Alla libreria Feltrinelli di Catania si è tenuto un incontro in cui si è discusso sul libro "Le origini del totalitarismo" pubblicato da Einaudi
Nei locali della libreria Feltrinelli di Catania si è tenuto il secondo appuntamento del ciclo Conversazioni sulla democrazia. Libri e idee in dialogo. Protagonisti dell’incontro i professori di Filosofia del diritto Alberto Andronico dell’Università di Catania e Alessio Lo Giudice dell’Università di Messina che hanno presentato e commentato il libro di Hannah Arendt Le origini del totalitarismo, guidando il pubblico in un’analisi delle dinamiche politiche e culturali che rendono ancora oggi attuale il pensiero arendtiano.
“Questo libro - ha spiegato il professore Alberto Andronico – è da leggere oggi per capire qualcosa non solo sul nostro passato, capire da dove veniamo, ma anche sul nostro presente, per diagnosticare alcuni “pericoli” che stiamo correndo, e capire anche qualcosa sul nostro futuro”.
Hannah Arendt è nata nel 1906 da una famiglia ebrea ad Hannover, dopo gli studi universitari fu costretta ad abbandonare la Germania per motivi politici, poi si trasferì a New York. È stata una storica, filosofa e politologa tedesca naturalizzata statunitense.
Il suo libro Le Origini del Totalitarismo, pubblicato dopo la Seconda Guerra Mondiale, fu una delle più importanti opere storico-politiche del Novecento. La Arendt propose di analizzare le origini del totalitarismo e indagare sugli elementi che hanno favorito l’arrivo del “male radicale”.
“Hannah Arendt – ha continuato il professore Andronico – nel suo libro ha avuto un’intuizione su un evento unico, non ha inventato una nuova parola, che invece era già stata usata da Mussolini parlando di “Stato totalitario”, ma ha inventato un nuovo concetto, questa è l’intuizione fondamentale del libro: La Arendt nel suo libro scrive che il totalitarismo è una forma politica radicalmente nuova nella storia dell’occidente. Per capirlo, bisogna togliere dalla testa la dittatura, la tirannide e il dispotismo, ci sono delle somiglianze, ma il totalitarismo è qualcosa di diverso. Quindi Hannah Arendt offre per la prima volta una chiave di comprensione del suo presente”.
I docenti hanno spiegato che il libro della Arendt è stato molto controverso e discusso tutt'oggi. “Inventandosi questo nuovo concetto, cioè il totalitarismo come una nuova forma di governo irriducibile a quella tradizionale, fa arrabbiare tutti perché tira fuori una tesi che è stata molto discussa, lei scrive che di regimi totalitari ne abbiamo visti due, il Nazismo e lo Stalinismo. Dire questo nel 1951 non è scontato, le due forme di regime politico vengono equiparate”, hanno spiegato.
“Un altro punto controverso di questo libro è che la Arendt afferma che il fascismo non è stato un regime totalitario, perché, scrive la Arendt, il fascismo era uno “Stato forte”, uno sviluppo possibile di un sistema totalitario, ma la differenza con i regimi totalitari è che essi non sono “Stati forti” ma “Stati vuoti”, e qui – afferma il professore Andronico – c’è del genio, perché il potere, nel regime totalitario, sta da qualche altra parte, in luoghi che sono sostanzialmente privi di forme, non si vede, il potere può arrivare dappertutto, ed è questo che genera terrore, non solo paura”, hanno aggiunto.
“Ogni volta che leggo la Arendt io respiro libertà, è una donna che aveva una capacità chirurgica di comprendere il proprio presente”, ha precisato il professore Andronico.

Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt
“La tesi concettuale di fondo del libro – ha spiega il professore Alessio Lo Giudice – è che il totalitarismo si costruisce come forma politica attorno a due caratteristiche: il terrore come essenza, non come strumento, e l’ideologia come principio di azione. Mentre la tesi storica è la radicale novità rappresentata da questa forma politica. Analizzare questi due principi è interessante per capire in che termine il presente debba essere letto anche attraverso questa griglia critica”.
I docenti hanno poi discusso la differenza tra regime autoritario e totalitario, spiegando perché il totalitarismo rappresenta una forma di potere radicalmente nuova.
“La novità di questa forma politica è che il totalitarismo ambisce ad impadronirsi dell’anima dell’individuo – ha continuato il professore Lo Giudice – il regime autoritario invece, è tendenzialmente indifferente rispetto a ciò che accade all’interno dell’individuo, ciò che conta, per il regime autoritario, è una conformità esteriore dei comportamenti in relazione alla volontà della linea politica”.
“Il regime autoritario sicuramente comporta una restrizione evidente della libertà, è invece secondaria la questione relativa alla coscienza individuale, questione che invece è fondamentale nella logica totalitaria: è necessario qui avere persone che avendo perso la logica stessa del pensiero critico, sono confini testimoni dell’ideologia attraverso il coinvolgimento, per questo è molto importante, più che nell’autoritarismo, la propaganda, la manipolazione mediatica – ha precisato il docente dell’ateneo messinese -. Pertanto, se noi oggi vogliamo leggere attraverso questa griglia critica alcune tendenze del presente, dobbiamo concentrarci necessariamente su queste caratteristiche del totalitarismo che è volto a invadere”.

In foto da sinistra Alessio Lo Giudice, Marco Mazzone e Alberto Andronico
Perché avete scelto proprio questo testo di Hannah Arendt per una conversazione sulla democrazia?
“Una delle lezioni che si trova in questo testo è che il totalitarismo non è una minaccia esterna rispetto alla democrazia, ma è una sorta di perversione sempre possibile, per cui parlare di crisi della democrazia significa anche confrontarsi con questo fantasma – ha ribadito il prof. Andronico -. Ci sono dei rischi perché la Arendt dice che l’uomo, “l’uomo massa”, cioè l’uomo impolitico, isolato, ha reso possibile il regime totalitario”.
“Al tramonto dello Stato-nazione, che cade quando la Borghesia diventa una classe politica, il capitale ha bisogno di nuova forza lavoro, nuovi territori, e il territorio-Stato, che era una forma che in qualche modo ha tenuto a freno alcune potenze, gli sta stretto, si accompagna il tramonto delle classi, che sono dei principi di organizzazione, cioè di luoghi in cui l’uomo può trovare il senso della propria esistenza, e li emerge la massa, che è composta da individui atomizzati, che proprio in quanto isolati, privi di radicali convinzioni politiche, sono facilmente preda di un regime di quel tipo”, ha aggiunto.
“Perché proprio quel loro isolamento li rende delle prede perfette per chi vuole confondere la realtà dalla finzione. La Arendt sostiene che quello che viene meno nella massa atomizzata, è il buon senso – ha precisato il docente dell’ateneo catanese -. Perché il buon senso è legato a rapporti, a legami. Un regime diventa totalitario quando il terrore non è un mezzo, come la paura, ma il fine. Potenzialmente la massa esiste in ogni paese e forma la maggioranza della folta schiera di persone politicamente neutrali, che non aderiscono mai a un partito e fanno fatica a recarsi alle urne, cioè l’astensionismo. Quindi parlare delle origini del totalitarismo è importante perché è un clamoroso esempio di “crisi della democrazia”, la Arendt ci avverte, con questo libro, sul fatto che ci sono dei germi totalitari in ogni democrazia, che il rischio è sempre possibile”.
Secondo voi, dopo tutto ciò che hanno visto e vissuto i nostri bisnonni, esiste ancora il rischio che un regime totalitario possa riaffermarsi?
“Essendo un professore e svolgendo attività con i ragazzi, vedo in alcuni casi che ci sono delle mancanze di consapevolezze che derivano proprio da una mancata trasmissione – ha asserito il professore Lo Giudice - e più si va avanti, più rischia di essere presente la minaccia e li rischiano di mancare degli anticorpi, non rispetto all’ipotesi di una ripetizione della storia, ma rispetto a certe tendenze che possono concretizzare in maniera totalmente inedita, nuova, non prevedibile e neanche comprensibile, alcuni principi che nel testo di Hannah Arendt sono stati evidenziati”.
Il docente dell’ateneo messinese ha concluso con una riflessione sul presente, in particolare sulla Rivoluzione Digitale, affermando che “l’uomo massa, oggi, è l’essere umano digitale”.
“Qualsiasi potere che vuole oggi imporre un’ideologia, non lo fa nelle piazze, in un convegno, ma usa altri strumenti – ha aggiunto -. Indagare il senso della Rivoluzione Digitale che ci caratterizza, oggi, è importante. A differenza di ciò che poteva avvenire in quel contesto, noi ora siamo di fronte a logiche e sistemi comunicativi, linguaggi, sempre più introiettati nell’individuo, che consentono davvero di impadronirsi dell’anima, cioè di condizionare profondamente il pensiero, la modalità del pensiero, che è la vera ambizione del tipo totalitario”.
Il suddito ideale del regime totalitario, non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso, non esistono più - Hannah Arendt