«La nostra coscienza avrà sempre la meglio sulla Intelligenza artificiale»

A dirlo è Federico Faggin, padre del microchip, ospite dell’Università di Catania

Alfio Russo

Vorrebbe avere la vitalità di un ventenne per continuare la sua opera di visionario. Dopo quella di fisico, inventore e imprenditore, infatti, Federico Faggin – classe 1941 – è ancora impegnato in nuove sfide. L’ultima, anche se per lui è già datata, è l’Intelligenza artificiale.

Il 'padre' del microchip per oltre due ore, ieri pomeriggio, ha incantato e affascinato il folto pubblico presente ieri nell’aula magna del Palazzo centrale con la conversazione sul tema Coscienza e intelligenza artificiale

In un continuo dialogo col rettore Francesco Priolo, ha ripercorso le tappe della sua vita soffermandosi principalmente su quel rapporto uomo-macchina, e potenziali rischi della tecnologia, che oggi è sempre più d’attualità.

«L’uomo avrà sempre la meglio sull’Intelligenza artificiale, perché abbiamo quel qualcosa in più nel nostro cervello rispetto alla macchina, ovvero la coscienza, il libero arbitrio» ha risposto immediatamente alla domanda posta dal rettore. «L’IA era nella mia mente già 30 anni fa, oggi esistono pc più potenti e si è arrivati a ChatGpt che, in effetti, ha sorpreso pure per la velocità con cui è nata. Dimostra ampiamente di utilizzare il nostro linguaggio rispondendo a 4 domande su 5 in modo attinente, certo la quinta risposta è una stupidaggine. Ma che sia chiaro: a fronte di miliardi di parametri già accumulati dirà cose sensate senza capirle» ha tenuto a precisare evidenziando che «l’uomo, con la sua coscienza, comprende, mentre il robot, la macchina, no». 

Francesco Priolo e Federico Faggin

In apertura il rettore Francesco Priolo ha omaggiato il fisico Federico Faggin con il 'simbolo' di Unict

«Noi comunichiamo tra noi e con la macchina con simboli classici e il robot all’azione risponde con una reazione basata su ciò che noi gli abbiamo insegnato. Né l’Ia, né nessuna macchina, potrà mai riprodurre l’intelligenza umana, la sua coscienza – ha precisato -. L’unico rischio è rappresentato, ma dipende unicamente da noi, dalla limitazione della nostra coscienza, da quell’utilizzo di tool limitanti. Fino a quando riusciamo a capire chi siamo, che siamo superiori alle macchine e soprattutto di non usare ciecamente gli strumenti, come ad esempio i media, senza capire cosa può succedere, avremo sempre la meglio».

«È ovvio che l’IA può essere utilizzata per danneggiare noi stessi, basti pensare al fatto che può riprodurre la nostra voce dopo averla ascoltata per 10 secondi e successivamente riprodurla, accompagnata da movimenti facciali, pronunciando frasi mai dette da noi. Da questo dobbiamo difenderci» ha spiegato.

«La tecnologia deve essere a servizio dell’uomo, ma non per imprigionarlo, bensì per liberarlo» ha aggiunto strappando applausi al pubblico.

In precedenza Faggin aveva ripercorso le tappe della sua vita: il primo colloquio di lavoro a 18 anni con l’ingegner Mario Tchou di Olivetti e il suo primo progetto realizzato, ovvero l’unità aritmetica da utilizzare in una calcolatrice elettronica. Siamo nel 1961, i transistor sono fabbricati in Italia col germanio fabbricati dalla SGS, oggi STMicroelectronics. Dopo la laurea in fisica all’Università di Padova nel 1965 arriva la docenza in ateneo. 

Un momento dell'intervento del rettore Francesco Priolo

Un momento del dialogo tra il rettore Francesco Priolo e l'inventore Federico Faggin

«Ero un perito straordinario, avevo studiato già i transistor, conoscevo a menadito le valvole e avevo già in mente il pc. All’università non c’era molto spazio per la ricerca, pochi fondi, e dalla SGS di Agrate Brianza, gemellata con la Fairchild, sono volato nel 1968 nella Silicon Valley, in California nell’ambito di uno scambio di sei mesi con un ingegnere americano» ha raccontato. 

«Alla Fairchild Semiconductor ho inventato la tecnologia MOS (metallo su silicio) con gate di silicio che ha reso possibili i microprocessori, ovvero la base dei componenti principali della rivoluzione informatica. Il silicio, infatti, è ben più resistente alle alte temperature rispetto all’alluminio. Nessuno sapeva come farlo, io sì. Poi Robert Noyce e Gordon Moore si portarono la mia idea, non brevettata, a Intel, dove io andai a lavorare nel 1970. E proprio in questa azienda, dove sono diventato capo progetto e designer, ho realizzato il primo microprocessore al mondo, l’Intel 4004». 

Da quell’invenzione nacquero i microprocessori, le memorie dinamiche ad accesso casuale, le memorie non volatili e i sensori d’immagine CCD, tutti elementi essenziali per la digitalizzazione dell’informazione.

Ed eccoci al 1974 quando Faggin fonda la Zilog – «per battere sul tempo Intel» ha raccontato sorridendo - dando vita al famoso microprocessore Z80, tuttora in produzione. 

«Era veramente potente, era possibile realizzare memorie dinamiche e tutti i pezzi per il pc. Era il primo microprocessore di terza generazione e per evitare che me lo ‘copiassero’ avevo inserito delle trappole, ovvero dei circuiti falsi» ha aggiunto Faggin, originario di Vicenza, ma naturalizzato statunitense, che nel suo libro Silicio ha ripercorso le tappe del suo percorso scientifico.

E così da inventore a imprenditore il passo è breve. Faggin nel 1982 fonda la Cygnet Technology che si occupa di reti neurali e del miglioramento dell’interfaccia uomo-macchina, ma la svolta avviene quattro anni più tardi con la fondazione di Synaptics

Un momento dell'intervento di Federico Faggin

Un momento dell'intervento di Federico Faggin

«Avevo ormai lanciato le reti neurali che molti consideravano una stupidaggine, ma che invece sono alla base dell’intelligenza artificiale. Ho provato a costruire un computer che imparasse da solo con le reti neureali, un sistema emulatore 10mila volte più potente nel calcolo, ma senza un’architettura generale con chip capaci di risolvere i problemi dell’IA, ho virato decisamente su altro inventando il touchpad e il touchscreen. Oggi la Synaptics fattura un paio di miliardi l’anno». 

«Avevo studiato anche neuroscienza e biologia per capire come funzionano le reti neurali del cervello e per cercare di emularlo meglio. Volevo realizzare un computer cosciente, ma la coscienza è una proprietà fondamentale nostra, per questo ho fatto altro – ha aggiunto -. In pochi anni mi sono ritrovato ad essere un giovane imprenditore a capo di mille lavoratori, all’Intel ne coordinavo un centinaio. Capite bene le responsabilità che avevo, soprattutto perché adesso investivo io personalmente i miei soldi e non quelli di un’azienda di cui ero un dipendente».

In chiusura Faggin - che nella sua vita ha ricevuto la Medaglia nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione nel 2010 dal presidente Obama per l’invenzione del microprocessore e il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana nel 2019 conferito dal presidente Mattarella – si è soffermato sulla sua Fondazione, la Federico ed Elvia Foundation, fondata nel 2011 per condurre ricerche e studi sulla coscienza.

un momento dell'intervento di Federico Faggin

Un momento dell'intervento di Federico Faggin

«La coscienza è la capacità di un sistema quantistico in uno stato quantistico di avere l’esperienza del suo stato, un’esperienza che non può essere copiata, ma che può essere conosciuta solo dal suo interno» ha precisato l’inventore che ha incentrato sui temi della coscienza, vita e computer il suo secondo libro dal titolo “Irriducibile”. 

«Il computer, come ho già detto, non potrà mai essere cosciente perché le sue informazioni e i suoi programmi sono sempre copiabili. Questa teoria l’ho elaborata con uno dei fisici più esperti del mondo nel campo dell’informazione quantistica, con il mio amico Giacomo Mauro D’Ariano – ha aggiunto -. La coscienza e il libero arbitrio sono fenomeni puramente quantistici. Solo la coscienza può conferire significato e scopo alla vita. Con la coscienza controlliamo il nostro corpo perché è creatività. La macchina, invece, no perché è un algoritmo. Per questo noi possiamo andare ben al di là dell’intelligenza artificiale e dell’algoritmo».