La Divina commedia, la poesia che salva il lettore

Al Monastero dei Benedettini il seminario di Marco Veglia, docente dell'Università di Bologna, nell'ambito del ciclo di incontri della "Lectura Dantis Siciliana: Leggere il Paradiso"

Gaia Recupero

«Beatrice incarna la verità. Sceglie di salvare Dante, cioè l'umanità, rivolgendosi a Virgilio, alla sua parola ornata, alla poesia». Con queste parole, Marco Veglia, professore dell'Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, ha aperto l'incontro conclusivo del ciclo 2024/25 della Lectura Dantis Siciliana: Leggere il Paradiso, un'iniziativa promossa dal Dipartimento di Scienze Umanistiche.

Il docente, in particolar modo, si è soffermato sul tema Poesia e verità nel Paradiso di Dante. La riflessione trae origine dall'intuizione di Boccaccio che mette in evidenza un carattere fondamentale dell'esperienza giovanile di Dante: la promessa di una poesia per Beatrice in cui si manifesti la verità. L'intuizione trova conferma nel secondo canto dell'Inferno, in cui Beatrice, che è la sapienza incarnata, per salvare Dante, che rappresenta l'umanità, sceglie di interpellare Virgilio, la parola poetica.

Il fil rouge del Paradiso trova massima espressione nel quarto canto. «I teologi e filosofi dell'epoca - spiega il prof. Veglia - reputano la poesia una forma minoritaria di approccio alla verità. Per Dante è esattamente il contrario: Dio premia la poesia, come è possibile dedurre dal IV canto dell'Inferno, e sceglie di parlare agli uomini in un modo che sia per loro comprensibile, cioè raccontando delle storie, raccolte nella Bibbia». «La verità è silenziosa, parla attraverso la finzione. La "bella menzogna" resta vuota se fine a sé stessa, ma, se è portatrice di autenticità, assume un valore salvifico, ancor più efficace della nuda verità», ha aggiunto.

«Dante si salva perché è un lettore straordinario di Virgilio, che arriva in suo soccorso, ma non si tratta del Virgilio storico, piuttosto del Virgilio personaggio, frutto dello studio di Dante che si è nutrito della parola poetica del Virgilio autore. Beatrice è frutto della poesia di Dante, incarna la verità che determina la conversione in chi la vede, poiché bellezza e verità coincidono. Salva Dante Invocando l'aiuto di Virgilio», ha spiegato il docente.

La redenzione del genere umano scaturisce dal rapporto che instaura con la parola scritta. «Bisogna correre il rischio dell'interpretazione: il testo è sempre quello, è la domanda del lettore che fa emergere il significato che veicola rispetto al proprio vissuto», ha precisato.

La Divina Commedia è una storia che attraversa i secoli per parlarci di verità, una verità che parla a tutti e che tutti possono comprendere, una verità silenziosa che deve essere interrogata, altrimenti rimane sterile e inascoltata.

Il lettore deve costruire un rapporto con il testo per andare oltre il senso letterale e giungere a una conoscenza profonda e autentica.

Dante e il suo poema, affresco di Domenico di Michelino nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze (1465)

Dante e il suo poema, affresco di Domenico di Michelino nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze (1465)

Perché si legge la Divina Commedia ancora oggi? Perché soffermarsi sul Paradiso?

«Tutti quei temi radicali della persona umana, come amore, speranza, riscatto, libertà, fede, sono affrontati da quest'opera, e quindi accade, con Dante, quello che non accade con nessun altro scrittore: cioè la capacità di interpellare tutti, di non lasciare nessuno indifferente, nemmeno quelli che lo negano, lo contestano, o lo disprezzano», spiega il docente.

«È impossibile rimanere indifferenti a qualcuno che ha l'ambizione e la pretesa di parlare per tutti di tutte le cose più essenziali per la vita umana – aggiunge -. Il Paradiso rispetto a questo è la scommessa più forte. È più sacrificato anche nella trasmissione dell'insegnamento scolastico, però è quello di cui forse abbiamo più bisogno se è, oltre a essere spiegabile dentro le categorie della cultura, dello stile etc, anche questa "festa finale", di cui parla Emanuele Severino in riferimento al lieto fine della commedia, cioè la rivendicazione di questo accesso ad una gioia finale che in qualche modo sia la compensazione di tutto il riscatto, di tutte le miserie terrene».

Che ruolo può avere oggi la poesia?

«Se quello che abbiamo detto oggi ha un qualche fondamento, credo che il tema sia ancora quello: se si ammette che ci sia, quale che sia, una verità, in che modo può parlare agli uomini se non attraverso la parola degli uomini e delle donne – spiega il prof. Marco Veglia -. Non può parlare, coinvolgere, trascinare, convincere, consolare, o persuadere attraverso le argomentazioni della filosofia o della teologia. Servono anche queste, ma serve la poesia. Nella "Ginestra" di Leopardi la poesia è il fiore del deserto, cioè quell'ultima e possibile consolazione rispetto alla tragedia della storia. La poesia è l'ultima possibilità di coltivare quelle idealità e quelle verità che sono indistinguibili della creatura umana e senza le quali siamo condannati ad essere nulla, o a ridurci a cose, che forse è ancora peggio».

Un momento dell'incontro

Un momento dell'incontro

Qual è la verità per l'uomo contemporaneo?

«Il problema di fondo della nostra epoca è il nichilismo, questa sorta di suicidio collettivo per cui l'occidente, soprattutto, mentre riconosce i propri limiti ed errori, elimina e annienta dalla propria coscienza e dalla propria storia anche gli antidoti a questi errori e barbarie – precisa il docente -. La civiltà in cui siamo è quella che ha compiuto sicuramente tanti errori, ma li ha anche superati, ha offerto gli strumenti anche alle altre culture e alle altre civiltà per superarle. Il lieto fine della commedia ci aiuta ad avere un po' più di fiducia in questa cultura e a riconoscerne il limite».

«Anche Virgilio ad un certo punto deve tornare indietro, però è indispensabile per Dante – aggiunge -. Quel mondo è escluso dalla "festa" e dalla luce, è condannato all'errore, alla tenebra, però è indispensabile per poter arrivare a una "festa" che sia di tutta l'umanità. Se letta in questa prospettiva la commedia può ancora parlare eccome al nostro presente, addirittura, come diceva Contini, Dante è contemporaneo degli avvenire. Non siamo noi che siamo sempre in ritardo rispetto a lui, lui è sempre là che ci aspetta».

Beatrice per Dante è verità, strumento di elevazione in un certo senso. Ma al giorno d'oggi la donna chi è? Che ruolo svolge?

«È chiaro che quello che Dante ci dice è una sollecitazione importante per comprendere e ripensare a un presente così tragico e così difficile per la condizione delle donne. La verità si manifesta per Dante attraverso Beatrice che, come scrisse in un saggio importante Teodolinda Barolini, prende la parola. Nella poesia d'amore le donne non parlavano, dopo parleranno sempre: parlerà Francesca, parleranno le donne di Boccaccio», spiega il prof. Marco Veglia.

«La donna prende la parola per esprimere quel rapporto diretto con la verità, con quella che l'autore singolo ritiene essere la verità, che si rivela alle donne primariamente evidentemente. Beatrice non è solo una testimone della verità, è l'incarnazione della verità. E lo stesso saranno le creature dopo, come la Ghismonda di Boccaccio, che nella prima novella della quarta giornata del Decameron parla di libertà, di giustizia, di uguaglianza, di dignità», ha aggiunto.

«Non sono donne semplicemente protagoniste delle opere, ma sono donne che in quanto donne intuiscono ed esperimentano una relazione diretta con la verità di cui si fanno poi rivelatrici e testimoni nei confronti degli uomini che sono in grado di raccontarle, di spiegarle o di renderle poi protagoniste delle loro opere – ha precisato -. E questo naturalmente rispetto a un'epoca così barbara, spesso le prove sono purtroppo quotidiane nei confronti delle donne, credo che rappresenti una sollecitazione straordinaria. La donna ha una capacità di intuizione e di possesso della verità ed è in grado di manifestarla soprattutto agli uomini in grado di rispettarle e di farsene a loro volta testimoni».

Un momento dell'intervento del prof. Marco Veglia

Un momento dell'intervento del prof. Marco Veglia

Dante è superbo, pretende di essere il possessore dell'autenticità delle cose. Potremmo riscontrare lo stesso aspetto anche nell'uomo contemporaneo? Se Dante utilizzava la poesia come strumento, l'uomo contemporaneo oggi ricorre alla tecnologia?

«Dante è senz'altro superbo, ma è una superbia che non è come quella di alcune sue controfigure, a partire da Ulisse. è una superbia che presuppone l'umiltà di chiedere le forze per poter andare avanti. Per quanto riguarda la tecnica attuale, o paradiso che promette la tecnica, ha una sua realtà evidente: rimuove tanti ostacoli, tanti problemi. Riprendendo quanto sostiene Emanuele Severino, questo paradiso della tecnica è fondato su una scienza ipotetica», ha spiegato il prof. Veglia.

«Non è uno strumento che può risolvere la nostra angoscia, abbiamo bisogno di certezze che non possono venire da una tecnica che non può dare ciò che non è nella sua natura dare. L'eliminazione dell'angoscia avviene attraverso il ritorno a quegli immutabili che sono i fondamenti della vita umana, che sono affidati all'arte, alla religione, alla spiritualità, alle relazioni umane», precisa lo studioso

«Dante insegna anche questo – aggiunge il docente -. Certo, si potrebbe intendere anche la poesia come una forma di tecnica, è la produzione di qualcosa, però è una realizzazione che, per Dante, porta alla luce una verità che solo attraverso la poesia, quindi solo attraverso le parole degli uomini, può parlare all'umanità. Quindi non c'è soltanto la poesia che può assumere a proprio contenuto la verità in cui crede lo scrittore che la compone, è la verità che non può parlare agli uomini se non attraverso la poesia, attraverso questa forma di produzione di senso che è realizzazione in qualche modo di verità».

Un momento dell'incontro

Un momento dell'incontro

Come invogliare i giovani a leggere il Paradiso?

«Certo il Paradiso è ostico – ha sottolineato il prof. Marco Veglia -. Nell'insegnamento si insiste su ciò che allontana, quindi lo spessore teologico, la difficoltà del linguaggio etc. Sarebbe meglio insistere invece sulla Commedia come festa, come lieto fine di una storia che inizia in modo orribile, ma che può avere un riscatto finale».

«Siccome di questa festa bisogna rendersi meritevoli allora è necessario anche accettare la fatica che il testo impone, superando quegli ostacoli che consentono di comprenderne il significato – ha detto in chiusura -. È uno sforzo che è anche una forma di rispetto per il testo: se fosse così semplice da raggiungere, questa festa non sarebbe il riscatto della storia umana. Questa fatica allora permette di comprendere il senso profondo e ultimo di questa gioia, e di questa gloria finale che, almeno secondo Dante, ci attende».   

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