordo, quando ho presentato il libro da Cavallotto, la gente mi ha ringraziato per aver riportato alla luce memorie che sembravano andate perdute perché trasmesse solo oralmente. Ora tocca a voi sfondarlo questo muro, buttarlo giù questo maledetto muro e ritrovare le nostre radici più autentiche».
Spesso si tende a pensare l’arte sia quella con la “A” maiuscola della pittura e della scultura, dimenticando che, invece, quello che probabilmente ha più valore dal punto di vista sociologico sono le arti minori, ovvero le arti decorative applicate a oggetti di uso quotidiano.
Il confine tra arte e artigianato è molto sottile ed è per questo che Renato D’Amico si è avvicinato a questo mondo, scoprendo la Sicilia primeggiava nel mondo e che le sue radici affondano in un artigianato d’eccellenza: l’obiettivo del museo e della fondazione è quello di restituire la memoria a questo artigianato straordinario.

Il professore D’amico mostra la collezione di cartoline della mostra, dove sono ospitate cartoline firmate da Cambelotti, Kirchner e Mucha
Ma non è solo conservazione: la missione è anche educativa e partecipativa. La Fondazione ha organizzato mostre, eventi musicali, presentazioni di libri, e ha in programma laboratori per bambini. «Crediamo che la bellezza possa educare - sottolinea D’Amico -, e che la cultura materiale, quella che passa da un oggetto, una canzone, un gesto artigiano, possa risvegliare un senso civico profondo».
«Mi piacerebbe realizzare dei laboratori per bambini di due tipi: il primo creativo, dando la possibilità ai bambini di dimenticare per un po’ quel telefonino e usare le mani, facendogli costruire delle cose, facendoli disegnare oppure suonare uno strumento; il secondo, invece, esperienziale, in modo da far sperimentare ai bambini gli antichi giochi di strada», spiega il prof. D'Amico.
«Per un progetto del genere devo fare in partenariato con altre realtà e mi tengo per mano con chiunque voglia almeno fare un tratto di strada insieme purché si possa condividere queste iniziative - aggiunge -. Sono alla ricerca di rapporti con le scuole, fondamentali per riuscire a smuovere e accendere la sensibilità degli insegnanti e dei dirigenti scolastici, mentre molte mamme sostengono già la causa».
Un museo vivo, dunque, che vuole diventare un luogo a disposizione della città. «Mi piacerebbe che venisse percepito come uno spazio condiviso, un laboratorio di cittadinanza - ci tiene a sottolineare il docente -. Non qualcosa di episodico, ma un punto di riferimento per chi crede che si possa cambiare la cultura di un territorio partendo da un oggetto, da una storia, da un laboratorio. E anche da un sorriso: quello che vedo sui volti delle persone ogni volta che si rendono conto di aver riscoperto un pezzo di sé che credevano perduto».
L’ingresso al museo avviene su libera offerta, e chiunque può contribuire con una donazione o una collaborazione. Perché, come conclude D’Amico, «questo patrimonio è di Catania, e a Catania deve restare». «Mi piacerebbe che, proprio per questo, questo spazio venisse considerato come a disposizione della città, come un museo attivo in cui realizzare iniziative culturali che non abbiano necessariamente un carattere esclusivamente episodico, ma che possano portare un valore aggiunto».
Per l’accesso al Museo è richiesta una libera offerta. Per contribuire al futuro di questo progetto, è possibile donare il proprio 5x1000 inserendo nel Modello Redditi Persone Fisiche il codice fiscale 93240200878. La visita al Museo avviene a seguito di prenotazione, telefonando al numero 344 4733128 o inviando una mail a info@fondazionekalos.org