La musica è pericolosa

Il recital del sestetto di Nicola Piovani al Teatro Massino Bellini di Catania trasporta il pubblico tra gli aneddoti e le note dei brani dell’artista

Chiara Fichera

«La musica è pericolosa lo diceva Federico Fellini, parlando di sé stesso, riferendosi alla propria fragilità e alla propria vulnerabilità nei confronti della musica». Parla così Nicola Piovani, pianista, compositore, direttore d’orchestra, le cui composizioni sono note al grande pubblico perché colonne sonore di film di alcuni dei maggiori registi del cinema italiano: Marco Bellocchio, Mario Monicelli, i fratelli Taviani, Nanni Moretti, Nanny Loy, Giuseppe Tornatore e Roberto Benigni, con cui nel 1999 si aggiudica il premio Oscar per le musiche del film La vita è bella.

Un concerto quello di La musica è pericolosa del sestetto di Nicola Piovani che ha trasportato il pubblico del Teatro Massino Bellini di Catania anche tra le colonne sonore da lui composte e, tra queste, quelle nate con la collaborazione con Federico Fellini che si è rivolto a Nicola Piovani per i suoi ultimi tre film.

Piovani racconta del rapporto di Fellini con la musica riportandone alcune sue parole. «Io guardo ai musicisti come degli eroici astronauti che si espongono alle pericolose radiazioni della musica. Io posso ascoltare musica solo se lavoro. Il lavoro mi fa da scafandro di protezione contro la radioattività della musica», racconta Piovani riprendendo questa frase del grande regista. «Io posso testimoniare di persona quanto fosse vero», aggiunge Nicola Piovani raccontando di come bastasse un semplice motivetto malinconico per commuovere il grande regista e delle lunghissime sedute di lavoro insieme a lui per la composizione di un brano.

Ma non solo musiche per il cinema, Piovani scrive anche per Fabrizio De André. Nell’album Storia di un impiegato, nel brano Il bombarolo Nicola Piovani racconta di come servisse una frase musicale che potesse scandire la narrazione del brano.

Un momento del concerto

Un momento del concerto

«Quando ero bambino, sentivo le campane suonare. Erano tre campane, un mi un fa e un sol, suonate da tre monachelle, le suore d’Ivrea. Le combinazioni musicali che possono nascere da queste tre note sono infinite, ma sentendole suonare tre volte al giorno per mesi e poi anni, alcune successioni si ripetevano più di altre. Crescendo, alcune me lo sono appuntate, e una in particolare mi è tornata utile», sottolinea Piovani. E così che una successione in particolare di mi-fa-sol entra nel brano del grande Faber.

Per Piovani i ricordi di infanzia sono stati spesso luogo di ispirazione per la composizione di nuove musiche. Racconta di come il ricordo legato all’arrivo della banda che si sentiva da lontano durante le processioni di paese gli provocasse un forte batticuore.

Proprio attingendo a quei ricordi scriverà per Roberto Benigni La banda del Pinzimonio. E sempre Roberto Benigni chiederà di scrivergli una musica per un brano semplice sulla linea del Quanto ti amo.

Quel brano scritto insieme a Vincenzo Cerami diventerà Quanto ti ho amato e l’ultima frase venne suggerita dallo stesso Piovani: “Nell’amore le parole non contano, conta la musica”, che è anche una rivendicazione della forza e della potenza della musica.

Ma durante il concerto sono state suonate anche musiche originali, come quelle dedicate alla mitologia greca, dal Il volo di Icaro a Partenope eseguite dal sestetto formato da Marina Cesari (sax e clarinetto), Sergio Colicchio (tastiere e fisarmonica), Pasquale Filastò (violoncello, chitarra, mandoloncello), Vittorino Naso (batteria, percussioni), Marco Loddo (contrabasso), e lo stesso Nicola Piovani al pianoforte.

L’ultimo brano suonato dal sestetto è stato la colonna sonora de La vita è bella che ha visto tutto il pubblico commosso ed entusiasta in standing ovation. «Oggi abbiamo fatto musica dal vivo per un pubblico in carne e ossa. Sono cresciuto in un’epoca in cui dominava una sentenza che diceva come tutto ciò che non passa in televisione non esiste. Sono felice di aver passato due ore di inesistenza con voi», conclude così il maestro Nicola Piovani.

Un momento del concerto