La malattia e il suo rapporto con il potere

Continua il terzo ciclo de “I Lunedì del classico”. Nel decimo incontro sono intervenuti i docenti Francesco Galassi, Luigi Ingaliso e Orazio Licandro 

Carlotta Fortuna

Che peso ha la patologia nella vita politica ed è possibile strumentalizzarla a proprio vantaggio?

Ci forniscono una risposta gli antichi partendo dalla tradizione storiografica su Giulio Cesare fino ai giorni nostri con un riferimento alle invettive che Donald Trump rivolge ai suoi avversari politici, durante le campagne elettorali.

Il decadimento fisico e psichico, nelle sue diverse forme, ha avuto nel corso dei secoli molteplici manifestazioni e valori simbolici: ad esempio, nell’antica Roma, era considerato uno stato che accomunava la sostanza umana con quella divina, in quanto mezzo usato per definire i connotati di un potere “straordinario”, mentre nel Trecento boccacciano viene visto come preludio di una morte devastante e contagiosa.

Ai giorni nostri, invece, in seguito alla pandemia da Covid-19 e con la propaganda politica americana, acquisisce entrambe le definizioni.

Ciò ha costituito il tema oggetto di discussione di speculazione tra i docenti Francesco M. Galassi dell’Università di Łódź in Polonia insieme con Luigi Ingaliso e Orazio Licandro dell’Università di Catania nel corso dell’incontro dal titolo La malattia e il suo rapporto con il potere, da Giulio Cesare a Donald Trump.

Il seminario è stato inserito nell’ambito del terzo ciclo de I lunedì del classico, al decimo appuntamento, promosso dai docenti Monica Centanni, Paolo B. Cipolla, Giovanna R. Giardina, Orazio Licandro e Daniele Malfitana.

A prendere la parola, in apertura dei lavori nell’Aula A2 del Monastero dei Benedettini del Dipartimento di Scienze umanistiche, è stato il prof. Luigi Ingaliso che ha offerto una prospettiva legata alla gestione delle pandemie da parte dei governi, concentrandosi, in particolare, sulla trattazione cinquecentesca di Gian Filippo Ingrassia, ed evidenziando come il ruolo del medico sia stato determinante e influente nella politica.

«Medicina e potere sono sempre state legate nell’ambito della gestione delle pandemie – ha detto -. Si comincia a parlare di questo rapporto già a partire dalle trattazioni del XVI e XVII secolo, ovvero quando le malattie che tendevano a diffondersi maggiormente erano la peste, il vaiolo e la sifilide».

In foto da sinistra i docenti Orazio Licandro, Francesco M. Galassi e Luigi Ingaliso

In foto da sinistra i docenti Orazio Licandro, Francesco M. Galassi e Luigi Ingaliso (foto di Carlotta Fortuna)

«Nello specifico, la peste, nelle sue varie tipologie - bubbonica, setticemica, polmonare primaria, cutanea - ha avuto un ruolo fondamentale per la ridefinizione della quotidianità – ha aggiunto -. Un morbo già esistente in età antica descritto in tutti i manuali di medicina come sintomatologia di un male sconosciuto, per molti arrecato agli uomini dalla volontà divina».

«Nella Firenze di Boccaccio, invece, si cercano delle giustificazioni più definite, che spaziano oltre la fantasia,  come l’influenza degli astri, finché non si arriva alla formulazione della teoria miasmatico-umorale, che si sviluppa a partire dall’umoralismo di Ippocrate e Galeno, secondo la quale le malattie infettive si originavano dalla diffusione nell'aria dei cosiddetti miasmi, dai quali prendevano corpo delle particelle velenose che entravano in contatto con l'uomo – ha proseguito il prof. Ingaliso -. Vi era la credenza che il funzionamento del corpo fosse legato ad un equilibrio stabilito tra parti, gli umori, ovvero di sangue, flegma, bile gialla e bile nera: era proprio lo squilibrio, cioè l’accumulo di questi in diverse zone del corpo che provocava le malattie».

Successivamente, per spiegare lo sviluppo delle epidemie gli storici si sono basati sul rovesciamento della fisica ippocratico-galenica, sulla consultazione di opere classiche e sulle nuove scoperte scientifiche che definiscono una nuova filologia anatomica.

«Basti pensare che Ambrogio Traversari ha tradotto in latino la Vita di Epicuro, Poggio Bracciolini ha riscoperto il De rerum Natura di Lucrezio, altri studiosi hanno ripreso persino la teoria scolastica dei Minima naturalia di Aristotele, divenuti oggetto di future speculazioni e rielaborazioni – ha aggiunto -. Importanti saranno le teorie settecentesche che confluiscono sotto la denominazione di “corpuscolarismo” che mettono in contatto l’atomismo greco con il meccanicismo moderno di pensatori come Cartesio».

La peste

La classificazione clinica della peste (foto di Carlotta Fortuna)

È partendo da questo importante scienziato, Cartesio, che rivoluzionò la concezione atomistica della realtà, attraverso l’introduzione di formule matematiche e riflessioni scientifiche, che vengono elaborate nuove teorie che porteranno ad una comprensione della realtà sempre più scientifica: per cui, sarà premura di molti investigarne le cause, soprattutto quelle legate alle calamità naturali come le epidemie.

Infatti, già a partire dal XVI secolo gli atomi, definite particelle malate, diventano i protagonisti di trasmissione, tramite il contatto, e diventano oggetto di trattazione.

«Fondamentali sono le testimonianze di Girolamo Fracastoro, autore di De contagione e dell’allievo Gian Filippo Ingrassia, che compose Informatione del pestifero et contagioso morbo – ha spiegato il prof. Ingaliso -. L’opera di Ingrassia è un trattato che fornisce la cronaca attenta e puntuale degli eventi sanitari e sociopolitici del suo tempo, adducendo come esempio la pestilenza di Palermo, e analizza la teoria in base alla quale le congiunzioni astrali legittimano le pandemie -l’obiettivo era ricavare una causa occulta, identificata con la volontà divina».

«Il suo pensiero poggia le basi sul contrasto con le teorie di Ippocrate e di Galeno, in quanto sostenevano che la vera causa della peste era la corruzione dell'aria, la quale dovesse essere purificata con il fuoco, mentre il corpo infetto con la triaca; Ingrassia arriva alla conclusione che la peste non sia sorta spontaneamente in città ma che sia giunta da lontano e che a generare la patologia non è semplicemente l'azione dell'agente infettivo, ma anche la predisposizione individuale», ha proseguito.

«Al tempo stesso fornisce consigli e disposizioni per prevenire il morbo – ha aggiunto -. Era necessario da parte dell’autorità politica mettere in atto misure di isolamento e di purificazione, attraverso tre mezzi come l'oro, la forca e il fuoco; inoltre, era necessario imporre l’obbligo di denuncia, la chiusura di luoghi pubblici e severe sanzioni ai non osservanti».

Un momento dell'intervento del prof. Luigi Ingaliso

Un momento dell'intervento del prof. Luigi Ingaliso (foto di Francesca Prado)

«Importante interpretazione della eziopatogenesi della peste ci viene fornita dal pensiero di Giovan Alfonso Borelli, che trae origine dalla speculazione sulle teorie cartesiane: gli atomi sono ciò che costituisce ogni corpo e incessantemente entrano in contatto tra loro, dando vita e spiegando fenomeni della natura, come il sorgere delle malattie – ha spiegato il prof. Ingaliso -. Rispetto a Cartesio, tuttavia, cambia la sua prospettiva, per cui gli atomi non infettano secondo la propria qualità e quella del soggetto, ovvero la predisposizione, ma per la loro quantità, cioè per la dimensione».

In chiusura il docente dell’ateneo catanese ha aggiunto che «riprendendo i temi affrontanti da Ingrassia, si evince, come, attraverso un parallelismo con la gestione della pandemia da Covid-19, sia stata instaurata una dittatura sanitaria, che vede i medici al potere, come dei nuovi sovrani».

«I sovrani, infatti, fanno ordinare l’organizzazione della società e delle pene giudiziarie ai trasgressori, sfruttano l’epidemia come pretesto per ridisegnare intere città», ha concluso il prof. Luigi Ingaliso.

A seguire l’intervento del prof. Francesco M. Galassi che ha proposto una chiave di lettura innovativa sul rapporto tra malattia e potere, nell’ambito della lotta politica tra personaggi illustri, instaurando un legame tra medicina e scienze umanistiche.

In particolar modo ha analizzato come, in questo contesto, una cattiva condizione psico-fisica possa essere strumentalizzata per ottenere un vantaggio competitivo sull’avversario: noto è il caso di Giulio Cesare con la sua presunta epilessia, che è poco attestata storicamente, ma che torna utile ai suoi successori, acquisendo così la definizione di “malattia sacra”.

La peste tra antichità e medioevo

La peste tra antichità e medioevo (foto di Carlotta Fortuna)

«Di recente il mio lavoro e la mia curiosità intellettuale mi hanno condotto ad approfondire una tematica abbastanza controversa: la patologia dei grandi uomini politici dell’antichità – ha racconta il prof. Galassi -. Ad ispirarmi, in origine, è stato un famoso film del ’63, di Joseph L. Mankiewicz, dal titolo “Cleopatra”. In particolare, c’è una scena che mi ha fatto riflettere: quando, ad un certo punto, Cesare si pone a fissare una statua dritta negli occhi e, subito dopo, afferma di non percepire alcuna forma di espressività».

«Questa considerazione è logicamente comprensibile, perché, effettivamente, i grandi personaggi di rilievo ci sono giunti attraverso delle statue, incorruttibili e senza difetti, quasi immortali – ha aggiunto -. In quanto medico e studioso, non potevo sottrarmi di fronte ad una tale sfida, per cui ho cominciato a consultare numerosi testi, soprattutto opere classiche, deposti sugli scaffali delle più prestigiose biblioteche d’Europa: ho persino intrapreso un viaggio formativo verso Oxford».

«Emblematica è proprio la trattazione della figura politica di Giulio Cesare – ha proseguito il prof. Galassi -. In alcune fonti è emerso che il fermo e controllato dittatore soffriva di epilessia. Tuttavia, nella tradizione questa malattia non è diffusamente attestata e, nel suo caso, non viene nemmeno descritta nel dettaglio. Sono pochi gli autori che ne fanno menzione, come Plutarco e Shakespeare. Mentre Svetonio al contrario sostiene che per buona parte della sua vita godette di ottima salute, se nonché per due volte fu colpito dal morbo comiziale».

E continuando il suo intervento, il prof. Galassi ha operato un’accurata anamnesi. «Il morbo comiziale non è quasi nemmeno definibile come una patologia, ma è piuttosto un “accadimento” che solitamente si verificava durante la pubblica assemblea – ha detto -. Il soggetto, in preda all’emozione o alla stanchezza, sveniva e qualsiasi provvedimento preso in quel momento veniva automaticamente sospeso perché si riteneva che su questa interruzione avesse avuto una forte influenza la volontà dei lumi».

Un momento dell'intervento del prof. Francesco M. Galassi

Un momento dell'intervento del prof. Francesco M. Galassi (foto di Francesca Prado)

«Diversa è, invece, l’epilessia, patologia vera, che aveva un valore particolarmente ambiguo – ha aggiunto -. Si pensava che chi ne fosse affetto, in genere, fosse stato maledetto dagli dèi e per questo doveva essere allontanato dalla comunità. Tuttavia, nel momento in cui ad esserne affetto era un uomo politico, questo poteva sfruttare tale condizione a suo vantaggio, cambiando, di fatto, la percezione stessa della malattia: nella classe elevata la persona epilettica era tale perché vicina alla natura divina. E lo si spiega anche perché viene istituito il culto di Cesare, elevato a dio. Si eleva così la sua immagine che acquisisce contorni eccezionali».

Ad ogni modo, è incerta la patologia di cui soffriva Cesare, ma è attestato dalla maggior parte delle fonti che non godeva di buona salute.

«Una volta, ad esempio, prima di riunire l’assemblea, all’ingresso dei senatori, Cesare non si alzò, in quel contesto alzarsi significava offrire un gesto di saluto – spiega il prof. Galassi -. Ciò appare insolito, per cui cominciano a circolare tra i membri della classe al potere diverse interpretazioni sulle possibili cause: alcuni ne individuarono una mancanza di rispetto volontaria, altri un legame con la salute. La tradizione sul suo decadimento è alimentata dagli stessi aristocratici che assistevano a scene del genere, ma anche dallo stesso Cesare, che ne faceva uso per manipolare i suoi avversari politici».

«Tuttavia l’uso della malattia nella propaganda politica non veniva utilizzata solamente nel mondo antico: nel contesto dei giochi di potere attuale è rilevante il caso di Donald Trump, che, durante la campagna elettorale del 2024 per la designazione del prossimo presidente d’America, come nelle precedenti, schernisce il suo avversario facendo leva su debolezze fisiche e mentali», ha spiegato.

Un momento dell'intervento del prof. Orazio Licandro

Un momento dell'intervento del prof. Orazio Licandro (foto di Francesca Prado)

«Ad esempio durante le elezioni del 2016 Trump ha deriso in televisione l’altra candidata, Hilary Clinton, imitandola e facendo finta di non sapersi reggere in piedi, come in preda ad un ictus – ha proseguito il prof. Galassi -. Nelle elezioni del 2020-2024, invece, ha puntato Biden per non essere stato capace di scendere dal palco dei relatori e a chiusura del suo discorso ha aggiunto che “non è adatto a ricoprire il ruolo”. Il dubbio effettivo sulla salute di Joe Biden è stato esposto anche dai giornalisti sotto forma di una domanda rivoltagli durante un’intervista. In più occasioni hanno chiesto a Biden se ritiene di essere in grado di governare di fronte a situazioni pericolose come la guerra in Ucraina e la guerra Israelo-palestinese».

«L’intervistato ha risposto contrattaccando che, nonostante la sua età, possiede più esperienza di tutti gli altri – ha precisato il prof. Galassi -. In questo modo Biden strumentalizza la calunnia a suo vantaggio. La malattia, dunque, non dev’essere compresa esclusivamente ai fini di un’anamnesi medica, ma ha un impatto anche storico-sociale e politico. Quando guardiamo ai grandi del passato non dobbiamo vederli come statue di pietra, perché sono stati uomini in carne ed ossa, come noi».

A fine conferenza il prof. Orazio Licandro, nel riassumere i contenuti dell’incontro, ha evidenziato che «tra malattia, potere, propaganda politica e religione esiste un nesso inscindibile».

«Nel caso di Cesare, la voce sul morbus comiziale gli conferiva un valore, una certa importanza, al punto da considerare questo evento al pari di un auspicium – ha aggiunto il docente dell’ateneo catanese -. Al di là delle tante congetture sulla sua salute, è probabile che Cesare strumentalizzasse la patologia di cui era affetto, molti addirittura dicono che fosse di natura cerebrale. Non a caso si dice che proprio la natura di questa avesse avuto un ruolo determinante nella scelta dei suoi assassini prima di morire. Cesare, giunto ad un momento della sua vita di amara consapevolezza sul suo destino, avrebbe deciso di manipolare la sua stessa uccisione».