La Odisea de los Giles

La proiezione del film di Sebastián Borensztein come specchio della crisi economica argentina in occasione del terzo appuntamento del cineforum in lingua spagnola. A discuterne la studentessa Marina Intelisano e il dottorando Roberto Indovina

Gabriele Cristiano Crisci e Micaela Rodriguez

«Gil, secondo il dizionario, è una persona lenta, alla quale manca vivezza e astuzia. Anche se già sappiamo che un lavoratore, un tipo onesto che rispetta le leggi, finisce per essere sinonimo di gil». Così si apre La Odisea de los Giles (in Italia, col titolo Criminali come noi), film del 2019 diretto da Sebastián Borensztein, e protagonista del terzo incontro del Cineforum en español ospitato al Centro Universitario Teatrale dell’Università di Catania.

Questa volta, a intrattenere il dialogo col pubblico in sala sono stati Roberto Indovina, italo-argentino d'origine e dottorando in Scienze per il Patrimonio e la Produzione Culturale dell’Ateneo catanese, e Marina Intelisano, studentessa iscritta al corso di laurea in Lingue e culture europee euroamericane ed orientali di Unict.

Come già accennato, l’intero lungometraggio ruota attorno al termine gil – traducibile con “tonto”, “ingenuo” – presente anche nel titolo originario della pellicola, ma non nelle traduzioni distribuite nei Paesi non ispanofoni.

Una scena del film (foto di Laura Gangemi)

Una scena del film (foto di Laura Gangemi)

Il significato della parola è rintracciabile nel lunfardo: esso consiste in un repertorio lessicale derivante in buona misura da lingue europee – in particolar modo l’italiano (con i suoi molteplici dialetti locali) – che, a partire dai flussi migratori che caratterizzarono l’Ottocento e Novecento verso i paesi del Sudamerica, hanno influenzato lo spagnolo parlato nelle città argentine e uruguaiane attorno al Río de la Plata.

Sebbene, in un primo momento, tale fenomeno interessò principalmente le classi marginali, oggigiorno l’argot è stato assimilato anche dagli altri ceti sociali: non estinguendosi nell’esclusivo uso quotidiano, bensì caratterizzando la cultura musicale e letteraria della popolazione rioplatense.

Tale definizione di gil radicata in un complesso intreccio di influenze linguistiche e culturali, sebbene sintetica, anticipa e assume nel film una valenza satirica e sociale: la pellicola si dipana nella devastante crisi economica e politica dell’Argentina del 2001, che portò alla restrizione monetaria nota come corralito.

Una scena del film (foto di Isabella Zanni)

Una scena del film (foto di Isabella Zanni)

Con quest’ultimo termine, infatti, si fa riferimento alla misura attuata dal governo argentino di quegli anni al fine di limitare il flusso di contanti nelle casse di risparmio. In questo quadro politico ed economico, i protagonisti, residenti nella periferia di Buenos Aires, cadono vittime di un inganno finanziario che li porterà a una vera e propria odissea per recuperare il denaro perso. Essere definiti giles non evidenzia solo la loro ingenuità. Al contrario, il termine diventa una riflessione cruda – seppur intrisa di momenti comici – sulla vulnerabilità e precarietà di chi è escluso dalle dinamiche di potere.

«La definizione del titolo che il regista diede al film è: “tipi onesti che continuano a credere nelle istituzioni, nonostante siano stati traditi da esse”». Così afferma il dottore Indovina, che ha seguito da vicino gli sviluppi della crisi argentina, ribadendo come l’impiego di un determinato slang già dal titolo sia da ricondurre a una più ampia metafora dell’insicurezza e dello smarrimento di un'intera società.

Un momento dell'intervento di Roberto Indovina con moderatrice Marina Intelisano (foto di Isabella Zanni)

Un momento dell'intervento di Roberto Indovina con moderatrice Marina Intelisano (foto di Isabella Zanni)

La pellicola si presenta come un’avventura con sfumature comiche. Dopo aver subito il raggiro, i protagonisti decidono di reagire e di lottare per recuperare le loro vite, opponendosi a un sistema che li aveva abbandonati. Inizia così una vera e propria impresa in cui i personaggi, nonostante la loro condizione di giles, si mostrano determinati a non rimanere passivi in una situazione di profondo sfruttamento, mettendo in luce l’importanza della solidarietà tra persone comuni, e, specialmente, rappresentando nel grande schermo «il modo in cui l’argentino medio – ammette Roberto Indovina – avrebbe voluto agire in quel momento».

La commedia emerge in molti momenti grazie alla capacità del regista di trasformare situazioni drammatiche in scene di umorismo. Tuttavia, questa maschera di leggerezza non riduce la gravità della critica sociale sostenuta dal film, offrendo una lettura delle sfortunate vicende attraverso una narrazione che è tanto divertente quanto stimolante.

L’alternanza tra commedia e critica sociale risulta così essere «uno strumento poderoso che serve a superare quell’impotenza nel non riuscire a far fronte alle ingiustizie istituzionali: un buon abbinamento per generare quella catarsi collettiva di cui tutti abbiamo bisogno», aggiunge infine Indovina.

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