La canzone d’Orlando

La recensione di Gaetano Gigante dello spettacolo teatrale andato in scena al Zo Centro Culture Contemporanee 

Gaetano Gigante

La storia di un paladino morto eroicamente nel VIII secolo può essere attuale ancora oggi? 

La canzone d’Orlando, spettacolo di e con Giovanni Calcagno, andato in scena nei giorni scorsi al Zo Centro Culture Contemporanee, affronta quest’interrogativo. 

Una rappresentazione che si sarebbe dovuta svolgere nel marzo del 2020, ma a causa della pandemia è stata posticipata. Questo rinvio, tuttavia, è diventato un’occasione per l’autore-attore per scrivere un volume, pubblicato lo scorso anno, che oggi fa da sceneggiatura allo spettacolo.

Il libro scritto da Calcagno è un adattamento teatrale della nota vicenda narrata nella Chanson de Roland, poema della seconda metà del XI secolo. La vicenda, illustrata dallo stesso attore in una breve introduzione prima dello spettacolo, consiste nello scontro tra franchi e saraceni e nel tradimento di Gano di Magonza contro Carlo Magno che comporta il massacro di Roncisvalle, nel quale, tra gli altri, eroicamente muore il paladino Orlando.

Così come Orlando, da vero eroe, appare isolato sul campo di battaglia, anche l’attore si staglia su uno spazio scenico occupato unicamente da un’esile struttura lignea sulla quale sono disposti una riproduzione di un dipinto di Dürerraffigurante Carlo Magno, un olifante, una spada, uno stendardo e dei rametti d’ulivo. Interessante risulta il passaggio da un’illuminazione frontale alla netta controluce, che definisce, anche attraverso il suono di un’armonica a bocca che cita il celebre film di Kubrick Barry Lyndon, il momento più riflessivo e commovente dell’intero spettacolo: la morte e l’ascesa in paradiso di Orlando.

Giovanni Calcagno in "La canzone di Orlando" (foto di Dario Formica)

Giovanni Calcagno in "La canzone di Orlando" (foto di Dario Formica)

Calcagno sottolinea come nel poema medievale gli eventi storici siano stati alterati: non sono stati i saraceni a massacrare i franchi a Roncisvalle, ma un gruppo di baschi. Questa alterazione ha un’evidente funzione propagandistica nel rappresentare negativamente i saraceni, proprio negli anni immediatamente precedenti alla prima crociata. Quello che si viene a delineare è dunque uno scontro tra civiltà, che effettivamente perdura ancora oggi. Uno scontro dal quale non emergono né vincitori né vinti, come testimonia il finale aperto dello spettacolo: nonostante il terribile massacro di Roncisvalle e tutte le vite umane lì perdute, il destino di Carlo Magno è quello di continuare a combattere.

Altra dimensione estremamente interessante della performance è quella del racconto: l’autore-attore mostra estrema versatilità nel passare da momenti di lirismo alla rappresentazione della brutalità della guerra e dell’eroismo del sacrificio. Il tutto è retto da un ritmo narrativo fortemente incalzante, scandito da Calcagno sia attraverso l’uso del corpo sia tramite la modulazione della voce. La canzone d’Orlando, dunque, è un’accattivante e riuscita dimostrazione della possibilità di creare un dialogo fertile tra un classico immortale e la nostra contemporaneità.

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