“La lupa” e “Il berretto a sonagli”: un binomio di critica sociale e di genere

I sipari del Teatro Massimo Bellini di Catania si sono aperti per dare vita alla prima rappresentazione scenica della novella verghiana e, alla prima esecuzione assoluta, della commedia pirandelliana

Giada Apa
Fotografie e vestiti d'epoca
Fotografie d'epoca
Un vestito d'epoca
Una scena dello spettacolo
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Gli attori ricevono gli applausi del pubblico

La maestosa composizione musicale, affidata al genio di Marco Tutino, e la visionaria direzione scenica di Davide Livermore (vai alla video intervista), hanno congiuntamente elevato la serata a un evento di incomparabile originalità e prestigio.

I due melodrammi, ciascuno articolato in un atto e due quadri, traggono ispirazione dall’immortale prosa di Giovanni Verga e dalla penetrante drammaturgia di Luigi Pirandello

La Lupa e Il berretto a sonagli, due opere emblematiche che, pur nella loro diversità, formano un binomio potente nella critica verso la società e nella riflessione sul tema del femminicidio.

Entrambe esplorano le dinamiche del potere, i ruoli di genere e la violenza, sia fisica che psicologica, esercitata nei confronti delle donne, offrendo uno spaccato incisivo e ancora fortemente attuale delle problematiche legate alla figura femminile.

Nel dramma “La lupa”, la musica assume un ruolo cruciale, accompagnando con maestria ogni gesto e ogni sguardo, trasformandosi in protagonista e narratrice dell’azione scenica.

Una scena dello spettacolo

Questa funzione si intreccia strettamente con la straordinaria sceneggiatura del registra Davide Livermore, noto per il suo approccio innovativo nell’utilizzo della tecnologia dei ledwall negli allestimenti scenici, arricchendo ulteriormente la narrazione e l’espressione visiva.

Ci troviamo di fronte a un cambio di panorama culturale, una rinnovata percezione emotiva, che reinterpreta le narrazioni verghiane contestualizzandole all’interno del contesto urbano di una città italiana degli anni ’60.

La lupa, interpretata dalla cantante lirica georgiana Nino Surguladze, lasciva e ammaliatrice appena entra in scena tutto sembra andare a rallentatore, i personaggi presenti, prima dinamici si fermano cercando di evitare il contatto visivo con La lupa che spavalda non cela il suo viscerale desiderio per Nanni.

Il colore rosso emerge prepotentemente nella scenografia, segnando l’arrivo della Lupa e richiamato da dettagli significativi come il suo foulard, la cintura e le scarpe.

Una scena dello spettacolo

Questa scelta cromatica non è casuale, ma simbolica, poiché il rosso, tradizionalmente associato alla passione, avvolge e definisce il personaggio, sottolineando la sua intensità emotiva e la sua vitalità indomabile. Sapiente il libretto di Giuseppe di Leva, con parole forti e coincise, ha donato una dimensione essenziale ma fortemente incisiva dove la musica è il primo elemento veicolatore di emozioni e narrazioni. 

“Mi hai lasciato venire vicino fino a quando mi hai dato un coltello e mi hai detto: su strappati il cuore! Ora dimmi chi è il lupo tra noi…”, così esordisce La lupa mettendo in chiaro la cruda realtà e smascherando il carnefice: Nanni. Nel ruolo interpretato da Sergio Escobar, il personaggio si configura simultaneamente come aguzzino e vittima di un’affascinante passione della quale non trova scampo, giungendo, infine, alla resa con la confessione: «Credevo che una vita normale potesse ingannare il destino».

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Un destino implacabile che si fa strada con forza sulla scena, dove la Lupa porge la pistola a Nanni. Quest’ultimo, travolto dalla disperazione, la rivolge contro la donna: un bagliore, poi l’oscurità avvolge tutto, e il suono di uno sparo rompe il silenzio. Magistrale Irina Lungu, nel ruolo di Mara, anima buona e triste. La Lupa dopo più di tre decenni trova una degna accompagnatrice sulla scena ne “Il berretto a sonagli”.

Mentre La Lupa narra di una donna vittima di violenza che canalizza il proprio dolore in un'esplosione di istinti, Beatrice Fiorica – interpretata da Irina Lungu – figura centrale de Il berretto a sonagli di Tutino, emerge come vittima delle oppressioni e delle violenze di una mafia nascente, che nei primi decenni del XX secolo inizia a radicare la sua presenza in Sicilia e oltre. 

Questa reinterpretazione si distacca dall’opera di Pirandello, non solo per l’ambientazione temporale ma anche per le modifiche apportate alla trama; ci si avventura di conseguenza oltre i confini delimitati dall’autore pur mantenendo il significato ultimo.

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La regia di Davide Livermore si conferma anche qui straordinaria, offrendo momenti in cui il silenzio stesso diviene espressione potente, quasi a parlare per i personaggi, e guidando ogni scena con un’attenzione meticolosa allo sfondo, in perfetta armonia con la ricercata musica di Marco Tutino. Originale e profondo il libretto modellato da Fabio Ceresa.

Il suono distintivo del “driin” del campanello segna l’entrata in scena di nuovi personaggi e anticipa rivolgimenti narrativi, il tutto sottolineato da mutamenti scenografici che ampliano l’atmosfera drammatica, come l’emergere di tuoni e nuvole quando Beatrice rivela al segretario Ciampa – interpretato da Alberto Gazale – il tradimento della moglie.

Non mancano momenti di ilarità siciliana grazie a Spanò – interpretato da Rocco Cavalluzzi – e al suo sottoposto. Al centro del dramma si erge, in realtà, la verità: ardentemente ricercata da Beatrice e deliberatamente ignorata dagli altri personaggi.

Tale è l’evitamento di questa verità, che quando Ciampa ne parla, tutti gli altri personaggi voltano le spalle, rifiutandosi di ascoltare.

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Il tintinnio del berretto del giullare risuona sovente durante le scene come simbolo implacabile di una realtà umiliante e intrisa di falsità. Sul finire dell’opera, Beatrice, offre una performance potente e commuovente in cui denuncia la codardia generale.

In risposta i personaggi posti dietro di lei cadono uno ad uno a terra, mentre la stanza si allontana visivamente in un sorprendente effetto scenico. Improvvisamente, l’ambiente si tinge di rosso, lasciando soltanto Ciampa in piedi.

Infine, quando Beatrice decide di perdere «l’onore e conservare la vita» ritirando la sua denuncia, tutti i personaggi si rialzano e progressivamente appaiono sullo sfondo i nomi di donne vittime di mafia e femminicidio, in un finale simbolico e straziante che lascia il pubblico senza fiato.

Tale occasione, ardente omaggio alla cultura e all’arte, è stata commissionata dal Teatro Massimo Bellini di Catania, confermando il suo impegno nell’arricchire il panorama culturale con opere di sublime bellezza e profonda riflessione.

Anche in questa circostanza, il teatro si rivela essere un luogo di rappresentazione artistica a tutto tondo mettendo in mostra dei cimeli delle opere rappresentate.

I ringraziamenti del pubblico