La furia delle donne a partire dal mito

Continua il terzo ciclo de “I lunedì del classico”. Nel nono incontro sono intervenute Silvia Romani dell'Università di Milano Statale e Loredana Cardullo, direttrice del Disfor di Unict

Carlotta Fortuna
Alcune slide proiettati nel corso dell'incontro
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Athena

“Insensata, irrazionale, furiosa”. È la donna in preda alle passioni sanguigne secondo un prototipo culturale prepotentemente imposto dalla letteratura classica, a partire da autori come Omero ed Esiodo, primi rappresentanti di una linea di scrittura dai caratteri misogini.

«Sempre contrapposta alla menin maschile, dal valore positivo, la rabbia femminile tinteggiata di scuro: espressione di valori e di modelli letterali discordanti e in buona parte promossi da autori privilegiati di una società patriarcale, la donna, seguendo il pensiero aristotelico, è debole di spirito rispetto all’uomo, per cui andrebbe collocata sotto la colonna del male, mentre l’uomo sotto quella del bene».

Con queste parole introduttive, Loredana Cardullo, docente di Storia della Filosofia Antica e direttrice del Dipartimento di Scienze della formazione dell’Università di Catania, ha aperto i lavori dell’incontro dal titolo La furia delle donne. Rappresentazioni di genere dell’ira femminile a partire dal mito, nono appuntamento del ciclo di seminari I lunedì del classico, promosso dai docenti Monica Centanni, Paolo B. Cipolla, Giovanna R. Giardina, Orazio Licandro e Daniele Malfitana.

A seguire – nell’affollata Aula A2 del Monastero dei Benedettini, sede del Dipartimento di Scienze umanistiche - l’ampia e approfondita argomentazione di Silvia Romani, docente di Religioni del Mondo Classico, Antropologia del mondo classico e Mitologia classica all’Università Milano Statale.

In apertura la docente si è soffermata su una serie di riflessioni che scaturiscono da uno dei suoi ultimi progetti editoriali, un’opera dedicata al padre della Letteratura greca, Omero. Dopo aver scandagliato attentamente esempi di autori, opere e personaggi mitici femminili, ha commentato e messo in atto parallelismi con le problematiche relative al ruolo della donna nella società attuale.

«Nei miei studi recenti ho avuto modo di esaminare un caso particolare di antica espressione dei ruoli di genere nel rapporto coniugale greco, tratta dal sesto canto dell’Iliade: sto parlando dell’episodio che inscena il commiato tra Ettore e Andromaca – ha detto la prof.ssa Silvia Romani -. Prima di lasciarsi, la donna osa suggerire al marito di fuggire da una fenditura nascosta nelle mura di Troia, atto non ammesso dal canone etico degli eroi; egli le si rivolge rispondendo di tornare a lavorare al telaio, in compagnia delle ancelle, mentre, dal canto suo avrebbe continuato il conflitto».

Le docenti Loredana Cardullo e Silvia Romani

Le docenti Loredana Cardullo e Silvia Romani

«Il tema fondamentale emerge a partire dal confronto con Plutarco, il quale, in un passaggio della Vita di Bruto, descrive il commiato tra quest’ultimo e la moglie Porcia, che si è svolto diversamente: ella si appresta a salutare il marito, che non tornerà più, poi osserva di fronte a sé un affresco che rappresenta proprio Ettore e Andromaca mentre si salutano, scoppia in lacrime – ha aggiunto -. Bruto, invece, è in compagnia di un amico che canta quei famosi versi di Omero per invitarlo a salutare la moglie allo stesso modo di Ettore, ma costui risponde che non potrebbe mai rivolgerle quelle parole perché ella è dotata della stessa forza di un uomo».

A seguire la docente ha analizzato uno dei capitoli del saggio Restraining rage dell’autore William V. Harris evidenziando il riscontro con la politica femminista attuale per cui ci si chiede ancora se la rabbia femminile sia una questione di legittimità.   

Proprio in Italia, il 9 maggio scorso, all’evento annuale Stati Generali della Natalità, la ministra Eugenia Roccella, nel corso dei saluti istituzionali, è stata bruscamente privata della parola da un collettivo femminista che divulgava con forza lo slogan Sul mio corpo decido io, in merito alla questione sulla regolarizzazione della legge 194 sull’aborto.

La ministra, nel lasciare la parola, ha risposto alle critiche sottolineando che “ai miei tempi il femminismo era altro e credo che questa forma di espressione di rabbia non sia legittima” e ha definito l’accaduto un “atto di censura”. Il rapporto che le donne hanno coi sentimenti forti, dunque, è tutt’altro che risolto, poiché è considerato da sempre conflittuale.

«Le donne antiche avevano il diritto di sfogare l’ira e l’impeto delle passioni? Probabilmente no, secondo la letteratura – ha proseguito la docente -. Il loro stato d’animo era oggetto di scredito e di burla».

«Esemplare è la Satira delle donne di Semonide di Amorgo, che delinea sette diversi modelli femminili sulla base di differenti caratteri: la scrofa, la volpe, la cagna, di terra, di mare, l’asina, la donnola, la cavalla, la scimmia e l’ape – ha spiegato -. Chiaramente si tratta di immagini riconducibili al mondo animale e con significati negativi, ad eccezione dell’ape, che è considerata modello ideale».

«Sono, inoltre, altri gli autori che forniscono una propria visione della rabbia femminile, come Senofonte, Giovenale e Livio – ha aggiunto la prof.ssa Silvia Romani -. Quest’ultimo, in particolare, riporta nella sua opera Ab Urbe condita libri, due episodi significativi, ovvero il ratto delle Sabine e lo stupro della matrona romana Lucrezia ad opera di Sesto Tarquinio».

Il pubblico presente in aula

Il pubblico presente in Aula A2 al Monastero dei Benedettini nel corso dell'incontro

«Nel primo le Sabine piangevano di orrore e di piacere, ma non potevano provare ira o ribellarsi alla violenza e alla fine scelgono di essere loro stesse il bersaglio fisico contro cui dovrebbero volgersi anche le ire dei parenti, ovvero i padri e i fratelli decisi a entrare in guerra contro i Romani. Perciò propongono di essere uccise al posto dei loro violentatori, ormai mariti», ha detto la docente dell’Università Statale di Milano.

«Nel secondo esempio, lo stupro della matrona romana Lucrezia ad opera di Sesto Tarquinio, si evidenzia come Lucrezia, dopo aver subito l’abuso sessuale, il giorno successivo, si sarebbe data la morte colpendosi con un coltello per simboleggiare che dopo di lei nessun’altra donna avrebbe dovuto subire un tale disonore», ha aggiunto.

La docente, inoltre, ha ripreso la versione shakespeariana The rape of Lucrecia, in cui la donna, prima di versare il suo sangue, afferma: “Fa’ che le donne più gentili perdano a causa sua ogni gentilezza, e divengano, nella loro bruta ferocia, più feroci come tigri”.

Tornando ad Omero, nell’incipit dell’Iliade, per esprimere l’ira di Achille, egli utilizza la parola menin. «Una parola che non esprime un’emozione irruenta e poco razionale, ma coltivata e meditata, tenuta sotto controllo, dunque, per questo legittima – ha spiegato la prof.ssa Silvia Romani -. La menin di Achille ha uno scopo, cioè quello di dare avvio al poema. Non si tratta, dunque, di una passione legata alle viscere, al corpo, e alla sessualità, come quella che porterebbe “due donne infuriate” in aspro litigio a uscire di casa e a “scambiarsi insulti e minacce”. Similitudine ripresa nello stesso poema, durante il confronto con Ettore, ma è fortemente vincolata al canone etico del guerriero».

«Che le donne uscissero fuori dall’ambiente domestico e scendessero nelle vie per dare sfogo ad impeti di rabbia era considerato dall’ordine pubblico motivo di turbamento dei costumi: Euripide nelle Baccanti dipinge un ritratto bestiale delle seguaci di Dioniso, di donne che diventano violente come animali senza controllo e che, dopo essere uscite di casa e aver celebrato i riti, si danno alle razzie per la città contro gli uomini e i bambini. Penteo, infatti, viene ucciso dalla sua stessa madre, Agave, che ne infilza la testa sul tirso», ha raccontato la docente.

Ma gli antichi si sono occupati tanto di ira femminile, al punto da renderla strumento di omicidi lucidamente premeditati. «Marguerite Yourcenar nell’opera Fuochi ci restituisce un’immagine innovativa di Clitemnestra, moglie di Agamennone: donna forte e vendicatrice spietata, che sfoga il dolore per la morte della figlia Ifigenia, contro Agamennone, suo assassino e padre», ha spiegato.

La rabbia femminile, dunque, diventa un discorso politico, quotidiano, culturale, che ci invita anche a riflettere non solo sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti ma anche sulla funzione del corpo, scenario ideale in cui questi si combattono a vicenda, e che viene plasmato costantemente fino ad indurirsi e divenire corazza.

Un momento dell'intervento della prof.ssa Silvia Romani

Un momento dell'intervento della prof.ssa Silvia Romani

«Sono tre i casi interessanti in cui si assiste ad un genere di trasformazione del corpo femminile che lo porta a divenire “altro” rispetto a sé stesso – ha proseguito Silvia Romani -. Il primo è il caso di Aglauro, figlia del sovrano di Atene, Cecrope, menzionata nel secondo libro delle Metamorfosi di Ovidio. Il mito narra che costui ha ricevuto dalla dea Minerva il compito di custodire una cesta dove giaceva dormiente il figlio Erittonio, nato dall’abuso della dea da parte del dio Vulcano, con la raccomandazione di non scoperchiarla mai. Tuttavia, Aglauro, a causa della curiosità, disobbedisce al padre; inoltre, ella è anche invidiosa della sorella Erse, poiché il dio Mercurio desidera prenderla in sposa. Alla fine, la dea Atena, per punirla interpella la dea Invidia, che la trasforma in pietra. Dunque, il corpo della fanciulla viene vinto dalla passione senza controllo dell’invidia».

«Il secondo caso è quello della nascita della dea Atena – ha aggiunto -. Ella, diversamente da Afrodite, dalle morbide e delicate membra, nasce già corrazzata, cioè difesa da ogni tipo di violenza esterna».

«L’ultimo caso è quello di Cenide, personaggio di cui ci parla sempre Ovidio nelle sue Metamorfosi – ha aggiunto -. Cenide è una fanciulla originaria della Tessaglia che rigetta in ogni modo il matrimonio. Tuttavia, sarà proprio questa volontà, grande errore per la sua epoca, a condurla tra le braccia del dio Nettuno, il quale, invaghitosi di lei, le esercita violenza. Ma alla fine dell’atto, questo le concede di esprimere un desiderio, allorché la ragazza risponde di non voler subire mai più una cosa del genere. Nettuno, dunque, la trasforma in uomo. Cenide, ormai Caeneo, è divenuta forte, dotata di un corpo muscoloso che le fa da corrazza di fronte alle insidie dei Centauri».

Proprio la “corrazza” diventerà la pietra miliare nello sviluppo della teoria femminista post umanista. In chiusura di intervento la prof.ssa Silvia Romani ha precisato che «il problema del corpo femminile, nella prospettiva patriarcale e sessista, è la permeabilità, che non gli garantisce alcuna protezione».

«Per questa ragione, la studiosa statunitense, Donna Haraway, caposcuola della teoria cyborg, ha ideato un manifesto femminista, che prevede la creazione di un tecnosoma, composto da materiali resistenti e impermeabili, che assimilerebbe la donna quasi ad un personaggio del mondo dei manga giapponesi – ha detto la docente -. Famosa la serie fantascientifica Ghost in the shell».

The cyborg body

The cyborg body, Donna Haraway